Dopo una lunga pausa di riflessione (in realtà ero semplicemente sullo scavo) ho deciso di cominciare un nuovo anno con un articolo che trattasse di una qualche espressione di una civiltà particolare, forse poco nota ma comunque a me molto cara, quella etrusca. Nei miei ormai innumerevoli viaggi in treno, ne ho sentite di tutti i colori, ad esempio che gli etruschi costruivano solo tombe: potrete immaginare i mancamenti a seguito di frasi del genere! Per questo ho deciso di affrontare da ora in poi alcuni degli aspetti di questa civiltà. Per un qualche scherzo della sorte, appena tornata da Volterra dove l’aria etrusca si respira ancora, mi sono accorta che Ottobre è anche il mese in cui nacque un personaggio forse ai più sconosciuto ma fondamentale per quella stessa città (e da ormai 4 anni mio compagno d’avventure – e di brindisi; si sa, per gli archeologi ogni scusa è buona): si tratta di Mario Guarnacci, “archeologo” volterrano vissuto nel 1700 e benefattore della città a cui donò la sua collezione di reperti etruschi e romani che andarono a costituire il nucleo dell’attuale Museo Guarnacci. Chi conosce il museo starà già tremando pensando a cosa mi sia venuto in mente, ma tranquilli, non vi parlerò delle urne volterrane né dell’Ombra della Sera!
In realtà non racconterò niente di propriamente volterrano; ho deciso di raccontarvi la storia di una tomba etrusca compresa nel territorio della città, quello che in età romana sarà chiamato ager volaterranus. Ma qua dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di diversi secoli, e spostarci verso il mare, a Casale Marittimo.
Nella zona di Casale infatti (loc. Casa Nocera) sono state portate alla luce una abitazione di notevoli dimensioni e una necropoli ad essa pertinente, relativa ad un’unica famiglia che la sfruttò per almeno due generazioni a partire dal primo quarto del VII secolo a.C. (per parlare in italiano, la costruzione della tomba risale al 700-675 a.C.). Si tratta secondo le ultime interpretazioni della residenza di una famiglia aristocratica molto potente, che controllava la foce del fiume Cecina, che oggi non è poi così importante ma in età etrusca era una direttrice fondamentale che dal mare portava a Volterra e alla cui foce approdavano navi di ogni nazionalità per acquistare il rame che si trovava nelle colline di Montecatini Val di Cecina. Ma torniamo all’area archeologica: da essa provengono due statue a tutto tondo che rientrano in quella che viene definita la “Grande Arte” degli etruschi, cioè l’arte di grandi dimensioni, che ora sono conservate al Museo Archeologico di Firenze (dove consiglio caldamente di fare un salto, è meraviglioso!). Le statue furono recuperate dal Nucleo Archeologico dei Carabinieri nel 1987, e sono molto rovinate nella parte inferiore, tanto da non permetterci di capire come fossero posizionate. Sono state denominate statua A e statua B (come al solito, la fantasia degli archeologi viene sfruttata tutta per immaginare alzati e strutture ma scarseggia al momento di dare nomi ai reperti).
La statua A è acefala (cioè, per dirla semplicemente, manca della testa) ed è molto rovinata, perfino dai segni di piccone lasciati dai tombaroli; ha due lunghe trecce sul petto che la figura afferrava con le mani, in un gesto tipico delle figure femminili dell’arte orientale. Sulla schiena, la donna ha una terza treccia a rilievo bassissimo che arriva alla cintura che chiude una gonna cortissima e doveva essere rivestita da una lamina di bronzo. La statua B ha conservato la testa; ha una veste analoga alla A ma meno raffinata nella cintura, ma fa un gesto diverso: tiene una mano sul petto e una sul ventre. Si tratterebbe di un giovane.
Le tombe sono tutte a fossa, tranne una che è a camera e probabilmente era in questa che stavano le due statue: dovevano quindi simboleggiare gli antenati dei defunti sepolti nella camera, cosa che è più probabile se si considera che il gesto della statua A è interpretato anche come gesto di lutto. Inoltre, rappresentazioni statuarie degli antenati che custodiscono la tomba e accompagnano il defunto (o i defunti) sono molto diffuse in Etruria.
Insomma, ho parlato di arte funeraria, ma non crediate che l’arte etrusca sia solo questo! Santuari, banchetti, gioielli, armi, oggetti votivi e religiosi, iscrizioni…Un mondo che neanche Roma è riuscita ad oscurare completamente e che non può che affascinare, fosse anche solo per le epigrafi. Ma se volete saperne di più, Volterra è il posto giusto; oppure vi consiglio un salto (si fa per dire) a Villa Giulia, che non è un museo, è un paradiso per tutti gli interessati all’Etruria e a quel popolo che non è romano, non è latino e non è greco, ma unisce queste diverse culture in un unico tessuto, in cui si rintracciano alcuni fili levantini e alcuni nordici. Quel popolo cui Roma deve tanto di sé, a cominciare dalla sponda nord del Tevere, passando per la religione, le toghe purpuree, le corone dei trionfatori e arrivando fino a Giove Capitolino, la cui statua si deve ad un etrusco, e a Mecenate stesso, il cuore della Roma imperiale. Forse, senza l’Etruria, i suoi buccheri, i suoi àuguri, senza Cerveteri, Tarquinia, Orvieto, Volterra e tutte le altre città, Roma non sarebbe diventata quello che è.
In copertina l’affresco sulla parete di fondo della Tomba degli Auguri, Tarquinia, 540 a.C.
Giulia Bertolini