Code al botteghino e tutto esaurito per “The Pride”, lo spettacolo di e con Luca Zingaretti, in scena stasera al Teatro Guglielmi di Massa, che registra l’ennesimo successo di questo brillante inizio di stagione.
Alexi Kaye Campbell che Zingaretti ha saputo magistralmente portare in scena, nonostante la sua intrinseca difficoltà. Sul palco, al fianco dell’attore e regista romano che ha recitato nel ruolo di Philip, un eccezionale Maurizio Lombardi nei panni di Oliver, la cui raffinata gestualità ha saputo sposarsi perfettamente alla carismatica personalità di Zingaretti, e un bravissimo Alex Cendron, sempre fluido nei passaggi da un personaggio all’altro. Impeccabile nelle vesti di Sylvia, invece, l’attrice Valeria Milillo, nota al grande pubblico per aver recitato in molte fiction Mediaset, tra cui “Distretto di Polizia”, “L’onore e il rispetto” e “Caterina e le sue figlie”.
«È una scrittura potente, è un testo bellissimo che parla di omosessualità e pregiudizi –
spiega Zingaretti -. Dal punto di vista etico e politico mi sembra il momento giusto: è importante che un personaggio con la mia visibilità metta al centro del dibattito una storia di questo tipo». Ma il fulcro del testo, sottolinea l’attore romano, non è il pregiudizio, ma
la difficile ricerca della propria identità e della risposta a quegli interrogativi che, come piccoli tarli, scavano nella nostra testa le gallerie del dubbio. “Che cosa facciamo per vivere
Le due vicende, che si presentano al pubblico in una sorta di montaggio alternato, si svolgono in periodi di tempo lontani fra loro: l’una nella Londra castigata e bigotta del 1958, dove essere omosessuali era un crimine da punire severamente, l’altra nella City decisamente più spregiudicata e disinibita del 2015. Ma come in un complesso gioco di specchi e di rimandi sulle infinite possibilità in cui l’identità può declinarsi, le due storie finiranno quasi per confondersi nel disperato tentativo di trovare, ognuna secondo schemi diversi, “un significato da sbattere in faccia a questa brevità”, che altrimenti rischierebbe di essere solo “un’orribile mascherata“.