Le elezioni 2022 sono state viste in tanti modi diversi: come una sorpresa, una conferma, una liberazione o una tragedia.
Proprio per questo, abbiamo deciso di commentarle insieme, buona lettura!
Storia di un disastro annunciato, di Giulio Profeta
Il 25 settembre 2022 si è consumato un disastro annunciato e a lungo preconizzato, quantomeno da chi aveva piena cognizione sul funzionamento della legge elettorale (che, ricordiamo, essere in parte maggioritaria e in parte proporzionale).
Il centro-sinistra italiano ha, infatti, collezionato la seconda sconfitta storica di fila in una elezione politica, 7.337.624 di voti, inferiori ai 7.914.726 del 2018 che già avevano costituito il precedente record (in termini relativi, invece, con meno affluenza il dato è più positivo).
Le ragioni della disfatta sembrano essere non meno di due:
- Da un lato, il centro-sinistra soffre una collocazione politica, figlia a sua volta di un’agenda politica, anacronistica, ancora da soggetto intenzionato a cogliere l’ottimismo e la fiducia verso il progresso, ossia il meglio della globalizzazione. Questo spirito è da almeno dieci anni superato in via fattuale da contingenze economiche anemiche (in Italia non abbiamo ancora recuperato il PIL precedente la crisi del 2011 e 2012) e, soprattutto, sociali: l’affidamento liturgico al mercato è oggi sempre più posto in discussione, a partire dai ceti in età da lavoro. Non è un caso che il centro-sinistra resista a un tempo nei segmenti della popolazione più anziana, ad altro nelle aree metropolitane, dove si annidano ancora sacche della popolazione benestante e circondata da servizi; al contrario, come nel caso di Livorno, sprofonda nelle province, particolarmente esposte al decennio di crisi attraverso una contrazione di risorse pubbliche tradottasi in tagli ai servizi, pubblici ma anche privati (si pensi alla chiusura di filiali bancarie nei centri più piccoli).
- Dall’altro, una serie di scelte folli ha pesantemente compromesso la campagna elettorale. Come hanno, ironicamente, ricordato i soggetti incaricati della comunicazione da parte del Partito Democratico (è surreale che a dirlo debbano essere loro e non il gruppo dirigente, vedesi il link https://www.editorialedomani.it/politica/italia/campagna-pd-intervista-dino-amenduni-proforma-yqk08fl7) il messaggio della campagna era inizialmente tarato sul voto utile in un’ottica competitiva nei confronti della coalizione di centro-destra. Tutto ciò, però, necessitava del supporto determinante di un elemento: la creazione di una coalizione politica che potesse essere competitiva nello scontro negli uninominali, un terzo totale dei seggi. E qui si materializza il clamoroso abbaglio del gruppo dirigente democratico: non c’è stata una gestione consapevole delle alleanze. La scelta ideologica di dire no ai Cinque Stelle, frutto della convinzione (altrettanto erronea) che potessero essere cannibalizzati nelle urne, ha reso poi difficoltoso accordarsi con Calenda pur mantenendo, a sua volta, un’intesa con Fratoianni; come malignamente ha ricordato Renzi, inizialmente escluso come i Cinque Stelle nella speranza di poterlo condurre allo schianto contro il muro della soglia di sbarramento al 3%, o si sposava fin dall’inizio una logica di comitato nazionale con tutti i soggetti politici alternativi alle destre dentro (il vecchio campo largo di Zingaretti), o si optava per una precisa scelta di campo, ovvero a sinistra con Bonelli-Fratoianni+Conte, o al Centro, con Calenda e Renzi. Letta, avallato da tutte le correnti, ha provato la “furbizia”: dentro Calenda, ma con Fratoianni-Bonelli. La storia, ovviamente, non poteva decollare, da qui il cortocircuito comunicativo. Infatti, l’elettorato di sinistra, assunta la consapevolezza della sconfitta, si è orientato sui soggetti politici percepiti come più vicini per contenuti e messaggio a loro; da qui, il contrario di quello auspicato, ossia l’emorragia delle ultime settimane dal Partito Democratico in favore di Quarto Polo e Cinque Stelle.
Che fare?
Una nuova costituente, magari con un cambio di nome (che poi implica un cambio di messaggio politico) va anche bene, ma non può prescindere dallo stop (quantomeno momentaneo) di chi ha condotto il centro-sinistra in questa situazione, in modo indistinto dalle correnti di riferimento.
Tutti coloro i quali sono stati co-protagonisti di queste scelte sarebbe bene, forse, che si facessero una pausa.
