Amici della manine (👐), in attesa di un entusiasmante procedura d’infrazione della Commissione Europea, la settimana appena trascorsa si è caratterizzata per il nuovo scontro M5s vs Libera Stampa, ma, oltre a questo, “udite udite”, anche per la proposta di introdurre una differenziazione tra la sedi dei Corsi di Laurea. Insomma, tutti potranno fare quello che vogliono, perché uno vale uno: i giornalisti non servono anche se magari hanno studiato per scrivere sul giornale x e la laurea sarà chiaramente un optional. Il 110L non conta più, ma anche un 100 di Milano potrebbe essere diverso da un 105 di Firenze e valere pertanto di più. Tutto non serve e sarà abolito, il Governo, allora, pensa e ripensa e, giorno dopo giorno, giunge a un rapido rimedio: una piena sostituzione delle Università con l’università della vita. L’iscrizione all’UniVita sarà aperta a chiunque e la laurea si baserà su un autocertificazione, benvenuti quindi in Trashopoli 6: Uni Info News per l’Università della Vita ✌️.
★★★★★ – Allora aboliamo tutto! – Negli ultimi giorni si è assistito all’ennesimo litigio tra Lega e 5 Stelle. Stavolta, il pomo della discordia sembra essere il sistema universitario italiano. In particolare, la Lega vorrebbe abolire il valore legale del titolo, creando di fatto una distinzione tra “Università di serie A” (al nord) e “Università di serie B e C” (al sud) per l’accesso ai concorsi pubblici, i quali ormai sono sempre meno, sia in termini di concorsi organizzati che di numero di posti disponibili. Dall’altra parte della barricata, alcuni esponenti del MoVimento 5 Stelle hanno avanzato la proposta per cui il voto di laurea non dovrebbe contare come requisito di accesso ai concorsi pubblici. Anche in questo caso, verrebbero penalizzati i laureati delle università del sud, considerate troppo generose nei voti di laurea. L’idea di entrambi i partiti sarebbe quella di “democratizzare” l’università, ma in realtà si andrebbero a punire gli studenti più meritevoli di nord e sud Italia.
Uni Info News avanza allora la sua proposta: aboliamo tutto! Se vogliamo una società realmente democratica e accessibile per tutti dobbiamo abolire la laurea, oppure possiamo equiparare i titoli di laurea di “Università della vita” e “Università della strada” con i titoli delle altre facoltà. In questo modo tutti avranno la possibilità di accedere a ruoli nel settore pubblico, anche nelle sfere più alte.
Dunque, immaginiamo per un attimo la vittoria del MoVimento 5 Stelle e della Lega Nord alle elezioni politiche del 2023; ora immaginiamo la prossima squadra di governo: agli Esteri ci sarà Carmela Spampinato, nata a Los Angeles (secondo il suo profilo Facebook) ma residente a Catanzaro. Si era iscritta a Relazioni Internazionali, lasciando l’università dopo 10 anni fuori corso e a soli 18 esami dalla laurea. Il Ministero dei Beni Culturali sarà invece occupato da Tony o’ Scarrafone, neomelodico napoletano che vanta nel suo curriculum l’ingaggio in ben 100 matrimoni e 25 feste di laurea (laurea in università della vita, naturalmente). Alla difesa Enzo Rota, cacciatore bresciano, possessore di 3 fucili e 2 pistole. Nel suo curriculum si vanta di aver sparato, nell’arco della sua vita, a 15 persone (rigorosamente est europei e africani) che stavano violando la sua proprietà. Più difesa di così si muore. Alla Sanità andrà Valentino Rossi. Sì, il motociclista. Andatelo a spiegare a Di Maio che “The Doctor” è un soprannome e non il suo titolo di studio. Al Ministero del Lavoro verrà nominato tal Luigi di Maio, giovane avellinese che non ha mai finito l’università e non hai mai lavorato nella sua vita (ok, questo è già realtà). Agli Interni è confermato Matteo Salvini, che di mestiere fa il “40enne su Facebook”, il quale verrà affiancato da Kevin detto “il gorilla”, famoso buttafuori delle discoteche della Brianza. Data l’esperienza nel settore, sarà lui in persona a mandare via gli immigrati dal nostro paese. Per finire, alla Presidenza del Consiglio ci sarà ancora Giuseppe Conte, rimasto intrappolato a Palazzo Chigi dal 2019, entrato in profonda meditazione nel quale si chiedeva quale fosse il suo ruolo.
