Il vero volto della Primavera Araba:
dalla sbornia Occidentale al fuoco in Medio-Oriente
Nell’arco di pochi mesi, i regimi dispotici di Ben Alì in Tunisia, di Mubarak in Egitto e, seppur soltanto in seguito ad una sanguinosa guerra civile risolta
grazie al decisivo intervento di una forza aeronavale NATO, di Gheddafi in Libia, vennero rovesciati in nome della libertà e della democrazia. Le potenze occidentali che per decenni avevano sostenuto e finanziato gli establishment di questi Paesi, autoritari, certamente, ma contraddistinti da una laicità del potere assai rara in un contesto geografico da sempre incline all’estremismo religioso, si sono affrettate a stringere accordi con i governi nati dalle ceneri delle precedenti dittature, rinnegando ogni precedente rapporto economico con queste ultime.
Quella che doveva essere una semplificazione del quadro geopolitico del Medio Oriente si è rivelata, tuttavia, a soli tre anni di distanza, come qualcosa di ben diverso. Dal 2011 ad oggi, l’Egitto non è riuscito a trovare un nuovo corso definitivo e continua ad annaspare in una interminabile fase di transizione, culminata con la deposizione forzata del Presidente Mohamed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, il partito islamico “trascinatore” di tutta la Primavera Araba, i cui seguaci continuano a combattere senza quartiere contro l’esercito regolare e contro l’ampia parte della popolazione che osteggia apertamente la Fratellanza, bandita e messa fuori legge dalle autorità in quanto organizzazione terroristica.
Anche la Libia del post-Gheddafi sta rivelando di avere più dubbi che certezze, come dimostrano le sommosse endemiche che scoppiano nelle più grandi città del Paese e i continui attentati ai danni di funzionari governativi anche stranieri, ma è nella Siria di Bashar Al-Asad che la vera natura della Primavera Araba è venuta prepotentemente alla luce. L’inerzia dell’ONU e, in particolare, quella degli Stati Uniti, dove il Presidente Obama ha dimostrato una volta in più di non trovarsi a suo agio nelle relazioni diplomatiche con l’estero quanto al tavolo delle riforme in patria, ha determinato una evidente frammentazione dello schieramento antigovernativo, all’interno del quale la Coalizione Nazionale Siriana si è ritrovata indebolita, isolata e priva della legittimazione necessaria a condurre una rivoluzione in cui a comandare e a dettare legge è, ormai, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante di Abu Bakr Al-Baghdadi. Quest’ultimo, ertosi a baluardo del fondamentalismo sunnita arabo, ha causato il definitivo “salto di qualità” del conflitto da nazionale a regionale conducendo le proprie milizie all’assalto del fragile governo sciita iracheno di Nuri Al-Maliki, sostenuto congiuntamente, per quanto impensabile possa sembrare, da Stati Uniti e Iran.
La proclamazione del “Califfato”, uno Stato islamico autonomo che si estende sui territori nord-orientali della Siria e nord-occidentali dell’Iraq, da parte di Al-Baghdadi, accompagnata da pompose minacce all’Occidente e alla Cristianità, non è che la punta di un iceberg, quello della deflagrazione dell’equilibrio geopolitico in Medio Oriente, con cui gli Stati Uniti e la NATO saranno costretti a fare i conti, essendo ormai stata appurata l’inefficacia delle vie diplomatiche in un’area in cui la divisione ideologica e religiosa è troppo ampia per tentare qualsiasi forma di dialogo.
La nascita di uno Stato teocratico dichiaratamente anti-occidentale rischia di trasformarsi in un’occasione irripetibile per il fondamentalismo islamico, al quale da sempre manca un vero coordinamento generale, e, in quest’ottica, il crescente ed improvviso peggioramento dei rapporti israelo-palestinesi, con relativa escalation di violenza a Gaza e nel resto della Palestina non deve essere vista come un evento collaterale, ma come una conseguenza.
Marco D’Alonzo