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Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio

Tarquinio e Lucrezia, attribuito a Tiziano, 1517

Per quello strano gioco della Storia, nel  509 a.C. nacque la Repubblica a Roma, e il suo primo console venne nominato il 1 Giugno. Tanti anni dopo, il giorno successivo, nascerà un’altra Repubblica che in qualche modo un po’ romana lo è ancora. Ma torniamo un attimo indietro: in quegli anni Roma era governata dal re Tarquinio il Superbo, l’ultimo re etrusco della città, e stava conducendo una guerra (strano, vero?) contro i Rutuli di Ardea. Mentre l’esercito era impegnato lontano da Roma, Tarquinio Sestio, figlio del Superbo, si invaghì della moglie di Lucio Tarquinio Collatino, suo cugino,
e le fece violenza. La donna, per il dolore dell’offesa ricevuta, si uccise davanti al marito e ai compagni, che giurarono di vendicarla cacciando il sovrano e la sua famiglia. Collatino e Giunio Bruto andarono a Roma, dove arringarono la folla che, già non vedendo di buon occhio Tarquinio, lo destituì cacciandolo dalla città. Così il 1 Giugno del 509 a.C. Giunio Bruto e Lucio Collatino furono nominati i primi due consoli della Repubblica.

Vi chiederete che c’entra con l’archeologia tutto ciò: beh, storia e archeologia sono strettamente legate, com’è ovvio, ma soprattutto l’archeologia ci testimonia, con tutto            quello che ci restituisce, fatti la cui memoria era legata solo alle storie di Livio. E un evento così fondamentale per la storia di Roma non poteva certo passare senza lasciare tracce materiali.

 

Ritratto di vecchio patrizio, prima metà I secolo a.C., Roma, Collezione Torlonia

Esiste infatti un meraviglioso ritratto in bronzo identificato proprio con il primo console. La ritrattistica romana è la punta di diamante dell’arte romano-repubblicana, poiché ci offre opere ben lontane dalla aurea perfezione della statuaria greca: il ritratto romano è qualcosa di meraviglioso, perché ci restituisce volti reali, di persone e non di eroi: basti pensare al Ritratto di Patrizio, in cui non una ruga, non un’imperfezione viene nascosta, ma la fierezza e la maestosità del personaggio non ne escono certo ridimensionate.

 

Bruto Capitolino, III secolo a.C., Roma, Musei Capitolini

Il cosiddetto Bruto Capitolino è in realtà un busto in bronzo, realizzato a cera persa, appartenente a una statua di età ellenistica (III secolo a.C. circa) ora perduta, probabilmente equestre per l’orientamento del volto che è leggermente verso destra e in basso. Il ritratto presenta caratteristiche tipiche dell’arte italica da cui il ritratto deriva, in particolare l’assoluto realismo, l’individuazione del carattere e della forte personalità attraverso i tratti somatici, e la trasmissione di ideali tipicamente patrizi come la gravitas, una trasmissione che non avviene attraverso componenti palesi, ma che non si può non percepire quando ci troviamo davanti a quegli occhi. Il personaggio ha una rada barba, il naso aquilino, labbra sottili e zigomi netti. La fronte è alta, e barba e capelli sono realizzati a ciocche ineguali e quasi disordinate, grazie a un perfetto lavoro di cesellatura. Gli occhi sono in avorio, mentre iride e pupilla sono in pasta vitrea, e restituiscono uno sguardo fisso e intenso, davanti a cui non è possibile sentirsi quasi a disagio: dopo millenni, sono ancora capaci di scrutarti nel profondo, impassibili, come quando decise la condanna a morte di suo figlio reo di aver cospirato con Tarquinio contro Roma.

I littori portano a Bruto il corpo del figlio, Jacques-Louis David, 1789

 

Tecnicamente, è perfetto: realizzato con la tecnica a cera persa, presenta sulla sommità del capo un taglio di ca. 15 cm ma perfettamente nascosto dalla capigliatura, realizzata particolare per particolare con la cesellatura a freddo.

Insomma, un personaggio chiave per Roma, integerrimo, maestoso e austero, esempio per tutti i patrizi che lo avrebbero seguito, non poteva che essere ritratto in questo modo meraviglioso e perfetto, che riesce a restituirci l’immagine ancora viva di un grande uomo.

 

 

Bruto Capitolino, particolare del volto

Giulia Bertolini

Fonti: Livio, Ab Urbe Condita, libro I e II

R. Bianchi Bandinelli, L’arte romana al centro del potere

Il titolo è citazione di Dante, Inf., IV 127

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