Per quello strano gioco della Storia, nel 509 a.C. nacque la Repubblica a Roma, e il suo primo console venne nominato il 1 Giugno. Tanti anni dopo, il giorno successivo, nascerà un’altra Repubblica che in qualche modo un po’ romana lo è ancora. Ma torniamo un attimo indietro: in quegli anni Roma era governata dal re Tarquinio il Superbo, l’ultimo re etrusco della città, e stava conducendo una guerra (strano, vero?) contro i Rutuli di Ardea. Mentre l’esercito era impegnato lontano da Roma, Tarquinio Sestio, figlio del Superbo, si invaghì della moglie di Lucio Tarquinio Collatino, suo cugino,
e le fece violenza. La donna, per il dolore dell’offesa ricevuta, si uccise davanti al marito e ai compagni, che giurarono di vendicarla cacciando il sovrano e la sua famiglia. Collatino e Giunio Bruto andarono a Roma, dove arringarono la folla che, già non vedendo di buon occhio Tarquinio, lo destituì cacciandolo dalla città. Così il 1 Giugno del 509 a.C. Giunio Bruto e Lucio Collatino furono nominati i primi due consoli della Repubblica.
Vi chiederete che c’entra con l’archeologia tutto ciò: beh, storia e archeologia sono strettamente legate, com’è ovvio, ma soprattutto l’archeologia ci testimonia, con tutto quello che ci restituisce, fatti la cui memoria era legata solo alle storie di Livio. E un evento così fondamentale per la storia di Roma non poteva certo passare senza lasciare tracce materiali.
Esiste infatti un meraviglioso ritratto in bronzo identificato proprio con il primo console. La ritrattistica romana è la punta di diamante dell’arte romano-repubblicana, poiché ci offre opere ben lontane dalla aurea perfezione della statuaria greca: il ritratto romano è qualcosa di meraviglioso, perché ci restituisce volti reali, di persone e non di eroi: basti pensare al Ritratto di Patrizio, in cui non una ruga, non un’imperfezione viene nascosta, ma la fierezza e la maestosità del personaggio non ne escono certo ridimensionate.
Il cosiddetto Bruto Capitolino è in realtà un busto in bronzo, realizzato a cera persa, appartenente a una statua di età ellenistica (III secolo a.C. circa) ora perduta, probabilmente equestre per l’orientamento del volto che è leggermente verso destra e in basso. Il ritratto presenta caratteristiche tipiche dell’arte italica da cui il ritratto deriva, in particolare l’assoluto realismo, l’individuazione del carattere e della forte personalità attraverso i tratti somatici, e la trasmissione di ideali tipicamente patrizi come la gravitas, una trasmissione che non avviene attraverso componenti palesi, ma che non si può non percepire quando ci troviamo davanti a quegli occhi. Il personaggio ha una rada barba, il naso aquilino, labbra sottili e zigomi netti. La fronte è alta, e barba e capelli sono realizzati a ciocche ineguali e quasi disordinate, grazie a un perfetto lavoro di cesellatura. Gli occhi sono in avorio, mentre iride e pupilla sono in pasta vitrea, e restituiscono uno sguardo fisso e intenso, davanti a cui non è possibile sentirsi quasi a disagio: dopo millenni, sono ancora capaci di scrutarti nel profondo, impassibili, come quando decise la condanna a morte di suo figlio reo di aver cospirato con Tarquinio contro Roma.
Tecnicamente, è perfetto: realizzato con la tecnica a cera persa, presenta sulla sommità del capo un taglio di ca. 15 cm ma perfettamente nascosto dalla capigliatura, realizzata particolare per particolare con la cesellatura a freddo.
Insomma, un personaggio chiave per Roma, integerrimo, maestoso e austero, esempio per tutti i patrizi che lo avrebbero seguito, non poteva che essere ritratto in questo modo meraviglioso e perfetto, che riesce a restituirci l’immagine ancora viva di un grande uomo.
Fonti: Livio, Ab Urbe Condita, libro I e II
R. Bianchi Bandinelli, L’arte romana al centro del potere
Il titolo è citazione di Dante, Inf., IV 127
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