23 Novembre 2024

15 gennaio 2015, un drone armato, probabilmente un MQ-9 Reaper, sorvola la valle di Shawalal, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Ai comandi del velivolo, seduto di fronte ad un monitor, lontano migliaia di chilometri dal suo mezzo, c’è un pilota americano. Questi ha l’ordine di colpire un compound, o meglio, i suoi occupanti: Ahmed Farouq – cittadino americano legato ad Al Qaeda – ed altri tre uomini “adulti, armati”. Tanto basta per far scattare l’attacco e i missili si abbattono sull’obbiettivo, neutralizzando i bersagli, senza che essi possano opporre alcuna resistenza. E’ questa la guerra dei droni, combattuta senza clamore, senza l’impiego di uomini sul terreno, decisa tra Leangly e il Pentagono, per combattere il terrorismo, ovunque esso si nasconda.

Nonostante i sofisticati mezzi della CIA, gli 007 americani, quel 15 gennaio, come di frequente accade, hanno commesso un errore e hanno ucciso, oltre ai quattro bersagli, anche due ostaggi inermi. Questi erano Warren Weistein, settantatreenne americano e Giovanni Lo Porto, cooperante italiano di 40 anni, ostaggio da due anni dei talebani.


La notizia della morte di Lo Porto è stata annunciata mesi più tardi, lo scorso 24 aprile, dallo stesso Presidente Obama, che si è assunto tutte le responsabilità dell’accaduto. La gravità dei fatti, il silenzio seguito all’uccisione degli ostaggi e la poca trasparenza delle operazioni nonché del metodo impiegato per il riconoscimento di Lo Porto, hanno riportato “la guerra dei droni” sulle prime pagine dei quotidiani italiani. Ma la natura di questa guerra, ai limiti del diritto internazionale, combattuta lontano dai riflettori e condotta in segretezza, rende difficile seguirne le dinamiche ed avere una visione d’insieme degli eventi.

090127-F-7383P-001Lo sviluppo dell’ultima generazione di droni, UAV (unmanned aerial vehicle), avviene tra la fine degli anni ’80 e l’inzio degli anni 2000. Tra le nazioni alla guida della ricerca tecnologica, per rendere sempre più efficienti questi velivoli a controllo remoto, ci sono gli Stati Uniti ed Israele. Nel 1995 vede la luce negli USA, costruito dalla General Atomics, uno dei droni tutt’ora più impiegati: l’RQ-1 Predator. Questo, come altri, aveva inizialmente il solo scopo di “osservare” dall’alto, sostituendo gli obsoleti SR-71 o gli aerei spia U2.  Gli UAV, impiegati per sorvolare il campo di battaglia, forniscono assistenza alle truppe a terra o utilizzati per sorvegliare i confini di una nazione, si sono rivelati ormai insostituibili. Tuttora ad esempio, vengono utilizzati dagli USA per sorvegliare il confine col Messico, nel tentativo di individuare gli immigrati clandestini, o dall’agenzia Frontex per monitorare i confini dell’Europa e il traffico di migranti nel Mediterraneo. Anche l’Italia, come quasi tutti i paesi NATO, ha una piccola aereoflotta di droni non armati, che sono stati impiegati con successo in tutte le recenti missioni all’estero, per individuare e segnalare bersagli da colpire.

La  svolta, nell’uso di questi velivoli, avviene tra il 2001 e il 2004, a seguito degli interventi USA in Afghanistan e Iraq. Per la prima volta, grazie alloReaper sviluppo vertiginoso della micro tecnologia, i droni possono alloggiare sotto le ali missili terra-aria e missili aria-aria, diventando a tutti gli effetti dei caccia-bombardieri a controllo remoto. Alcuni UAV diventano UCAV  (unmanned combat aerial vehicle) e in breve tempo, terminati gli scontri in campo aperto, diventano l’arma più preziosa degli Usa per vincere le guerre asimmetriche Mediorientali. Sono del 2005 i droni MQ-9 Reaper e RQ-4 Global Hawk, costruiti per essere armati e impiegati per scovare membri di unità terroristiche, al di là dei confini di paesi sovrani. Questi ufficialmente condannano gli attacchi sul proprio territorio, ma in realtà non possono che essere accondiscendenti. Prima sotto l’amministrazione di George W. Bush e poi sotto quella di Barack Obama, gli attacchi si sono moltiplicati e hanno avuto luogo, oltre che in Iraq (adesso contro Daesh, dove un raid, il 18 marzo scorso, avrebbe ferito gravemente il Califfo Al Baghdadi) e in Afghanistan, in Somalia, Yemen e Pakistan. In quest’ultimo paese, l’organizzazione New America Foundation stima che dal 2004 ci sarebbero stati più di 400 “strikes”, con un totale di più di 3000 vittime. Alcune di queste, purtroppo, sono civili, tanto che Amnesty International diffuse nel 2013 un rapporto intitolato “Sarò io il prossimo? Gli attacchi statunitensi coi droni in drone1-1024x523Pakistan” che rivelava come molte delle vittime degli attacchi fossero civili inermi, condannando la scarsa efficienza dei servizi nell’individuazione dei bersagli e la “pressoché totale assenza di trasparenza del programma statunitense”. Il Presidente Obama, accusato di aver autorizzato l’assassinio di cittadini statunitensi affiliati ad organizzazioni terroristiche fuori dai confini USA, ha reso più severe le regole del programma droni, concedendo però “più flessibilità alla CIA in Pakistan”, secondo fonti del Wall Street Journal. Una CIA non forse sempre all’altezza dei suoi intenti è quindi responsabile dell’uccisione di Lo Porto e Weistein, ennesime vittime della lotta al terrorismo.

