Della crisi del Venezuela ne abbiamo sentito parlare da almeno un anno, tuttavia da poche ore tutto il mondo si è svegliato con una secchiata d’acqua fredda: Juan Guaidò, leader del partito di opposizione Voluntad Popular, si è auto-proclamato Presidente del Venezuela, giurando sulla Costituzione in una piazza gremita di folla festosa. Subito è arrivato l’annuncio che ha indignato chi fino a ieri ignorava buona parte della situazione: Trump, Bolsonaro e con loro altri paesi, hanno riconosciuto il nuovo Presidente. Apriti cielo: il nuovo problema del Venezuela da oggi sono le ingerenze internazionali. Ma parliamoci chiaro: forse prima di prendere una posizione approssimativa è importante capire come si è arrivati a questa situazione.
Nel 2013 alla morte del Presidente Hugo Chàvez gli è succeduto Nicolàs Maduro, che ha continuato la sua linea politico-economica, chiamata socialismo bolivariano. Il fulcro di questa politica è stata un’economia pianificata che si è basata sul forte legame al petrolio. Il Venezuela è una dei paesi più ricchi di petrolio, e fin dalla Presidenza Chavez la propria politica economica è stata quasi interamente legata all’esportazione di questa risorsa indispensabile. Fin qui niente di strano, anche l’Arabia Saudita, o altri paesi esportatori di petrolio, ne hanno fatto un bene-guida della propria economia.
Allora quand’è che tutto è iniziato a andare storto in Venezuela?
I veri problemi sono sorti in concomitanza con il crollo del prezzo del petrolio, passato da 110 dollari al barile del giugno 2014 agli appena 26 dollari nel gennaio 2016. Questo ha favorito un crollo spaventoso dell’economia del Venezuela. Infatti il governo, fin dai tempi di Chavez, aveva reinvestito gran parte dei proventi del petrolio in programmi sociali di assistenza ai più poveri, allo scopo di diminuire le forti diseguaglianze sociali che affliggevano il paese. Se però il Venezuela ha legato la propria economia al petrolio per nobili fini interni, parallelamente quel che il governo non ha fatto è stato risparmiare soldi oppure diversificare, reinvestendo i ricavi in altri attività produttive, in modo da far fronte a un’eventuale crisi del prezzo del greggio. Allo scoppio della crisi dei prezzi, paesi come l’Arabia Saudita, che aveva 750 miliardi di dollari di riserve monetarie a cui attingere, hanno resistito quasi senza problemi, mentre in Venezuela è iniziata una crisi di iperinflazione senza precedenti, che ha raggiunto picchi del 1000%.
Quando parliamo di un’iperinflazione del 1000% intendiamo questo: se in Venezuela prima della crisi un caffè costava meno di un bolivar (la loro moneta nazionale), nel giro di un anno quel caffè aveva un costo di 1000 bolivar. La conseguenza è stata una crisi economica senza precedenti. Prima di proseguire in questa analisi è doveroso fare un passo indietro e focalizzarsi anche sulla situazione politico-istituzionale.
La situazione politica del Venezuela
Quando Maduro ha preso il potere nel 2013, ha governato fin da subito con la cosiddetta “Legge Abilitante”, che dava al Presidente il potere di emanare leggi senza l’approvazione del Parlamento (Assemblea Nazionale), così quando alle successive elezioni l’Assemblea Nazionale è caduta in mano all’opposizione, Maduro ha ben pensato di svuotarla di ogni potere legislativo, generando una crisi istituzionale gravissima. Nel 2017 Maduro ha chiamato il popolo a votare una nuova assemblea: l’Assemblea Costituente. Le elezioni sono state contestate da tutte le opposizioni in quanti irregolari, in particolare dalla procuratrice generale Luisa Ortega Dìaz, che ha promosso davanti alla Corte Suprema un’azione nei confronti di Maduro. Una volta insediatasi, l’Assemblea Costituente ha votato all’unanimità la destituzione della procuratrice generale. L’8 agosto 2017 l’Assemblea Costituente è diventata l’organo governativo con il potere assoluto sulle altre istituzioni, questo provvedimento ha svuotato l’Assemblea Nazionale (il Parlamento in mano all’opposizione fin dal 2015) di ogni potere. Non finisce qui, perché l’Assemblea Costituente ha anche proibito a tre partiti di opposizione, tra cui Voluntad Popular di Juan Guaidò, di partecipare alle elezioni presidenziali del 2018, sostenendo che avessero boicottato le precedenti elezioni amministrative. Ma ad aggravare ancora di più la posizione di Maduro è stata la detenzione del mentore politico di Juan Guaidó e fondatore del suo partito: Leopoldo López, che venne arrestato cinque anni fa in una situazione simile a quella di ieri, cioè una sorta di auto-proclamazione.
