True Detective (2×03)
:
Maybe Tomorrow
Il rapporto tra una serie tv ed i propri fan alle volte può essere segnato da considerevoli alti e bassi, contraddistinto da un percorso non sempre lineare e appagante; le delusioni, per quanto crudeli che siano, sono costantemente dietro l’angolo ed in più di un’occasione basta un niente per far crollare tutte le tessere del domino di una storia che, magari, fino ad ora era riuscita a catturarci.
Metafore a parte, Maybe Tomorrow, titolo del terzo episodio di True Detective, giunge in un momento particolare della narrazione, figlio del cliffhanger della precedente puntata che aveva fatto sussultare tutti noi per l’estrema decisione di concludersi con una sparatoria che vedeva protagonista il detective Velcoro, il quale era rimasto agonizzante e (apparentemente) morente a terra, dinnanzi ad una figura spettrale, con addosso una maschera raffigurante la testa di un corvo.
Questa notte abbiamo avuto la triste conferma che la tensione accumulata sette giorni fa era stata articolata, ed orchestrata a regola d’arte dagli autori, per donare un più po’ di suspense, piuttosto che per segnare una vera e propria svolta nelle indagini e nella serie tv, che a priori, magari, avrebbe avuto il suo peso e lasciato davvero il segno in futuro, se non altro per l’audacia di eliminare un protagonista dopo solo 120 minuti. Troviamo, infatti, un Colin Farrell ferito, è vero, ma tutt’altro che agonizzante o sul punto di morte, e dietro ad un incipit onirico, chiaramente devoto al mondo di David Lynch nella sua messa in scena, grazie ai toni delle luci ed a dei richiami alla figura de Il Nano ed alla Loggia Nera, che per Ray Velcoro ha le sembianze di un lurido bar di periferia, si è subito a conoscenza del fatto che i proiettili, sparati a distanza ravvicinata sul petto del corrotto investigatore, siano solo di gomma e non di sale o piombo come in molti avevano pensato.
Sebbene, ad ogni modo, questa scontata scelta di Pizzolato, resti comunque apprezzabile, se non altro perché quanto meno si conserva un approccio classico nelle indagini, aumentando la tensione e facendo credere, a noi tutti, che il pericolo a Vinci sia dietro l’angolo, Maybe Tomorrow ha la capacità di distruggere quasi totalmente tutto quello che di buono si è potuto osservare fino ad ora della seconda stagione di True Detective.
E’, di fatto, la lentezza e la ripetitività a farla da padrone, la voglia di voler approfondire storie su storie, dare ai personaggi quella profondità psicologica che nella scorsa stagione era riuscita ad emergere in perfetta sincronia non solo attraverso l’interazione tra Rust e Marty, ma sopratutto con il progredire della storia. A questo secondo appuntamento antologico, invece, pare che con l’aumentare dei protagonisti (sia buoni, che cattivi, anche se i secondi ancora fanno fatica ad emergere) abbia causato una drastica necessità di prendersela, generalmente, con calma, e qualche dubbio sulla potenza della sceneggiatura e, nello specifico, del suo lato noir, viene piano piano a galla.
Laddove un anno fa, nel caldo torrido della Luisiana, esistevano delle strade ben delineate da percorrere, che potremmo paragonare a scelte narrative, oggi ci troviamo di fronte ad un districo di bivi ed incroci, esattamente come quelli proposti nelle panoramiche aeree delle autostrade di Los Angeles, dove ognuno di essi non porta ad altro che ad un piccolo tassello di un puzzle che sembra impossibile possa essere risolto in soli otto episodi.
La storia, al momento, sembra essersi arenata, perché Raymond, Antigone e Paul restano immischiati nelle ricerche, nel campo della prostituzione e della malavita locale, continuando a fare interrogatori e domande (a volte un po’ a casaccio) nelle abitazioni sia di personaggi illustri che di uomini e donne che vivono in condizioni disagiate. Semyon è preso dai suoi affari, dai problemi che la morte di Caspere ha causato ai suoi profitti ed ai suoi progetti futuri, affiancati a loro volta dall’impossibilità di avere figli, con conseguente litigio con la moglie.
Non abbiamo colpi di scena, se non un inseguimento gratuito, nei minuti antecedenti i titoli di coda, e tutt’altro che appagante, ma comunque si continua a scavare nella vita dei protagonisti; la sceneggiatura predilige avanzare per vie traverse, quasi a voler prendere tempo, paradossalmente additando Vince Vaughn quale ariete per scardinare le porte della staticità, dando a lui i momenti migliori e conferendogli qualche dialogo riuscito, mentre il resto del cast si adagia su una routine che, arrivati al terzo episodio, e quasi a metà stagione (ricordiamolo bene!), non fa che appesantire il tutto, dimostrando, da un lato una certa linearità, dall’altro una mancanza (probabile) di idee, o, se proprio vogliamo essere buoni, una totale inadempienza nel saper cogliere il potenziale di una storia noir (a cui piace vestire i panni dei classici thriller un po’ alla Ellroy) che fino ad ora, proprio nella sua prova decisiva, con Maybe Tomorrow, non ha centrato il punto cruciale, in parte fallendo. Pur rimanendo ancorato ad una rappresentazione tutt’altro che parallela alla precedente, il nuovo caso di True Detective non riesce appieno nella sua critica sociale, ma, sopratutto, arriva con il fiato corto in un momento importante, e questo non va bene, per niente.
Voto: 6 (su 10)
Comments