I treni fischiano all’entrata della stazione di Viareggio. Fischi tetri e lunghi che si perdono nell’aria grigia e cupa di questo 29 giugno. Sono passati esattamente cinque anni da quella sera d’estate in cui, alle 23:52, 32 persone persero la vita bruciati vivi nelle loro case o per strada.
Ancora vivo è il suono di quelle tre forti esplosioni e l’immagine spaventosa di quelle lingue di fuoco, alte decine di metri, che squarciano il cielo stellato.
Ancora forte è la riconoscenza dei viareggini ai Vigili del Fuoco accorsi da tutta la Toscana, che con immenso coraggio e senso del dovere affrontarono quell’inferno, reso fin troppo reale dalle grida degli uomini e delle donne intrappolati al suo interno. E ancora il viavai dei mezzi soccorso, le prime notizie confuse (all’inizio si era parlato di attentato), l’attesa, tremenda, della conta delle vittime.
Alle prime luci dell’alba, Viareggio è avvolta da un’aurea surreale: gli scheletri degli edifici, le facce stanche e sconvolte dei soccorritori, i convogli ancora fumanti riportano alla mente dei più anziani paesaggi che la città non vedeva dalla seconda guerra mondiale.
Ma se Viareggio e i viareggini non hanno dimenticato, FS e Rfi sembrano avere la memoria corta. Le norme sulla manutenzione risultano essere adottabili solo “su base volontaria”. Inoltre, in una relazione dello scorso marzo dell’ex direttore dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria Alberto Chiovelli, si legge che Rfi “non sembra ancora in grado di far rispettare le procedure previste per lo svolgimento in sicurezza degli interventi in caso di guasti”. Non c’è, ahimè, da stupirsi se nell’ultimo anno si sono verificati un centinaio di incidenti ferroviari classificati come “gravi”, un terzo dei quali dovuti proprio a scarsa manutenzione. Se si è evitata una strage è stato solo per puro caso.