Cosa sta succedendo oggi?
Tenendo presente la situazione politica ed economica del Venezuela, torniamo all’oggi. Il Venezuela è un paese sull’orlo del collasso: la classe media non esiste più, il governo ha razionato il cibo, che distribuisce alla popolazione radunata in lunghe file di persone. In Venezuela la fame spinge letteralmente a uccidersi per un pezzo di pane o un sacco di farina. Sono sorte bande armate che assaltano i furgoni che distribuiscono alimenti, e il governo ha applicato una dura repressione contro la guerriglia urbana che è insorta per le strade. Il paese è da mesi sull’orlo del collasso, non solo a livello economico, sociale e politico, ma anche amministrativo: infatti la macchina amministrativa va avanti a fatica, perché anche i dipendenti statali sono senza cibo e stipendio. La sola cosa che Maduro riesce ancora a tenere sotto controllo, oltre all’Assemblea Costituente, è l’esercito.
In questa situazione disperata, le stime economiche internazionali sul Venezuela sono tutt’altro che positive: si stima un crollo del PIL fino al 19%, e cosa forse peggiore, si teme che entro fine anno l’inflazione del Venezuela salga attorno a 1 milione%. Questo vuol dire che quel caffè invece che 1000 bolivar, potrebbe arrivare a costare 1 milione di bolivar. Per far fronte a questa forte crisi, Maduro, anche se ormai in ritardo, nell’agosto 2018 ha deciso di svalutare la moneta venezuelana, emettendo una nuova moneta chiamata bolivar soberano (bolivar sovrano). La nuova moneta avrà cinque zeri in meno rispetto alla vecchia moneta (1 bolivar soberano equivale a 100000 vecchi bolivar), ma questa manovra non solo ha legato ancora di più l’economia venezuelana al petrolio, ma si è rivelata sostanzialmente inutile, oltre che tardiva.
In estrema sintesi possiamo dire che la crisi venezuelana è frutto da un parte di dinamiche legate all’economia mondiale, ma all’altra sicuramente di una grande incapacità di Maduro e degli altri uomini al potere, che non riuscendo a far uscire il paese dalla crisi istituzionale ed economica, hanno instaurato in modo progressivo una dittatura basata sulla repressione.
Ieri, all’auto-proclamazione di Juan Guaidò molti commentatori hanno parlato di un rischio concreto di guerra civile, nonché di pericolose ingerenze internazionali da parte di altri paesi. Tuttavia guardano alla situazione del Venezuela, risulta evidente come di fatto sia già in atto da tempo una guerra civile, anche perché parliamoci chiaro: in una situazione come quella venezuelana il popolo più che alle ingerenze internazionali è interessato “a mangiare”. Allora forse, per quanto poco desiderate, in questo caos senza precedenti le ingerenze internazionali potrebbero essere il solo modo del Venezuela per scongiurare esiti meno cruenti. La speranza è quella che la pressione internazionale riesca a contenere i dissidi interni, piuttosto che sfociare in una versione sudamericana del conflitto siriano, cosa che nessuno avrebbe interesse a fare. Sul cosa succederà dopo, chiaramente, non si possono avere certezze.
Per questo forse dobbiamo guardare con maggior simpatia, ma pur sempre con cautela, all’auto-proclamazione di Juan Guaidò, e quantomeno, vista la difficile situazione che ha affamato un intero paese, è nostro dovere rivalutare il forte impatto delle scelte economiche di un governo nella nostra vita quotidiana, nonché l’importanza della democrazia. Perché è da lì che passa la possibilità di fermare una situazione economicamente pericolosa prima che sia troppo tardi.