Ha vinto la Meloni, di Giovanni Sofia
Ha vinto la Meloni. Si sapeva. O meglio, si sapeva che avrebbe vinto la destra, ma non di quanto rispetto al csx. Ha vinto di tanto, ma non abbastanza per poter cambiare la costituzione senza una manina (Renzi e Calenda) o un referendum confermativo (tipo, appunto, quello promosso da Renzi, che ha segnato il suo addio alla politica).
Il Paese consegnato alla destra, di Leonardo
Una sola vincitrice: Giorgia Meloni, di Luigi Ferrieri Caputi
Giorgia Meloni è la chiara vincitrice delle elezioni politiche di domenica, su questo non vi è alcun dubbio e il calo della Lega – ancora più marcato di quanto fosse stato previsto – non lascia aperte domande su chi sia la leader del centrodestra e, salvo sorprese, la nuova [prima] Presidente del Consiglio dei ministri.
Non solo, per la prima volta da diversi anni abbiamo un chiaro risultato elettorale che dovrebbe, almeno in teoria, assicurare un governo stabile. Sicuramente, è chiaro che abbiamo una maggioranza di governo precisa e ampia, che corrisponde allo schieramento presentatosi alle urne e dove la leader del partito vincente risulterà la probabile Premier. Vedremo se la destra rimarrà unita, o se si dividerà.
Inoltre, non sono da escludersi appoggi esterni, per esempio, da parte del terzo polo su questioni come il Presidenzialismo, l’autonomia differenziata o per le elezione dei membri laici del CSM, per i quali servono i 3/5 dei membri delle camere.
Due dati importanti, al di là dello storico risultato elettorale, sono senza ombra di dubbio il livello record di astensionismo e la grande volatilità elettorale che ha caratterizzato le elezioni italiane degli ultimi periodi.
Alle elezioni politiche di questa domenica hanno votato appena il 63,9% degli aventi diritto. Questo valore è il più basso mai registrato nella storia Repubblicana, il trend mostrato nel grafico sottostante – preso del CISE – evidenzia quanto marcato sia stato il non voto. Sarebbe scorretto, però, assumere che questo corpo sia omogeneo: non esiste il “partito degli astenuti”. Pensare che tutta l’astensione abbia la stessa ragione rischia di distorcere le analisi; tuttavia, è chiaro che vi sia un forte sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Inoltre, è opportuno sottolineare la grande differenza tra la partecipazione nel centro-nord e la partecipazione nel sud del paese. Ancora una volta, il nostro è un paese che corre a due velocità.
Affluenza alle urne.
Affluenza alle urne per regione.
Un secondo fenomeno estremamente rilevante è la volatilità elettorale, tra le maggiori europee: l’elettorato italiano appare più mutabile che mai. Solo il 1994 aveva visto un cambio così radicale.
Dell’exploit dei 5S, al successo di Salvini alle Europee, fino – forse – al record di Renzi nel 2014. In otto anni di tornate elettorale, certamente da comparare mutatis mutandis, l’elettorato italiano è passato da Renzi, ai 5S, alla Lega ed è giunto oggi a Giorgia Meloni. Le motivazioni dietro questo voto potrebbero essere molte, dal non appoggio al governo draghi (che, nonostante i risultati elettorali, era tra i leader più apprezzati!), fino alla “coerenza” che avrebbe contraddistinto la leader di FdI.
Il voto di domenica, quindi, appare come “l’ultima spiaggia” di un elettorato stanco, un voto di protesta, un voto contro piuttosto che un voto per il programma. La domanda che dobbiamo porci, dunque, è se questo processo sia giunto a una conclusione o meno; e, in caso negativo, chi verrà dopo la Meloni? L’elettorato sembra aver esaurito “l’alternativa strutturata” già presente e capace di canalizzare il voto di protesta. Se “l’Era Meloni” finirà, così come sono tramontanti gli altri partiti sopracitati, dobbiamo domandarci se chi prenderà il suo posto sia già qui, o debba ancora arrivare.
Una chiara vittoria del Centro-destra, di Alessandro Palumbo
SCENARIO NAZIONALE
Il quadro di queste elezioni politiche fa emergere una chiara vittoria del centrodestra che conferma i voti delle ultime elezioni. Dai 12.143.722 di voti assoluti del 4 marzo 2018, le elezioni anticipate del 25 settembre 2022, portano alla coalizione 12.183.722 voti (circa 40.000 in più).
