L’ISIS ha colpito ancora. Dopo il tragico novembre parigino i terroristi islamici hanno colpito lo scorso 22 marzo a Bruxelles, capitale del Belgio e cuore dell’Europa, causando la morte di 28 persone e il ferimento di altre 340 (il bilancio non è ancora definitivo). I big europei si sono immediatamente adoperati per confezionare i soliti messaggi standard di cordoglio e per posizionare le solite bandiere a mezz’asta sulle sedi istituzionali, a cui si sono aggiunte le continue promesse di rafforzamento delle misure di sicurezza e la garanzia di una più stretta collaborazione tra le intelligence dei paesi dell’Unione Europea. Sono passati cinque mesi dalla strage del Bataclan e nulla è cambiato: i terroristi girano ancora indisturbati per le strade, nelle metropolitane e negli aeroporti con bagagli pieni di esplosivi, le misure di sicurezza sono inesistenti o, peggio ancora, non vengono applicate ed i servizi segreti nazionali invece che collaborare continuano a farsi concorrenza tra loro. Finché l’Europa continuerà ad agire solo con misure di emergenza temporanee, senza cioè un piano a lungo termine, gli attacchi terroristici saranno all’ordine del giorno. L’UE deve varare un piano anti-terrorismo preventivo e, soprattutto, deve smetterla di attuare piani “repressivi”, cioè deve smetterla di chiudere il recinto dopo che i buoi sono scappati.
Per chi non l’avesse ancora capito, o per chi continua a negarlo, siamo in guerra. Lo Stato Islamico non ha scrupoli, colpisce ovunque e chiunque, vuole minare le nostre certezze e le nostre libertà; l’IS vuole iniettare il veleno della paura a noi europei, il suo obiettivo è quello di non farci sentire al sicuro quando andiamo al cinema, a teatro, al bar o in qualsiasi luogo pubblico. L’ISIS vuole toglierci la gioia di vivere per farci cadere nel terrore, e per adesso, grazie all’impotenza, al permissivismo e all’inadeguatezza dell’Unione Europea, ci sta riuscendo. I terroristi giocano, e continueranno a giocare, sulla mancanza di un’identità comune europea, la quale va trovata il prima possibile, prima che sia troppo tardi. L’UE deve cambiare la sua ragione di vita: non più solo un’Unione monetaria, ma anche un’Unione sociale e culturale; se vogliamo sconfiggere l’ISIS dobbiamo creare gli Stati Uniti d’Europa.
In Italia, però, l’attacco a Bruxelles e le lacune normative ed organizzative dell’UE sono passate in secondo piano. Il popolo italiano, o almeno una parte di esso, ha preferito rivolgere la propria attenzione altrove, cioè su Matteo Salvini. Il leader della Lega Nord si stava recando a Bruxelles durante gli attacchi, e quando è arrivato nella capitale belga ha dato vita ad un suo personale reportage via Twitter con foto che lo ritraevano in una Bruxelles blindata e militarizzata. Il popolo del web, e non solo, si è fatto subito sentire, accusando Salvini di essere uno “sciacallo xenofobo a caccia di voti”. Naturalmente non sono mancate le battute su “Salvini assenteista per antonomasia”, così definito dalla Guzzanti; poco importa se i dati dicono che Salvini ha l’84% di presenze in Parlamento europeo. Senza entrare nel merito del contenuto dei tweet di Salvini, che sicuramente saranno ben accolti dall’elettore leghista e di destra e disprezzati dagli elettori delle altre forze politiche, il problema è che l’attenzione è andata su un tema di scarsa rilevanza. In un giorno così triste per l’Europa i tweet di Salvini dovrebbero essere l’ultimo dei problemi, ed invece sono diventati l’argomento più dibattuto. Attaccare in modo così plateale Salvini e accusarlo di sciacallaggio significa deviare l’attenzione altrove, e di proposito, per non dare indirettamente ragione a Salvini stesso: anche questo modus operandi è una forma di contro-sciacallaggio politico.
Poco importa, quindi, se siamo in guerra, poco importa se anche il 22 marzo abbiamo fatto l’ennesima conta dei morti, poco importa se, mentre Salvini postava su Twitter le foto di Bruxelles, il consigliere comunale del PD di La Spezia, Enrico Conti, scriveva su Facebook che era “pronto a tagliare qualche testa islamica”. Sembra che, a causa della presenza di Salvini a Bruxelles, la situazione sia stata letta in maniera diversa rispetto a Parigi: non c’è stato bisogno di prendersela con l’ISIS, non c’è stato bisogno di cambiare l’immagine del profilo Facebook con la bandiera del Belgio e non c’è stato bisogno di scrivere “Je suis Bruxelles”. Tanto, per qualcuno, è tutta colpa di Salvini.
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