Con questa compagine di governo non verrà assicurata la crescita e lo sviluppo dell’Italia, ma almeno avremo una società realmente democratica che darà a tutti pari possibilità.
★★★ – Abolito pure il dissenso! – Eleonora, una pacifica casalinga 59enne residente a Borgo Pio, nemica del governo del popolo, stava contestando Matteo Salvini ed è finita in commissariato. “Buffone, buffone “, urlava al vicepremier. E’ poi con il cominciare di inammissibili fischi che agenti in borghese, guardie pretoriane del capitano, l’hanno accerchiata, spintonata e zittita, per poi portarla via.
“ La libertà d’espressione è necessaria, poiché i cittadini silenziosi sono dei perfetti sudditi di un governo autoritario” scriveva Robert Dahl in Sulla Democrazia. Ma se forse è (ancora) presto per poter parlare di governo autoritario, cominciano, però, ad essere lampanti numerosi segnali di crisi democratica. Difficilmente possiamo certificare uno stato di crisi della democrazia, secondo le linee tratteggiate dalla Scienza politica, ma siamo senza dubbio di fronte a sempre più frequenti avvisi di crisi nella democrazia. Più che di regime autoritario, si dovrà parlare di democrazia illiberale. La stessa dei riferimenti di Matteo Salvini, quella di Viktor Orbán, leader indiscusso d’Ungheria. Quella, nazionalista ed antieuropeista, in cui conta solo la voce del “ popolo ” e tutte le altre, quelle dei tecnici, degli esperti, dei giornalisti, degli altri partiti, degli oppositori o di tutte quelle parti di popolo che non la pensano come i governanti, vengono costrette al silenzio con minacce, intimidazioni e ostentazioni di arroganza.
E’ un gioco pericoloso, le forze democratiche, senza cadere nel tranello delle provocazioni e della radicalizzazione, tengano alta la guardia.
★★ Sciogliersi come Leu al Sole – “Mi spiace Leu, la tua avventura nella XVIII Legislatura finisce qui” pare abbia detto Gramsci, rivoltandosi nella tomba.
L’idea di elaborare una sintesi politica all’interno di un unico raggruppamento, la base del ragionamento gramsciano recepito da tutte le sinistre fino agli anni Ottanta, trova un clamoroso insuccesso con lo scioglimento dell’ennesimo cartello della sinistra -più-a-sinistra, dilaniato dalle divisioni dei suoi carismatici leader.
Boldrini, Grasso, D’Alema, Bersani, Civati e Speranza manifestano la loro incapacità di cooperare verso un percorso comune, facendo emergere plasticamente come il risentimento (verso Renzi) fosse il loro principale collante.
E, d’altronde, costruire un punto di arrivo tra chi identifica la sinistra in un “chiamatemi Presidenta!” e chi tenta di copiare slogan altrui (“Per i molti, non per i pochi”, bello peccato l’abbia coniato Corbyn) sarebbe stato una sfida politica, campo estraneo ai nostri generali.
A noi elettori rimane il rammarico di constatare come, difficilmente, dopo questo successo i personaggi chiave della nuova sinistra del Ventunesimo secolo decideranno di farsi da parte, volendo rimanere a trasmetterci i veri valori della sinistra e come arginare la destra “regressiva”, termine oggi di moda, in poppa in tutto il Vecchio Continente.
Un suggerimento: una bella vacanza ad Honolulu, ad insegnare il politicamente corretto a quel maschilista di Merlino, non sarebbe meglio?