La percentuale del centrodestra, invece, a causa della decrescita dell’affluenza al voto (-7 punti rispetto al 2018) passa dal 37% al 43,96%, gonfiando, quindi, la percezione mediatica della loro vittoria – comunque nettissima – all’interno di questa partita elettorale.
Per quanto riguarda il risultato del M5S, ha piú che dimezzato i voti rispetto al 2018, passando da 10.732.066 ai 4.264.060 attuali (finiti, per almeno metà parte, all’interno dell’astensione), con un 15,35%. Questo risultato é sicuramente merito dell’agenda sociale portata avanti da Giuseppe Conte, il quale resta, in ogni caso, una cintura nera di trasformismo della politica italiana degli ultimi anni (sembra passata un’era da quando vantava il suo rapporto privilegiato con Donald Trump). Ha saputo cadere e rialzarsi con grande agilità nel corso della passata legislatura, conquistando il cuore prima dei sovranisti, poi dei democratici, poi dell’estrema sinistra delusa dal PD (vedi gli endorsment degli ex LEU Stefano Fassina e Loredana De Petris).
Tuttavia, sbaglia chi sostiene che il merito di questo dignitoso risultato sia merito solo di Conte. Chi ha permesso al M5S di rinascere, in questa legislatura, ha un solo nome e cognome: Beppe Grillo. Imponendo a Conte di non toccare il tetto dei due mandati, che Conte voleva usare per salvare alcuni suoi fedelissimi (cosa che comunque é riuscito a fare, blindando dei capolista per tutta Italia), Grillo é riuscito a ridare credibilità al simbolo, facendo cambiare idea ad una fetta importante di ex elettori grillini delusi, i quali, ormai, si erano convinti che anche il totem anti-casta più identitario sarebbe crollato.
Chi lo sa in quale direzione sarebbe andato il 9% del M5S, registrato nei sondaggi a inizio luglio 2022, se Grillo avesse ceduto ai capricci di Conte. Fico e Taverna..
Il PD é il vero sconfitto di queste elezioni, con 5.306.358 voti , quasi 800.000 voti in meno del 2018 (il quale già fu, con Renzi, già il peggior risultato della storia del simbolo), e a un deludente 19% rispetto al 22/23% attestato da molti sondaggi in estate.
Se si vuole cercare il motivo di questa debacle, suggerisco alla classe dirigente del PD di mettersi su una macchina del tempo e di andare al 2016, per vedere cosa é successo in Francia, quando i socialisti di Hollande si sono trovati schiacciati tra l’agenda liberal-riformista (a destra) di Macron e quella del populismo sociale (a sinistra) di Melenchon.
Il PD, anche a causa di una leadership carismatica, ha mancato di comunicare con forza alcuni punti ritenuti essenziali per l’elettorato del campo di centro-sinistra, al passo con i tempi che la società italiana sta vivendo.
Per questo, il duo Renzi-Calenda riesce a strappare voti al PD tra i più giovani e tra i mondi produttivi di quell’area, mentre Conte vince portando via al PD bacini di elettori tra il ceto sociale più in difficoltà e tra i “pacifisti” (o NATO-scettici).
Temo che ormai sia tardi (anche se avrebbero, ormai, tutto il tempo per farlo) per cercare un modello Germania, con un grande polo alternativo al centrodestra. Il ribattezzato “terzo polo”, dei promessi sposi Renzi e Calenda, tenterà di proseguire sulla propria strada, con la Benedizione di Macron. Mentre il M5S, forse, ha capito che, l’alleanza col PD, era un abbraccio mortale che faceva bene solo ai loro “alleati”, da cui ora staranno ben lontani, almeno fino al prossimo congresso dei democratici (quindi niente campo largo nel Lazio, Friuli e Lombardia).
Il M5S, tuttavia, ha ancora una carta da giocare: creare un polo di sinistra-sinistra. Un campo che comprenda Fratoianni, De Magistris e altre realtà vicine all’associazionismo. Se avrà questo coraggio, con un elettorato sempre più polarizzato, potremmo anche assistereal tramonto del Partito Democratico.
SCENARIO LOCALE
Non ci saranno parlamentari di residenza livornese in questa legislatura, nè per il Senato e nè per la Camera. I due eletti del territorio sono Manfredi Potenti (Lega, al Senato) e Chiara Tenerini (Forza Italia, alla Camera), residenti rispettivamente a Rosignano e a Cecina.
