Il Super Tuesday di Super Trump.
Grande vincitore del super tuesday repubblicano è certamente Donald Trump, che si avvicina sempre di più alla nomination del partito.
Il miliardario newyorkese ha letteralmente stravinto in Massachussets (49,1%) in Alabama (43,4%), in Tennesse (38,9%) e in Georgia (38,8%).
Più combattute le vittorie in Arkansas (32,7% contro il 30,5% di Cruz), in Vermont (32,7% contro il 30,4% di Kasich) e in Virginia (34,7% contro il 31,9% di Rubio).
Nessun candidato nella storia delle primarie repubblicane aveva mai vinto in stati tanto disomogenei da un punto di vista demografico.
Trump ha conquistato allo stesso tempo il voto dei repubblicani moderati nel New England (in particolare in Massachussets) e il voto dei conservatori evangelici nel sud del paese, dove ha letteralmente travolto il conservatore evangelico Ted Cruz, che sui quegli elettori fondava le proprie speranze di rimonta.
Comunque Cruz non può lamentarsi, perché è riuscito nell’impresa più importante: tenere indietro Trump nel suo stato, il Texas, dove ha ottenuto una grandissima vittoria, con quasi il 44% delle preferenze, ben oltre le più rosee aspettative.
Inoltre ha ottenuto altre due importanti vittorie, per niente scontate, in Alaska (36,4% contro il 33,5% di Trump) e in Oklahoma (34,4% contro il 28,3% di Trump).
Alcuni esponenti dell’establishment repubblicano in queste ore stanno ragionando sull’opportunità di far convergere il sostegno di tutte le forze anti-Trump su Cruz anziché su Rubio.
In particolare Graham, che a Febbraio aveva sostenuto l’opportunità di un ticket Rubio-Kasich, ha dichiarato: “Ted Cruz non è affatto il mio preferito, (…) ma potremmo ormai essere nella posizione di dover raccoglierci attorno a Ted Cruz, come unico modo per fermare Donald Trump”.
In effetti la cosa non stupisce se si guarda allo scarso risultato che ha ottenuto Rubio, e ai sondaggi che lo vedono dietro a Trump in Florida (lo stato di cui è Senatore) il prossimo 15 Marzo.
Già a Febbraio alcuni analisti avevano auspicato un qualche tipo di accordo tra i due candidati conservatori.
Tale alleanza potrebbe avvenire non necessariamente nelle forme del ticket, ma almeno come cooperazione di fatto, per non ostacolarsi tra loro negli stati in cui hanno buone possibilità di battere Trump. Così entrambi potrebbero fare incetta di delegati da spendere alla convenzione nazionale.
L’opzione del ticket sarebbe ovviamente più rischiosa perché i conseguenti spostamenti di elettori potrebbero essere imprevidibili.
Con Trump che ha raccolto un numero di delegati (293) che è superiore persino a quelli di Cruz e Rubio uniti insieme (253), l’esigenza di una qualche reazione delle forze anti-Trump si fa impellente.
Brutta storia per Rubio, sul quale fino ad una settimana fa il partito voleva puntare tutto.
D’altronde il Super Tuesday per lui è stato decisamente poco super.
Certo, ha vinto nello stato in cui i sondaggi lo vedevano in vantaggio, il Minnesota, con quasi il 37% dei voti ed ha anche ottenuto un buon risultato (31,9%) in Virginia, dove, secondo alcuni esponenti dell’establishment repubblicano, avrebbe anche potuto vincere se non ci fosse stato Kasich, che con il suo 9,4% avrebbe sottratto voti al Senatore della Florida.
In realtà i voti del Governatore dell’Ohio sarebbero potuti andare anche a Trump, visto l’ampio consenso che quest’ultimo ha dimostrato di saper raccogliere anche tra i repubblicani moderati del New England.
Nonostante ciò sono moltissimi i membri del GOP che in queste ore stanno lanciando attacchi e accuse neanche troppo velate a John Kasich.
Il Governatore dell‘Ohio, nonostante abbia dichiarato espressamente che non intende essere il vice di nessuno, è accusato di star conducendo la campagna elettorale al solo fine di ottenere il maggior numero di delegati per poi “venderli” al miglior offerente per ottenere il posto di VP.
Fin da Gennaio alcuni commentatori ipotizzano un ticket Trump-Kasich che potrebbe riuscire a riportare pace ed unità al partito.
