La Stagione Danza del Teatro Verdi di Pisa ha salutato il 2018 con una delle grandi compagnie di danza italiane, l’Aterballetto, che ha presentato Tempesta, una coreografia originale di Giuseppe Spota, lo scorso 21 dicembre.
Tempesta è l’ultima opera di Shakespeare (1611) e appartiene al gruppo dei “romances”, commedie romanzesche caratterizzate dalla rielaborazione delle tragedie e delle commedie precedenti. In questa opera è significativa la presenza di una maggior saggezza dei protagonisti, che mostrano una più ampia tolleranza verso le debolezze umane. Tempesta è stata pertanto definita come il “testamento spirituale di Shakespeare”.
La trama in breve
Prospero, duca di Milano, per dedicarsi totalmente ai suoi studi di magia, affida il governo dello Stato al fratello Antonio, uomo ambizioso, che approfitta dell’incarico per spodestarlo insieme al re di Napoli. Così Prospero e la figlia Miranda, di tre anni, vengono trascinati una notte su di una nave e abbandonati alla deriva in alto mare. Questa, spinta dalle tempeste e dai venti, approda su un’isola abitata soltanto da Calibano, un uomo-mostro, e da Ariel, lo spirito dell’aria imprigionato dalla madre di Calibano.
Qualche anno più tardi il re di Napoli con l’unico figlio Ferdinando, insieme ad Antonio, il falso duca di Milano, e ad altri gentiluomini, costeggiano con le loro navi l’isola sulla quale sono naufragati Miranda e Prospero. Quest’ultimo, colto dal desiderio di vendetta, simula una tempesta per far naufragare la nave del re con l’aiuto di Ariel. Qui Ferdinando incontra Miranda e tra i due è subito amore. Il re di Napoli, intanto, piange il figlio, che crede morto nel naufragio. Tra complotti, peripezie e magie, Prospero riesce a perdonare il fratello. Ferdinando e Miranda si dichiarano il loro amore. Nel finale Prospero rinuncia alla sua potenza soprannaturale e, spezzando la sua bacchetta, vanifica ogni magia, ma non prima di aver liberato Ariel dalla sua prigionia, che si libera nell’aria.
La Tempesta di Spota
Una “Tempesta in danza”, questa è stata la nuova sfida ben riuscita della compagnia.
La creazione coreografica sviluppata dal coreografo Spota, insieme al drammaturgo Pasquale Plastino, ha seguito lo sviluppo diacronico della storia, mostrando anche i moti dell’animo dei personaggi, attraverso una forte tecnica contemporanea. A partire dal duetto iniziale tra i due fratelli, Prospero e Antonio, interpretati rispettivamente da Hektor Budlla e Damiano Artale, che hanno danzato accanto ad uno schermo posto al centro della scena che trasmetteva in bianco e nero un gioco di forza tra due bambini. Il duetto intenso fatto di pesi e contrappesi, spostamenti e cadute al suolo, ha introdotto la faida scatenante della vicenda.
Di grande effetto “cinematografico” sono state le scenografie di Giacomo Andrico, unite alle musiche originali di Giuliano Sangiorgi, front man dei Negramaro.
Fin dalla prima Tempesta il mare è stato ricreato con degli specchi utilizzati prima come parallelepipedi a costruire il trono reale, poi mosse dal corpo di ballo, a formare le onde del mare.
Ad Ariel (Roberto Tedesco) è affidato il compito di influenzare positivamente Prospero, mostrandogli l’amore sbocciato tra Miranda e Ferdinando. Con un costume formato da lunghe frange gialle e una cuffia, si muoveva come sospinto dal suo elemento naturale, l’aria. Come escamotage per simulare il volo, a mio avviso ben riuscito, è stato scelto di inserire due danzatori vestiti completamente di nero, attraverso una concatenazione di prese che lo facevano visivamente fluttuare nell’aria.
Lo spettacolo è ben curato nei dettagli: dai costumi realizzati da Francesca Messori che sembrano come dipinti addosso ai danzatori che impersonano la tribù di indigeni di Calibano (Philippe Kratz), alle coreografie di gruppo e duetti nei quali spiccavano le “tempeste” interiori di tutti i personaggi. In particolare sottolineiamo quella di Calibano, che da uomo-indigeno e solitario dell’isola scopre l’altro diverso da lui, Prospero, e l’amore per Miranda (Martina Forioso). Anche il personaggio di Miranda si trasforma, da bambina a donna, attraversando le proprie emozioni attraverso una coreografia di sole danzatrici, con movimenti morbidi e all’unisono. Emozioni che si ritrovano anche nei duetti con i due uomini che la desiderano, Calibano, dal quale cerca di allontanarsi e Ferdinando (Giulio Pighini), che contrariamente ama e ricambia le sue attenzioni.
Si sottolinea anche la danza afro all’unisono, della tribù di Calibano, composta da Sangiorgi, il quale per i suoi componimenti ha utilizzato numerosi strumenti tra i quali pianoforte, marimba, basso e il flauto peruviano, il cui suono immersivo ci trasporta immediatamente in una civiltà remota e indigena.
“Niente sarà più come prima”
La lotta per il potere, la vendetta e la magia si sciolgono davanti all’amore, tanto da far cambiare idea a Prospero e riappacificare gli animi. La vicenda si chiude con Calibano che, dopo essere stato cambiato radicalmente nel suo essere e aver conosciuto persone provenienti da luoghi lontani, rimane sull’isola, raccolto nei suoi pensieri. Di spalle al pubblico, scala i pannelli mobili utilizzati durante lo spettacolo facendoli magistralmente cadere al suolo con un suono sordo che rimbomba nel silenzio, creando un “effetto domino”.
Un grande finale che ha sicuramente fatto riflettere gli spettatori sulla sua condizione di “colonizzato”, ma anche una degna chiusura di uno spettacolo cosi “spettacolare” nelle scenografie in perfetta armonia con i movimenti dei danzatori e le musiche originali e potenti di Sangiorgi.
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