Entrambi vengono eletti, sicuramente grazie ad una campagna elettorale battuta frazione per frazione nel proprio collegio, ma, soprattutto, grazie ai voti di tutta la coalizione, trainata da Fratelli d’Italia.
In particolare, sul palco di chiusura, e per tutta la campagna elettorale, si è notato un grande contributo, alla loro causa, da parte della pasionaria della destra livornese, Marcella Amadio, e del consigliere comunale Andrea Romiti, i quali hanno mobilitato i propri elettori di Livorno e provincia per riuscire nell’impresa degli alleati. Questo nonostante Amadio e Romiti (che il partito ha già candidato Sindaco e capolista alle ultime regionali) si siano contesi fino all’ultimo la candidatura nel collegio che, alla fine, FDI, all’ultimo secondo, ha preferito cedere a Forza Italia.
Andrea Romano paga carissimo l’aver concentrato tutta la sua campagna elettorale quasi solo a Livorno città, snobbando quasi totalmente la provincia di Livorno, senza passare dall’Isola d’Elba neanche per una giornata al mare.
Persino sulla questione cruciale del rigassificatore di Piombino, Andrea Romano, ha mancato tutti gli appuntamenti di confronto con i comitati per il NO.
I parlamentari uscenti di centrodestra della Toscana (a partire dal colonnello di FDI, Giovanni Donzelli), accompagnati dai candidati delle proprie liste, sono andati a mettere la faccia , nelle piazze, per ribadire di comprendere la sofferenza del territorio, che faranno di tutto per cercare un’altra localittà con Snam, ma che non erano in grado di fare una promessa che non erano in grado di garantire (considerando le procedure amministrative ormai avviate).
Sono partiti fischi, e contestazioni (persino per gli outsider e per il M5S), ma tutti hanno avuto il coraggio di affrontare una folla di cittadini arrabbiati con i poteri romani. Tutti, tranne, appunto, Romano, a cui ,probabilmente, tanti elettori del PD (di Elba e Val di Cornia), anche per questo, hanno voltato le spalle.
Grande ritorno sulla scena politica locale da parte dell’ex Sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi . Assessore mancato alla sanità della Regione Toscana (per Italia Viva), dopo le regionali di settembre 2020, a cui il PD livornese, capitanato da Andrea Romano, aveva sbarrato la strada, da ormai due anni preparava la sua vendetta. Quel 7,2% e quei 7520 voti (nel collegio 11.233), tolti al polo dei democratici, sono molti di più di quelli che mancarono a Lorenzo Gasperini, nel 2018, per riuscire nell’impresa portata a casa da Tenerini oggi. Cosimi, quindi, puo’ essere definito il “killer politico” di Andrea Romano.
Chissà se questo servirà, per una profonda analisi, anche al Sindaco attuale, Luca Salvetti (rimasto orfano del suo riferimento parlamentare), che dal palco di chiusura del PD, ha, senza mezzi termini, sbarrato la strada all’ingresso in coalizione del duo Azione\Italia Viva. Anche questo, forse, a primavera 2024, andrà “chiesto al PD”….
Ottima campagna elettorale quella dell’ex Vicesindaco della passata consiliatura, Stella Sorgente, che riesce a confermare, a Livorno città, i quasi 13.000 voti delle ultime elezioni amministrative, portando il suo risultato nel collegio uninominale ad un dignitoso 16,5 % (grazie ai picchi di Piombino e di Livorno città).
Dal 2019 ormai leader del M5S sulla costa livornese e, da sempre, tra i volti in primo piano della linea “anti-PD”, a Roma, in Toscana e a Livorno, era candidata anche nel listino proporzionale, ma manca l’elezione alla Camera per un pugno di voti. Inserita al secondo posto nel collegio Livorno-Grosseto-Siena-Arezzo, la sua elezione sarebbe arrivata se fosse scattato il seggio per il capolista, Riccardo Ricciardi (residente a Massa), all’interno del suo collegio, che comprende appunto Massa-Lucca-Pistoia-Prato.
Tuttavia, in quel collegio, il M5S ha raccolto il 10,91%, contro il 10,95% del collegio di Firenze-Pisa, che ha fatto scattare il secondo seggio per il M5S al medico fiorentino Andrea Quartini, e sbarrato le porte del Parlamento alla capogruppo dei grillini in Consiglio Comunale a Livorno.
Non sarà eletta a Roma, ma le va riconosciuto l’onore delle armi e del merito dei numeri: il suo risultato elettorale è il più alto di tutta la Toscana. Chissà se Giuseppe Conte ne terrà conto per i prossimi appuntamenti elettorali, magari sponsorizzando Stella Sorgente per le prossime elezioni europee 2024 o designandola come prossima sfidante di Eugenio Giani alle regionali 2025.
