Come abbiamo avuto modo di chiarire in precedenza, l’inusitato Trittico Hindemith/Puccini è nato dall’intento di coniugare un problema di natura economica con il desiderio di offrire comunque uno spettacolo dall’elevato spessore, pertanto Sancta Susanna di Paul Hindemith prenderà il posto de Il Tabarro di Giacomo Puccini. Ciò premesso, è d’obbligo iniziare in ogni caso proprio col Tabarro perché è proprio grazie a quest’opera che oggi abbiamo l’intero Trittico.
A onor del vero, l’idea d’un Trittico operistico Puccini la ebbe già nel 1905, ossia appena dopo aver terminato Madama Butterfly (1904), pensando forse a tre episodi d’ispirazione dantesca, ma il progetto venne accantonato a causa della composizione de La Fanciulla del West (1910) e si tornò a parlare del Trittico solo nel 1913, quando si paventava una collaborazione con Gabriele D’Annunzio, poi sfumata a causa dell’esosità di D’Annunzio come librettista. L’occasione propizia si presenta anni dopo, proprio grazie al Tabarro: Puccini venne catturato dalle tinte cupe di questo dramma – ridotto a libretto da Giuseppe Adami – e dalla sua ambientazione parigina. Tuttavia si tratta di un dramma molto corto, circa trenta minuti di musica come tutti gli altri elementi del Trittico, e quindi sarebbe stato necessario “accorparlo” a qualche altra opera; proprio in virtù di questo il librettista Giovacchino Forzano suggerì di utilizzarlo come primo pannello per un Trittico operistico.
Forzano era stato contattato da Puccini affinché riscrivesse il libretto del Tabarro; questi rifiutò spiegando che non era solito lavorare su libretti già scritti da altri, ma si offrì di scrivere i soggetti e i libretti per gli altri due pannelli, seguendo l’indicazione di Puccini che ognuna delle tre opere appartenesse a generi differenti dalle altre; più precisamente esigeva un’opera verista (Il Tabarro, giustappunto), una lirica-drammatica e una comica. Al momento della richiesta, Forzano in realtà aveva già un libretto per il soggetto lirico, una piccola storia ambientata tra le mura di un convento, e le sue protagoniste erano delle monache, intitolato Suor Angelica.
Probabilmente è anche a causa di questo particolare libretto che oggi possiamo ascoltare quella piccola meraviglia che è il Trittico pucciniano, perché è assai probabile che la fantasia di Puccini sia stata accesa dal fatto che lui aveva una sorella, Iginia, che col nome di suor Maria Enrichetta viveva nel monastero di Vicopelago delle Agostiniane, di cui Iginia è stata camerlenga e badessa. Tra l’altro, fu proprio in questo monastero che ebbe luogo la prima esecuzione di Suor Angelica, infatti Puccini si recò spesso in visita al monastero di Vicopelago per trarne ispirazione e in un’occasione, presente la sorella, narrò la trama suonò l’opera all’armonium del monastero mentre le monache ascoltavano dietro alle grate della clausura.
Dopo l’approvazione da parte del Maestro, Forzano iniziò a lavorare alla versificazione definitiva di Suor Angelica mentre Puccini continuava la sua ricerca di un soggetto comico, ma quando fece ritorno dal librettista gli disse mestamente: «Forzano, io vengo a mani vuote». Anche in questo caso Forzano aveva la soluzione in tasca: temendo che potesse rivolgersi a qualche altro librettista, aveva già approntato una soluzione e propose l’episodio dantesco di Gianni Schicchi, estratto dal XXX canto dell’Inferno. Mentre Dante racconta la storia di Schicchi, colui che «sostenne,/per guadagnar la donna de la torma,/falsificare in sé Buoso Donati,/testando e dando al testamento norma», in toni davvero sulfurei, ammantati di una terribile cupezza, Forzano pone in luce tutto l’aspetto comico e grottesco della vicenda.
In molti affermano – e a ragione – che il titolo «Trittico» non sia totalmente corretto perché gli omonimi pannelli lignei dei pittori medievali e rinascimentali avevano la particolarità che narravano una medesima storia oppure integravano momenti di una solita raffigurazione, invece i tre “pannelli” pucciniani raccontato tre storie diverse e che non sono accomunate da alcun elemento.
Questo naturalmente è vero, anzi, era la volontà dello stesso Puccini che le tre opere raccontassero storie totalmente diverse e senza alcun legame, cionondimeno esiste un forte legame tra Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi che risiede proprio nella tripartizione dei generi operistici (verista, lirico e comico), poiché sono modellati sullo stesso schema delle tre cantiche dantesche. Abbiamo quindi che Il Tabarro, tenebroso e disperato, corrisponda all’Inferno, Suor Angelica colla sua redenzione finale dal peccato al Purtagorio e Gianni Schicchi, dalla musicalità libera e serena, al Paradiso; anche per questo a Puccini stava particolarmente a cuore che il Trittico fosse rappresentato per intero, senza nessun elemento mancante, perché solo in questo modo si può apprezzare la vibrante climax che porta dal buio alla luce.
In questo particolare caso, e cioè la rappresentazione del Trittico Hindemith/Puccini di sabato 19 e domenica 20 novembre al Teatro Verdi di Pisa, bisogna osservare che comunque la climax voluta dal compositore lucchese è perfettamente raggiunta anche in assenza del Tabarro, in quanto Sancta Susanna funge perfettamente da “elemento infernale” del Trittico, con il suo opprimente finale e la terribile condanna espressa dalle altre monache verso la sventurata suor Susanna, visto anche che in quest’opera – a differenza di quanto accade in Suor Angelica – non ha luogo alcuna apparizione salvifica o rendentrice, ma il sipario si chiude sui disperati «No!» che Susanna grida in risposta alle terribili accuse delle monache.
Luca Fialdini
luca.fialdini@uninfonews.it
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