23 Novembre 2024

Oggi è… il 15 Marzo. Non credo di aver bisogno di altro, scommetto che qualcuno avrà già indovinato di cosa tratterò oggi. In effetti, non sono molto originale, ma questa è una data importante, e non ho avuto dubbi sulla scelta dell’argomento. “Guardati dalle Idi di Marzo”, gli dissero, ma lui non ascoltò nessuno, e si presentò al Senato, come ci raccontano le fonti.

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O meglio, al luogo in cui il Senato in quel periodo si riuniva, data la ricostruzione della Curia voluta proprio da lui. Quella mattina di 2058 anni fa, Cesare si recò alla Porticus Pompeii (mi raccomando, al femminile, sennò la mia professoressa mi strappa il libretto!) per raggiungere la Curia Pompeii che lì si trovava. Come sappiamo, non la raggiunse, ma fu ucciso e per di più, della serie “oltre al danno la beffa”, ai piedi della statua del suo nemico di sempre, Pompeo. (dai, ammettetelo, non sono stata troppo retorica…poteva andare peggio!). Da quel momento le idi di Marzo furono chiamate Parricidio, la Curia Pompeii fu murata per sempre e in quel giorno le sedute del Senato sarebbero sempre state sospese.


Anche stavolta sono stata indecisissima. Le opere realizzate da Cesare sono veramente tante, e tutte meravigliose: la Curia Giulia, il Foro di Cesare col tempio di Venere Genitrice, la Basilica Giulia, i Saepta Iulia, i Rostra… e poi i progetti mai realizzati, la deviazione del Tevere ad esempio. Grande condottiero, statista, politico, fu anche un meraviglioso promotore di importanti realizzazioni che avviarono quella stagione di, diciamo, restyling di un’Urbe che alla fine del II secolo d.C. avrà acquisito la sua forma (quasi) definitiva, perfetta. Augusto si vanta a buon diritto di aver “trovato una Roma di mattoni e averla lasciata di marmo”, ma il merito non è esclusivamente suo, tanto che lui stesso prese le mosse dai progetti di Cesare portandoli a compimento e perfetta realizzazione. Vorrei avere il tempo e la possibilità di parlare di ognuno di questi, perché sono davvero fantastici, purtroppo però non posso farlo, e quindi, per non fare torto a nessuno, oggi ho deciso di parlarvi della bellezza, astuzia e genialità del luogo in cui Cesare è stato ucciso, la Porticus Pompeii.

 

vincenzo camuccini, la morte di cesare, 1798
V. Camuccini, La morte di Cesare, 1798, Napoli, Museo di Capodimonte

Conosciamo la sua esatta collocazione e la sua pianta grazie alla Forma Urbis Romae o Forma Urbis Severiana, una sorta di grande mappa in marmo dei principali edifici romani, composta in età severiana appunto (per esser pignoli tra il 203 e il 211 d.C.) in cui compaiono quindi tutti gli edifici di una Roma all’apice del suo splendore (Dio, quanto pagherei per vederla!).

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Il Teatro di Pompeo e la sua porticus nella Forma Urbis Romae

Ci troviamo nell’area del Campo Marzio, poco a nord del Circo Flaminio, e quindi fuori dal pomerium, le mura di Roma, il limite sacro dell’urbe, vicino alla villa suburbana di Pompeo, che così va a costituire un nuovo complesso politico che faccia direttamente e chiaramente riferimento a lui. 
L’ubicazione esatta è poi stata identificata grazie a lacerti di muro pertinenti alla cavea (la “platea” potremmo definirla)  in opus reticulatum (quella tecnica costruttiva che prevede un paramento murario realizzato con conci piramidali disposti in file di 45°, dei quali si vedono le basi quadrangolari, mentre il vertice è inserito all’interno dell’opus caementicium).

La Porticus è una vera e propria porticus post scaenam (grande giardino con

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Lacerti del muro della cavea del Teatro

 fontane, ninfei e statue, circondato da portici che si trova dietro ai teatri per consentire agli spettatori di passeggiare durante gli intervalli o ripararsi durante la pioggia) per il teatro di Pompeo, costruito tra il 62 e il 55, che ha una storia particolare: nella austera Roma repubblicana, gli spettacoli teatrali non erano molto ben visti, e teatri stabili, lapidei, non si potevano costruire non solo per questioni morali, ma anche per ragioni di ordine pubblico (immaginatevi migliaia di persone chiuse in una struttura che può diventare una vera e propria “fortezza”; eventuali ribelli che si fossero asserragliati nel teatro, sarebbero potuti essere un grave problema per la città). Solo i grandi santuari laziali come quello di Palestrina, avevano davanti alla facciata delle gradinate circolari che permettessero ai fedeli di assistere alle rappresentazioni sacre. Pompeo però ha a cuore il popolo, o meglio le sue opinioni, e anche i suoi desideri di svago e, come ogni romano “importante”, decide di realizzare per il popolo con il bottino della guerra contro Mitridate, una struttura che gli porti fama e onore, e cosa meglio di un teatro, che nessun altro ha mai realizzato? Templi ne erano già stati dedicati a sufficienza, ed era anche una cosa diciamo “poco originale”. Ma come vincere l’opposizione dei vecchi moralisti? E così, Pompeo ha una grande idea: realizza sulla sommità della cavea un piccolo tempio, dedicato a Venere Vincitrice. In questo modo, rispetta formalmente la tradizione in cui la cavea non è che una gradinata al tempio sovrastante, ma ribalta le proporzioni, realizzando una gradinata monumentale. Secondo Plutarco il teatro di Pompeo fu realizzato a imitazione di quello di Mitilene, che però, secondo lo schema greco, è scavato nel pendio della collina: più probabilmente quindi ci si è ispirati all’odeion (il teatro coperto) di Mitilene, che era costruito su sostruzioni come quello di Pompeo.Il complesso tempio-teatro viene poi completato con il grandioso quadriportico con giardini e la statua di Pompeo novus Neptunus (perché aveva sconfitto i pirati e liberato i mari) in asse col tempio, nella variante di tipo Laterano, con piede sulla prua, tridente in mano e capo coronato da una corona aurea.