Una maggioranza schiacciante, di Andrea Maddalosso
Centrodestra: 44%, centrosinistra:26%, M5S:15%. Queste sono le tre maggiori forze politiche in Italia. Sarebbe pure interessante per gli elettori trovarsi alla guida della nazione dopo 11 anni di governi tecnici, un governo stabile, con una maggioranza schiacciante come nel caso di queste elezioni.
Non era mai accaduto nella storia repubblicana che l’opinione pubblica fosse totalmente esclusa da queste dinamiche di potere per così tanto tempo, a partire dal commissariamento dell’ultimo governo Berlusconi, congedato nell’ormai lontano 2011. Un botta e risposta tra il segretario del Partito Democratico Enrico Letta che visibilmente non ha digerito questa vittoria della destra, e il capo del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, attribuendone a quest’ultimo la colpa del fatto che il governo Draghi sia caduto prima della scadenza fisiologica dei 5 anni di legislatura. Insomma una classica sceneggiata tra perdenti contro chi ha avuto il favore del popolo.
Sarebbe dunque un risultato auspicabile per qualsiasi cittadino di una democrazia occidentale, vedere che il proprio voto produce una stabilità politica, libera di porre in essere il programma che è stato promesso nella campagna elettorale.
Ma la dura realtà parla chiaro: Gli italiani non vogliono superare il brutto vecchio sistema dei partiti, il conformismo di ciò che va per la maggiore, non sono bastati questi ultimi due anni di omogenea esasperazione della condizione pandemica e la conseguente incapacità del parlamento di emanciparsi al cospetto delle cosiddette organizzazioni mondiali come l’OMS e la controproducente situazione bellica in territorio ucraino dovuta alle quasi secolari ostilità tra l’assodato imperialismo occidentale del blocco NATO nel mondo a guida Stati Uniti e l’isolata Russia di Vladimir Putin.
Chi è intellettualmente onesto non ha dubbi sull’osservare quanto i consensi di Giorgia Meloni siano da attribuire dunque all’assoluta pessima gestione della res-publica da parte dei partiti che hanno accettato all’unanimità di unirsi a un’identità atlantista e quindi rispondente alle regole economiche di mercato e dell’alta finanza, il cui sistema non può coincidere con i reali interessi della collettività.
Se lanciamo uno sguardo a ciò che è accaduto in parlamento durante quest’ultimo anno di governo Draghi, quanto appena detto è senza alcun dubbio dimostrabile dal fatto che tutti i partiti si sono stretti intorno ad appoggiare le scelte dell’ex presidente BCE, escluso Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che strategicamente si è tenuto in disparte. Altrimenti cosa avrebbe pensato il popolo? Non potevano far capire che quello fosse il governo della dittatura. Ma perché dire questo nonostante la Meloni si sia tenuta al di fuori? La risposta sta nelle sanzioni alla Russia, a cui neppure la Meloni si è opposta, è su questo punto che cade l’Italia e con lei l’Europa intera, ed è qui che potevano avere la fiducia i nascenti partiti del fronte antisistema: Italia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo, Italexit di Gianluigi Paragone, Vita di Sara Cunial.
Una maggioranza frutto della volontà delle urne e non di accordi di palazzo, di Marco D’Alonzo
Con la netta affermazione della coalizione di centrodestra e, in particolare, di Fratelli d’Italia, si profila all’orizzonte il ritorno di una dinamica politica ormai desueta, nel nostro Paese, da undici anni, ossia la formazione di un esecutivo che sia l’emanazione di una chiara maggioranza scaturita dalle urne e non, al contrario, il frutto di manovre e di accordi tutt’altro che in linea con la volontà manifestata dell’elettorato.
A Giorgia Meloni toccherà, ammesso e non concesso che i suoi scomodi partner non la abbandonino sul più bello, così da formare l’ennesimo governo di larghe intese con la benedizione del Colle e dei grandi centri di potere d’oltreconfine, l’arduo compito di affrontare una crisi economica ed energetica senza precedenti e dalle implicazioni potenzialmente catastrofiche, dimostrando di essersi davvero preparata a governare, smentendo lo scetticismo generale e la feroce quanto preventiva campagna denigratoria messa in atto contro di lei da un centrosinistra ormai concentrato esclusivamente sulla propria pars destruens, avendo dimenticato quella construens in un’altra epoca.