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The Last of Us – Primo fra gli Ultimi

The Last of Us – Primo fra gli Ultimi 

Se qualcuno facesse capolino nel passato, proprio per dare una sbirciata e prendesse nota dei lavori realizzati dalla casa videoludica Naughty Dog verrebbe a conoscenza di quelli che sono alcuni capolavori del genere, si parla di brand del calibro di: Crash Bandicoot, Jack and Dexter ed il recente Uncharted. Ognuna delle serie citate poc’anzi è riuscita non solo ad aggiungere qualcosa in più al mondo dei videogiochi a livello estetico, ma ancor più importante, a livello di trama e narrativa. Così, se da un lato risulta ormai evidente la potenza tecnica che possiede il gruppo di Santa Monica, dall’altro è sempre un piacere scoprire, anno dopo anno, che i (capo)lavori sfornati da questo team risultino essere davvero di ottima fattura e qualità.

Poteva, dunque, fare eccezione l’ultima fatica della Naughty Dog portata alla luce dopo quasi più di due anni di lavori e su cui si è parlato molto fin dal primo trailer, risalente a più di un anno fa? Certo che no!

Prima di addentrarci in questa riflessione, su uno dei titoli più in voga degli ultimi giorni, conviene scrivere due parole sulla natura dell’articolo: il seguente non è una recensione vera e propria, poiché è stato concepito come “mezzo” per avvicinare ed incuriosire coloro che non ne hanno mai sentito parlare ed allo stesso tempo di creare una sorta di dialogo (si fa per dire, ovviamente) tra il sottoscritto e coloro che vi hanno giocato o ne sono stati interessati a tal punto da metterci le mani sopra.

Detto questo, bando alle vane discussioni superficiali, andiamo a parlare di The Last of Us.

Riporto subito (così mi tolgo il sassolino dalla scarpa) un accenno di quel che accade nell’avventura, un assaggio della trama, che mi sembra (ovviamente) doveroso. Tutto inizia con lo scoppio di una pericolosa epidemia che colpisce il genere umano e trasforma coloro che ne sono stati infettati. La trasformazione si attua non solo a livello comportamentale, rendendo violenti coloro che hanno contratto il virus, ma anche a livello fisiologico, poiché sui loro corpi crescono delle protuberanze a forma di fungo. Il protagonista della vicenda è Joel, un sopravvissuto che deve scortare una giovane ragazzina di nome Ellie dalla parte opposta della zona di quarantena; Questa infatti potrebbe essere la cura per l’umanità.

Dal punto di vista generale la trama non offre niente di nuovo (apparentemente), portando alla luce una rappresentazione del mondo Post- Apocalittica come già alcune pellicole, fumetti e libri,  avevano abituato tutti noi. Non è un caso che gli sviluppatori abbiano ammesso di essersi ispirati a serie come The Walking Dead, Io Sono Leggenda (ma non al film con Smith, bensì al libro di Matheson) e La Strada.  In effetti sono bene evidenti le somiglianze tra questi titoli e quello preso in considerazione in questo articolo ed esteticamente questo non fa altro che giovare al prodotto, il quale può vantare un comparto grafico di tutto rispetto se non il migliore per una esclusiva PS3 (che può competere benissimo con alcune produzioni per PC).  Tuttavia non mancano sbavature, sempre legate all’estetica e leggeri alti e bassi, ma niente su cui soffermarsi più di tanto. Ottimo il sonoro che la fa da padrone per tutta la durata del titolo dal punto di vista tecnico. Ascoltate attentamente ciò che avete attorno a voi, perché è importante non lasciare nulla al caso o all’oscurità.

Di preciso, però, dove The Last of Us si impegna a diventare un titolo con la T maiuscola e ad etichettarsi come una degna conclusione per questa generazione? Semplice: nella storia, nel rapporto tra i protagonisti ed i comprimari e fra loro stessi, con i dialoghi e la forza di mettere in scena un qualcosa di drammatico, ma non innovativo, con tutto il coraggio necessario. Non è un caso che in Europa ed oltre oceano recensioni su recensioni abbiano acclamato questo titolo come un capolavoro, ma se qualcuno fosse ancora in dubbio il consiglio è quello di provarlo e non mi riferisco solo alla ristretta gamma di Nerd o Player, l’invito è rivolto anche ai meno interessati al mondo dei videogiochi. Tutti, in fondo, sanno che cosa è Assassin’s Creed o Call of Duty, prodotti di valore per certi aspetti, ma che ultimamente hanno portato ad una contro evoluzione; ovviamente viene tutto realizzato in base alla domanda e se il pubblico vuole sparatorie e una trama di poco conto è bene accontentarli (non facciamoci illusioni, il mondo dei videogiochi ruoto attorno al vile quattrino). Eppure, se per Assassin’s Creed possiamo fare un’eccezione in particolare per i primi due capitoli della saga, poiché rimane un titolo di media- alta qualità, è triste immaginare che produzioni del calibro di Heavy Rain o L.A.Noire e (in futuro, chissà?) The Last of Us possano essere dimenticati, per la loro natura atipica.

Il cuore pulsante di tutta l’avventura è infatti il rapporto che si crea, cambia e trasforma tra Joel ed Ellie, una quattordicenne nata nel mondo ormai distrutto e abbandonato e senza alcun ricordo o idea di quello che era l’umanità prima dell’avvento della malattia. Così da una parte abbiamo una giovane protagonista e dall’altra un cinico uomo che nei primi capitoli non riesce a vedere nient’altro che una missione in quest’ultima. Eppure, si sa, la mente umana gioca strani scherzi e persino la persona più solitaria ed arrogante di questo mondo può, talvolta, cedere. Lo spettatore/giocatore vedrà quindi cambiare il rapporto tra i due e questo rende i protagonisti (come il resto dei personaggi) figure a tutto tondo, dinamiche e piene di sfaccettature, quasi che si leggesse un romanzo.

Non crediate che gli ultimi rimasti siano degli agnellini e che la restante società viva in uno stato di amore fraterno, sappiate che nelle 13 ore circa di campagna singolo giocatore non saranno i Clicker ( gli infetti, così per chiarire) a dare i problemi più grandi, ma gli uomini. L’uomo, messo all’estremo, dimostra la sua vera natura animalesca, rompendo ogni legame di fratellanza e amicizia e facendo prevalere il motto: “vivi per sopravvivere”. Sono temi già affrontati da scrittori passati e romanzieri viventi, tra cui mi viene in mente un certo King e la sua The Stand o Under the Dome.

Unendo in modo intelligente gameplay e trama i ragazzi già creatori di Uncharted sigillano un qualcosa di unico e di grande valore, che sfida i grandi colossi sfornati in questi anni e che hanno riempito i negozi di tutto il mondo, come il più recente Skyrim.

Realizzato per capovolgere il confine tra mondo videoludico e universo narrativo, The Last of Us è un gioco che entra di diritto nell’olimpo dei titoli migliori, a parer mio, di tutti i tempi. Il merito non lo affido solo al comparto grafico o all’eleganza artistica (sebbene anche l’occhio voglia la sua parte) ma ad il sapiente, quanto maestoso, lavoro fatto dai creatori di Crash Bandicoot (classe 1996) capaci di creare storie intense e riempirle di momenti che potrebbero far invidia ad alcune produzioni Hollywoodiane per la loro drammaticità e serietà.

Così non riesco a scorgere alcuna presuntuosità o banalità se dicessi, sebbene con i suoi difetti, che The Last of Us sia il primo degli ultimi titoli per questa ormai (quasi) passata generazione di Console.

 

Claudio Fedele

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