RQ4BGlobalHawkx600Ma perché, nonostante le critiche trasversali sull’impiego di questi sistemi d’arma, i droni sono sempre più presenti negli arsenali, come nell’immaginario collettivo? I droni militari rappresentano una svolta epocale nel modo di fare la guerra, tanto quanto lo fu la polvere da sparo o l’invenzione della bomba atomica. Per la prima volta è possibile colpire un obiettivo, con armi convenzionali, fisicamente distante migliaia di chilometri, schiacciando un pulsante. Gli UCAV sono più economici dei jet che stanno sostituendo (4 milioni di dollari è il costo di un Predator, contro i 339 milioni di un F22 di ultima generazione), hanno bisogno di minor manutenzione, possono volare fino a 30 ore consecutivamente (molto oltre il limite di sopportazione fisica umana) e soprattutto minimizzano le perdite, poiché se abbattuti può solo comparire la scritta Game Over al suo conducente negli USA. La guerra non è un gioco, ma lo sta diventando grazie a strumenti di morte controllati con un joystick. Questo è uno dei numerosi problemi sorti in seguito all’adozione dei droni in battaglia e sicuramente non è il più grave. Due dei problemi più spinosi riguardano il diritto internazionale e la legislazione americana. Per il primo, un attore politico – nel nostro caso gli Stati Uniti – non potrebbe certo violare la sovranità territoriale di una nazione, per dare la caccia ai propri nemici. Questo comunque accade perché sarebbe impossibile contare sulla collaborazione attiva del governo del Pakistan come di quello dello Yemen o addirittura della Somalia dove l’autorità legittima non ha nemmeno il controllo del proprio territorio. Per il secondo problema, l’amministrazione americana dovrebbe procedere ad arrestare i sospetti terroristi di cittadinanza americana per processarli negli USA. Ciò non accade e possiamo affermare che i servizi segreti si assumono la responsabilità di assassinare coloro che sono una minaccia per gli Stati Uniti, senza preoccuparsi troppo di rappresentare la più grande democrazia del mondo. Anche in questo caso però, possiamo dedurre che sarebbe pressoché impossibile trarre in arresto soggetti altamente pericolosi, pronti a tutto piuttosto che cadere nelle mani della CIA.

La guerra al terrore si è dimostrata inefficace, se comporta l’invasione massiccia delle nazioni colpevoli di nascondere e aiutare gli islamisti.1280px-RQ-4_Global_Hawk_3 La guerra dei droni, sebbene sia colpevole della morte di tanti innocenti e sia responsabile di un acceso anti americanismo nei paesi oggetto di attacchi, pare al momento l’unica arma adeguata a combattere un nemico sfuggente e tenace. Dovremo sempre più abituarci a sentir parlare di Predator e Global Hawk, perché in futuro saranno sempre più importanti per la risoluzione delle guerre asimmetriche, che oggi infiammano lo scacchiere globale. È necessario però che la CIA superi i propri limiti e il proprio cinismo, perché se ci abituaremo ad essere sempre sorvolati da UCAV, non ci dovremo mai abituare a ricevere notizie come quella dell’uccisione di civili o di ostaggi inermi.

Lamberto Frontera


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Lamberto Frontera

Classe 1995, laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli Studi di Firenze, appassionato di storia, politica ed economia, oltre che di informatica, cinema ed arte, scrive per Uni Info News dal 2015

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