L’analisi che abbiamo iniziato negli scorsi mesi, concernente le fazioni che si contendono i campi di battaglia in Siria e in Iraq, non poteva non concludersi con l’entità che, ormai da oltre due anni, ha assunto la veste del volto del terrore e del male incarnato, soprattutto agli occhi dell’Occidente: l’autoproclamato Stato Islamico.
La prima cellula di quest’ultimo, nota come AQI (Al-Qaeda in Iraq) e composta prevalentemente da reduci del disciolto esercito di Saddam Hussein, cui l’amministrazione Bush aveva perfino negato il trattamento pensionistico, è stata fondata nel 2004 dal terrorista giordano Abu Musa’b Al-Zarqawi. Successivamente, nel 2006, ha assunto la denominazione di ISI (Stato Islamico dell’Iraq) ed ha inaugurato una nuova stagione di guerriglia contro le forze di occupazione e contro il regime sciita di Baghdad, dichiarando come scopo ultimo la secessione delle regioni centro-settentrionali del Paese, le quali avrebbero costituito il nucleo di un nuovo califfato islamista. Negli anni successivi, le fila dell’organizzazione si sono ingrossate a dismisura, accogliendo al loro interno non più solo ex baathisti iracheni, ma anche jihadisti provenienti da tutto il mondo musulmano, soprattutto dalla Cecenia e dai Paesi del Maghreb. Lo scoppio della Guerra Civile Siriana, avvenuto nel 2011, ha offerto poi un teatro operativo perfetto ai militanti dell’Isi, all’interno del quale questi ultimi hanno potuto affinare tattiche ed esperienze di guerriglia, oltre a stringere accordi con altri gruppi locali. Abu Bakr Al-Baghdadi, autoproclamatosi leader nel 2012, è salito alla ribalta internazionale quando ha dichiarato pubblicamente di essere intenzionato a fondere la sua fazione con il Fronte Al-Nusra, altra emanazione qaedista attiva in Siria e guidata da Abu Mohammad Al-Julani; in seguito al netto rifiuto opposto a tale ipotesi dal leader supremo di Al-Qaeda, Ayman Al-Zawahiri, l’Isi ha iniziato a muoversi autonomamente sul territorio siriano, fino al punto in cui le relazioni con la “casa madre” fondata da Osama Bin-Laden si sono definitivamente interrotte nel 2014.
Da quel momento in poi, l’organizzazione di Al-Baghdadi ha assunto la denominazione che l’ha resa famosa nel mondo, ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), ed ha dato il via ad una vasta campagna espansionista ai danni delle altre forze ribelli siriane, dei curdi del Rojava e del regime di Damasco. Nell’arco di pochi mesi, tra la tarda estate del 2013 e la primavera del 2014, i miliziani jihadisti hanno conquistato quasi tutta la Siria nord-orientale, stabilendo il loro quartier generale a Raqqa, sulle rive dell’Eufrate, ed iniziando ad infiltrarsi progressivamente anche in un Iraq apparentemente pacificato, ove hanno occupato pressoché senza colpo ferire Fallujah ed alcuni quartieri di Ramadi, nella provincia a maggioranza sunnita di Al-Anbar, ove si sono presentati come difensori del vero Islam, a loro dire bistrattato dall’esecutivo sciita al potere. Tuttavia, è stato nel giugno del 2014 che gli uomini di Al-Baghdadi hanno sconvolto il mondo, quando, forti di sole millecinquecento unità e del tutto sprovvisti di mezzi blindati, hanno sconfinato nell’Iraq del nord ed hanno conquistato quasi senza sparare la città di Mosul, difesa da oltre trentamila soldati. Con un discorso in diretta televisiva destinato a passare alla storia e tenuto nella simbolica cornice della più importante moschea della città, il leader dell’ISIL ha proclamato ufficialmente la nascita dello Stato Islamico, un Califfato di ispirazione salafita, diretto discendente dell’impero islamico del VII secolo. L’avanzata delle sue truppe è stata rocambolescamente fermata sulla via di Baghdad dall’intervento del generale iraniano Qasem Soleimani, mentre a nord-est, pressoché in contemporanea, le unità peshmerga curde hanno fatto altrettanto a pochi chilometri da Erbil, il loro capoluogo. In seguito, l’ingresso in scena della coalizione militare a guida americana con relativi raid aerei ha determinato, tra la fine del 2014 e l’alba del 2015, la prima, vera sconfitta sul campo dei miliziani in divisa nera, respinti dagli YPG curdi nell’assedio di Kobane, cittadina curda posta al confine tra Siria e Turchia.
All’apice della sua potenza, approssimativamente tra il giugno del 2014 e il maggio del 2015, lo Stato Islamico poteva contare,
In ogni caso, la tenacia fanatica mostrata sui vari campi di battaglia ha permesso ai combattenti di Al-Baghdadi non solo di conquistare, ma anche di mantenere a lungo un agglomerato di territori vasto come uno Stato di piccole-medie dimensioni, all’interno del quale il sedicente Califfato ha imposto un’applicazione rigida ed estremista della sharia, tasse e dazi, elargendo nel contempo servizi quali elettricità, sussidi e servizi idrici pubblici, mostrati orgogliosamente nei numerosi video di propaganda diffusi in rete. Tuttavia, nel corso degli ultimi mesi, la situazione si è fatta, fortunatamente per l’Occidente, sempre più difficile per i suoi accoliti. Sconfitte come quelle di Tikrit, di Ramadi, di Kobane, di Al-Shaddadi e di Baiji non solo hanno colpito duramente l’aura di invincibilità che li circondava e che aveva permesso di attrarre migliaia di foreign fighters dall’Europa, ma ha anche oggettivamente eroso il terreno su cui esercitavano il loro potere. E’ notizia di pochi giorni fa la riconquista della città patrimonio dell’umanità di Palmira, conseguita dall’esercito del raìs di Damasco con il decisivo appoggio dell’aeronautica russa, mentre altri reparti hanno fatto altrettanto con Al-Qaryatayn e, in Iraq, le forze del governo hanno iniziato le operazioni preliminari per la riconquista di Mosul. Molti importanti capi dell’organizzazione, militari e non, tra cui il geniale stratega Abu Omar Al-Shishani, sono stati uccisi in battaglia o in seguito a bombardamenti, con lo stesso Al-Baghdadi colpito e, pare, paralizzato a letto circa un anno fa. L’impressione è che, entro la fine dell’estate, il sedicente Stato Islamico, che ha perso in diciotto mesi quasi trentamila uomini solo a causa dei raid aerei delle coalizioni, sarà eradicato da Siria e Iraq. Tuttavia, la partita resta ancora aperta in Libia, ove, purtroppo, il Califfato nero, noto anche come Daesh in arabo, è ancora forte e saldo a Sirte e dintorni.