Molto probabilmente però una simile soluzione troverebbe il forte contrasto degli esponenti più conservatori del partito.
Kasich, dal canto suo, afferma di puntare alla nomination sperando di ottenere successi nel Midwest, in particolare in Michigan, in Illinois e soprattutto in Ohio, lo stato di cui è Governatore.
Mentre in Michigan ed Illinois i sondaggi non lo vedono molto favorio, potrebbe effettivamente vincere in Ohio, anche se nei sondaggi al momento è in testa Trump (con il 31% contro il 27,5% di Kasich).
Le speranze di Kasich sono state rinvigorite dal suo “piccolo super tuesday personale”: nel New England (in Vermont e in Massachussets), John ha superato Cruz e Rubio arrivando secondo dietro Trump. In particolare ha rischiato di vincere, con oltre il 30% dei voti, nel Vermont, dove comunque ha ottenuto lo stesso numero di delegati di Trump.
Ben Carson, nonostante i risultati poco entusiasmanti (segnalo però che ha superato il 10% in Alabama e in Alaska), continua, almeno formalmente, la sua corsa.
Il neurochirurgo repubblicano ha però riconosciuto ormai apertamente che il suo obiettivo non è la nomination, affermando che resta in pista perché “glielo chiedono gli elettori”.
Per questa ragione ha deciso di non prendere parte al prossimo dibattito repubblicano.
Alcuni commentatori ritengono che Carson miri al posto di VP in un ticket con Trump, essendo entrambi candidati out-siders anti-establishment.
Intanto i vertici del partito repubblicano gli hanno offerto la candidatura a Senatore della Florida in cambio del suo ritiro.
Una dichiarazione a forte effetto sorpresa è quella di Rand Paul (candidato Tea Party che aveva sospeso la propria candidatura dopo il Caucus dell’Iowa), che ieri, a seguito dei risultati della grande serata elettorale, ha affermato che starebbe valutando di tornare in pista.
Probabilmente Paul ritiene di poter portar via qualche voto a Trump, in quanto candidato di forte connotazione anti-establishment e libertaria, e spera così di intervenire in aiuto dell’altro candidato repubblicano sostenuto dal Tea Party, Ted Cruz.
Comunque, al momento, i sondaggi relativi a quasi tutti gli stati che andranno al voto a Marzo (il 5 Kansas, Kentucky, Louisiana e Maine, il 6 Puerto Rico, l’8 Hawaii, Idaho, Michigan e Mississippi, il 12 D.C., il 15 Florida, Illinois, Missouri, North Carolina, Ohio e isole Marianne Settentrionali, il 19 isole Vergini e il 22 Arizona, Utah e isole Samoa) vedono avanti Trump.
L’unico stato in cui Trump è indietro (addirittura al terzo posto) è lo Utah, dove sarebbe in leggero vantaggio Rubio con il 24%, seguito da Cruz al 22%.
Non ci resta che aspettare, ma sembra sempre più probabile che l’out-sider Super Trump possa davvero riuscire a domare il grande elefante repubblicano.
Fernando Petrolito
Sul fronte democratico la protagonista di questa giornata è senz’altro Hillary Clinton. In questo Super Tuesday, forte delle precedenti vittorie in Nevada e South Carolina, conquista altri sette stati ed i loro importanti pacchetti di delegati, spesso affermandosi nettamente sull’inseguitore Bernie Sanders. Hillary, in particolare, stravince in Alabama (con 59 punti di distacco su Sanders), Arkansas (con +36), Georgia (+43), Tennessee (+34), Texas (+32) e Virginia (+29). Vince di misura anche nel bianco e progressista Massachusetts, con 1 solo punto di scarto dal senatore del Vermont. Quest’ultimo invece riesce a strappare alla front runner democratica il Colorado (con 19 punti di distacco), il Minnesota (+24), l’Oklahoma (+10) e ovviamente il Vermont (dove si afferma con 72 punti di vantaggio).