★ Chi è senza peccato scagli la prima pietra – Vi è mai successo di passare di sera tardi per uno dei viali principali della vostra città, accostarvi un attimo per rispondere al telefono mentre guidate, e vedere qualcuno avvicinarsi lentamente alla vostra auto, con una certa disinvoltura, per bussare al finestrino appannato. Voi intravedete quella sagoma ma non capite chi è, lo tirate giù, eccola, un po’ lo avevate intuito, è lei: l’inviata della Rai della vostra città, vi chiede notizie. Ma voi non ce la fate, tanta è la paura, allora mettete in prima e ripartite sgommando: c’è mancato poco, ma adesso siete salvi, non avete più niente da temere, a meno che il vostro nome non sia Virginia Raggi. Il perché ce l’ha detto l’ex onorevole Alessandro Di Battista, a proposito del processo che ha visto la Sindaca recentemente assolta: “…chiaramente non è colpevole Virginia…I colpevoli sono quei pennivendoli che da più di due anni le hanno lanciato addosso tonnellate di fango con una violenza inaudita. Sono pennivendoli, soltanto pennivendoli, i giornalisti sono altra cosa”. Altra cosa come lo stesso Di Battista che con i soldi del Fatto Quotidiano va a farsi una vacanza familiare in Sudamerica per girare un docu-flop. Ovvio, no? D’altra parte l’importante è non fare il pennivendolo contro la disarmante onestà del M5s, perché si sapeva già che Virginia era chiaramente innocente. Secondo quale criterio di “chiarezza” al di sopra della giustizia, agisca poi la sua mente, Di Battista prima o poi ce lo dirà.
Ma il Dibba ormai “is on fire”, non si placa e rincara la dose: “…le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà”. A rafforzare ancora di più il concetto, se non lo si fosse capito, ci pensa lo statista Luigi Di Maio, con la sua hit: “giornalisti infimi sciacalli”.
Insomma, nel 2018 in Italia abbiamo un grave problema: le nostre strade sono invase da giornalisti in cerca di qualche persona da distruggere, calunniare o insultare, meglio se del Movimento. Lo dicono due giornalisti pubblicisti come Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, che si siano infiltrati nella categoria per distruggerla dall’interno? Non lo sapremo mai, perché i loro articoli sono quasi tutti irreperibili. Ma a questo punto sorge una domanda lecita: i giornalisti sono sciacalli-puttane-pennivendoli-infimi, oppure dipende da qualche circostanza, da qualche screzio passato o presente? C’è un criterio per imparare a discernere tra buoni e cattivi? La risposta più prudente la troviamo nelle parole di un altro giornalista del M5s, il Responsabile della comunicazione del Premier, Rocco Casalino, che intervistato domenica da Fabio Fazio sulle sue dichiarazioni infelici circa i down, replica sul fronte dei giornalisti: “il cane da guardia dovrebbe abbaiare quando davvero c’è qualcosa che non va, non può abbaiare e mordere sempre, perché perde sennò credibilità e autorevolezza”. Peccato che la contro-risposta incriminante gliela fornisca Fazio, e lo fa rispetto al linguaggio giustizialista usato dal M5s negli ultimi anni: “se si sdogana quel linguaggio, ci si deve aspettare che venga restituito in forma uguale e contraria”. In poche parole se i giornalisti sono puttane, come dice Di Battista, nel gioco di “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, non sarà di certo il M5s ad avere la coscienza pulita per lanciare quel sasso.
★★★★ – Un altro scandalo che avrà vita breve, in cattedra il Prof. Salvini – Si è levato un altro polverone di polemiche dai social network dopo la prima puntata di “Alla lavagna” con ospite Salvini.
L’accusa mossa contro il ministro è l’”aberrante” utilizzo di bambini per farsi vedere bene dall’elettorato.
Chi ci guadagna da questo ennesimo scandalo mediatico? La gente comune che punta il dito? L’opposizione in parlamento?
Temo sia, come tutti li scandali nati sulla rete, un fuoco di paglia: oggi c’è, domani non c’è più e si cerca di appiccare un altro incendio per urlare allo scandalo.
Senza prendere le parti di nessuno, ricordiamo che Salvini non è il primo a farsi bello coi bambini (lo hanno fatto anche Berlusconi per lo spot natalizio negli anni 90 e Renzi con i coridei bambimi della scuola Raiti.
Guardando la puntata ci si accorge che il clima è tranquillo, si discute e si parla civilmente, merce rara di questi tempi sui media sia vecchi che nuovi.
Riguardo al bambino con la felpa rosa col viso triste le interpetazioni eccedono e c’è chi ne approfitta per tirare acqua al proprio mulino (vedi Pd) e chi non perde tempo per prendere in giro attribuendo al bambino improbabili parentele (vedi Lega).
Se volessi discutere di qualsiasi argomento, ricomincerei dalle basi cioè dal rispetto altrui e dal saper ascoltare gli altri. Proprio come hanno fatto questi bambini.
Hanno contribuito all’articolo: Francesco Cristallo, Lamberto Frontera, Giulio Profeta, Simone Bacci e Paolo Barontini