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Ricostruzione del complesso con il tempio sulla sinistra, il teatro, e la porticus post scaenam sulla destra

La Curia Pompeii, poi definita per volere di Augusto “locus sceleratus”, era nell’esedra (grande nicchia semicircolare) sul fondo, il raccordo tra il quadriportico e la adiacente Porticus Minucia dove si svolgevano le frumentationes (distribuzioni gratuite di grano ai cittadini romani), cosa non casuale in quanto Pompeo fu praefectus annonae, e quindi responsabile dell’approvvigionamento e delle distribuzioni di grano alla città. La porticus era appunto un grande quadriportico (portico su 4 lati) di ca. 180 x 135 m che univa il grande complesso teatrale all’Area Sacra di Largo Torre Argentina. La sua costruzione risale al 63-52 a.C. I 4 lati porticati inquadravano una corte centrale con fontane, fiori e piante di ogni tipo, probabilmente perfino due boschetti di platani stando a Marziale, che richiamano il lucus, cioè l bosco sacro che si trova associato ai grandi santuari del Lazio, ma anche permettono una fuga dal caos della città, con un grandissimo stacco tra le vie affollate e la pace del giardino ombreggiato e silenzioso, quasi un simbolo, per sottolineare come Pompeo fosse l’unico in grado di portare la Pace per Roma e tutto il Mediterraneo.


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Ritratto di Pompeo tipo Copenaghen, 70-50 a.C., Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek

 

La porticus ospitava molti capolavori artistici che secondo Cicerone furono consigliati a Pompeo nientemeno che da Attico, il grande amico di Cicerone e espertissimo di arte, ad esempio un ciclo di Muse e personificazioni delle Arti opera di Coponio che però risale all’età imperiale:

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Melpomene dal teatro di Pompeo, 50 a.C. ca., Parigi, Musée du Louvre.

queste statue furono interpretate dalle fonti (Varrone, Svetonio, Plinio) come  simulacri dei vari popoli vinti da Roma, e infatti la Porticus viene detta anche Porticus ad Nationes. I muri esterni dei portici (quindi muri continui e non aperti da colonne) erano decorati con “vestes attalicae”, tessuti dipinti e arricchiti con fili d’oro e quadri su tavola :ad esempio sappiamo di uno di Polignoto, probabilmente rappresentate un atleta armato di scudo, del dipinto del mito di Cadmo ed Europa, opera di Antiphilos, e di un ritratto di Alessandro opera di Nicia, che alludeva chiaramente al parallelismo tra Alessandro e Pompeo, che in effetti viene chiamato Magno) . Tra gli ornamenti del teatro sappiamo che dovevano essere le effigie di donne mirabili accompagnate da didascalie (ad esempio, madri esemplari come Eutichide che partorì 30 volte,  una serie di 14 poetesse famose e non tra cui un’altrimenti ignota Mistide, e protagoniste di commedie), una presenza femminile decisamente non trascurabile. Dovevano poi esserci statue maschili di atleti, filosofi, poeti e forse dei regnanti ellenistici Seleuco, opera di Lisippo, ed Efestione.

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Cosiddetta Cerere, I secolo a.C., Roma, Musei Vaticani

 

 

 

La porticus fu distrutta dal fuoco durante il regno di Carino e ricostruita con Diocleziano, che affidò il progetto al prefetto della città Dionisio. Fu poi distrutta da un terremoto nel 442 d.C. e mai più ricostruita. Però la memoria di un luogo così rivoluzionario nell’architettura e nell’ideologia, diventato in questo giorno così importante per la storia di Roma e di tutto l’Occidente, di un luogo di cui non tutti conoscono l’esistenza ma in cui è stata scritta la storia, non può essere stata perduta nei meandri delle strade romane. Un luogo così carico di importanza, la cui maestosità e bellezza dovevano essere tangibili, in cui la pace e la serenità, il silenzio e l’armonia aleggiavano  insieme al profumo dei fiori esotici e permettevano di fuggire dal caos e dalla confusione delle vie romane, non può essere sparito. E infatti, basta solo saperlo cercare:

 

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Come si presenta oggi l’area della cavea. La sua pianta è ancora visibile nel tessuto cittadino.

 

Giulia Bertolini

Fonti: Roma e l’Italia Radices imperii

Guida archeologica di Roma, F. Coarelli

Teatro e propaganda, trionfo e mirabilia: considerazioni sul programma decorativo del teatro e della porticus di Pompeo, academia.edu

 

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Giulia Bertolini

Sono nata a Livorno nel 1992, e fin da piccola alla fatidica domanda "Cosa vuoi fare da grande?", ho sempre risposto "L'archeologa", avendo bene in mente, lo ammetto, Indiana Jones. Dopo aver frequentato il liceo classico di Livorno, mi sono iscritta prima alla facoltà di Beni Culturali e poi alla magistrale in Archeologia dell'Università di Pisa perché, nonostante tutto, il grande sogno di "fare l'archeologa" non mi ha abbandonata. Le mie grandi passioni sono pala, piccone, pennellino e trowel, perché non c'è niente di più bello che portare alla luce anche i frammenti più piccoli e sapere di essere la prima persona a sfiorarli dopo secoli, ma anche tutto ciò che abbia l'odore dell'antichità, dai musei, ai siti archeologici, ai grandi personaggi.

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