Bernie Sanders esce dunque sconfitto, ma il suo risultato va ben oltre le attese e, quindi, lungi dal ritirare la sua candidatura, promette battaglia fino alla Convention democratica, alla quale giungerà supportato da un gran numero di delegati, che tra i democratici sono assegnati con metodo proporzionale in tutti gli Stati. Ciò significa che, anche dove è arrivato secondo, Bernie potrà contare su un numero di delegati proporzionale alla percentuale ottenuta. Questo Super Tuesday non appare cosi decisivo allora e, sebbene rafforzi la candidatura della Clinton, non esclude Sanders dalla corsa, anche se questa pare ormai segnata. Bernie, dopo aver intercettato il voto dei giovani e della borghesia progressista del nord est, appare incapace di conquistare il voto di tanti altri segmenti dell’elettorato democratico.
Negli stati del sud, infatti, a votare democratico sono in gran parte quegli elettori appartenenti alle minoranze ispaniche e afroamericane. I neri, in particolare, fedelissimi ai Clinton da lungo tempo (già al marito Bill), sembrano essere riusciti ad arrestare la rivoluzione politica del governatore del Vermont. Ciò assume ancor più di significato se posiamo lo sguardo sul calendario delle primarie, visto che i prossimi stati ad essere interessati alle consultazioni saranno il Mississippi e Lousiana, casa di importanti e numerose comunità afroamericane. Bernie rivela così i suoi limiti, territoriali e politici, non riuscendo ad accattivarsi la simpatia dell’elettorato già caro al Presidente Barack Obama e rimanendo confinato all’interno di pochi stati bianchi, spesso benestanti, grazie al voto della borghesia urbana più progressista.
I giochi però sono tutt’altro che fatti, dato che, come già accennato, la Clinton è lontana dall’avere quella soglia di delegati che le garantirebbe la vittoria. L’obiettivo però si avvicina e, grazie agli importanti risultati ottenuti, Hillary si avvia a conquistare la leadership del partito e volge già lo sguardo ai suoi avversari nel campo dei Repubblicani, dichiarando che “i giorni migliori per l’America devono ancora venire, e che dobbiamo abbattere i muri, non innalzarli”, con esplicito riferimento alla campagna xenofoba inaugurata da Trump.
Dopo la batosta del New Hampshire e la vittoria di misura in Iowa, ora la Clinton sa di poter vincere con un ampio margine e deve essere più che soddisfatta del lavoro compiuto dal suo staff e dall’infaticabile Bill, per garantire, anche dove la vittoria appariva più certa, il più ampio margine possibile di vantaggio. E’ stata importantissima anche la vittoria in Massachusetts, stato confinante con il Vermont e storicamente democratico, teatro di un lungo testa a testa tra i due candidati democratici.
Questo Super Tuesday, però, ha evidenziato anche i limiti della favorita. Nonostante abbia l’appoggio dell’establishment, la maggioranza dei consensi popolari e il grande sostegno degli afroamericani (ha strappato l’80% del loro voto in Georgia e Virginia), ancora non entusiasma molti tra i sostenitori più giovani, tra gli indipendenti e parte dell’elettorato più progressista, situato nelle roccaforti del Colorado e del Minnesota. Se i loro voti dovessero mancarle anche nella lotta per la Presidenza, sarebbe difficile per il partito democratico sconfiggere l’agguerrito frontman repubblicano Donald J Trump. La speranza è che questi elettori siano spinti da Bernie, in ottica presidenziale, verso la sua attuale rivale, magari garantendo all’anziano senatore un ruolo di spicco nella nuova amministrazione.
Rimane il fatto che Hillary, nonostante le difficoltà, abbia conseguito un’importante vittoria. Vittoria che le accredita sempre più il ruolo di “inevitabile” prossimo presidente degli Stati Uniti. Unica tra tutti i candidati, compresi quelli repubblicani, ad avere un così netto profilo istituzionale, forgiato dalla sue capacità e dalla sua grande esperienza, si appresta ora a proseguire la sua campagna elettorale, forte dei successi ottenuti. L’ex First Lady è una donna intelligente ed i suoi obiettivi sono impedire ai repubblicani di cancellare le riforme di Obama e riconsegnare il benessere perduto alla classe media, non spazzar via Sanders.
La Clinton è un’abile stratega e, consapevole della necessità di trovare un compromesso con il Senatore del Vermont, dopo le prossime vittorie, cercherà l’appoggio degli elettori di Bernie, tenendo accesa la fiaccola impugnata da una nuova generazione di giovani democratici, desiderosi di vivere in un’America più giusta.
Lamberto Frontera
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