Episodio VI
Il Ritorno dello Jedi
Luke Skywalker è tornato al suo pianeta natale Tatooine
nel tentativo di strappare il suo amico Jan Solo
dalle grinfie del malvagio bandito, Jabba The Hutt.
Luke non può sapere che l’Impero Galattico ha iniziato, in gran segreto,
la costruzione di una nuova stazione spaziale corazzata
ancora più potente della temuta Morte Nera.
Una volta completata, quest’arma risolutiva segnerà la fine del pugno di ribelli
che lottano per restituire la libertà alla galassia…
Successivamente al drammatico e repentino cliffhanger avvenuto con il quinto atto, sei mesi dopo, Luke Skywalker e Leila decidono di tornare sul pianeta Tatooine per liberare il comandante Han Solo, tenuto prigioniero, ibernato in una lastra di graffite, dal temibile Jabba The Hut. Grazie all’aiuto di Lando Calrissian, ed alle nuove capacità Jedi apprese dall’allievo di Yoda e Kenobi, il piano di liberazione funziona e dopo una rocambolesca fuga l’azione si concentra su quello che, a tutti gli effetti, si rivelerà essere il tanto agognato conflitto finale. Sulla luna boscosa di Endor, infatti, Solo, Leila, Chewbacca dovranno disattivare uno scudo deflettore per permettere alle milizie dell’Alleanza di
Il Ritorno dello Jedi è un esperimento interessante, una conclusione a suo modo efficace e coerente con quanto visto in precedenza con gli episodi passati, ma, l’opera data in mano da Lucas al gallese Richard Marquad, al contempo rivela molti punti deboli che influenzano in modo considerevole il giudizio finale, impossibilitandola ad assurgere quale ennesimo capolavoro del genere. La saga di Guerre Stellari, pur rimanendo una produzione incapace di invecchiare con gli anni e dimostrando una considerevole resistenza alle mode odierne o passate, conclude il proprio ciclo evidenziando più lacune che spunti geniali ed innovazioni. Dopo l’introduttivo capitolo IV, vero precursore di quella “Galassia lontana, lontana…” che avrebbe stregato milioni di persone, e dopo un atto di passaggio persino migliore, sotto alcuni punti di vista, dell’esordio, anche Lucas mette il piede in fallo e,
Non si può, pur tuttavia, bocciare in toto The Return of the Jedi, perché il lungometraggio di Marquand ha dalla sua il fatto di saper reggere in maniera egregia l’intero piano narrativo grazie ad una regia ispirata ed attenta, non eccessivamente piatta o pesante, questo gli va riconosciuto; eppure alcune idee nate proprio in fase di sceneggiatura sono davvero poco condivisibili e rimangono tutt’ora di dubbio gusto. Creare, nel complesso, una climax come quella venuta fuori dalla storia di Luke, che vive di echi epici cavallereschi, impiantati in un contesto fantasy futuro dal sapore a volte dispotico, per poi farla venir meno proprio nel momento emotivamente più alto, sotto il profilo del pathos e della drammaticità, non è, di certo, una trovata degna di lode, tant’è che, ad onor del vero, l’entrata in scena di alcuni comprimari, quali gli Ewooks, i pelosi abitanti della luna di Endor, evidenzia un totale crollo della tensione accumulatasi nei momenti passati, capace di stroncare quasi totalmente le scene più importanti e le battute conclusive di una storia che era riuscita, sopratutto con The Empire Strikes Back, a dare vita ad un alone tragico quasi pari a quello delle più note opere teatrali.
Non è, infatti, un male aver pensato di inserire un popolo indigeno primitivo, a stretto legame con la natura e quasi totalmente estraneo alla tecnologia, come quello degli Ewooks, ma la loro presenza nel conflitto finale, con conseguente vittoria, è pari quasi ad una parodia della storia d’origine stessa. Il guaio è che, seppur fortunatamente lontano da quell’eccessiva serietà che contraddistingue il cinema di Nolan nei comics, il sesto episodio di Star Wars non mostra la maturità necessaria per soddisfare appieno chi, in platea, desiderava un prodotto degno di quanto visto in precedenza.
Volendosi allontanare da quella fantascienza drammatica e pessimistica, quale quella che poteva essere sorretta da capolavori come Mad Max, Alien o Blade Runner, l’ultimo progetto di Lucas affonda in una costruzione superficiale di una conclusione che di epico ha ben poco, se non gli attimi in cui sono Jedi e Sith a vivere sullo schermo, grazie anche alle sempre indimenticabili melodie di John Williams.
Non tutto il male viene, però, per nuocere, poiché la prima ora di film resta un affascinante connubio di grottesco, dramma, erotismo e tensione ancor oggi esaltante e coinvolgente. La figura di Jabba, accompagnata sempre dal suono della tuba, che rispecchia la sua poderosa obesità, si dimostra fin da subito come un’icona pop difficile da dimenticare, così come il suo palazzo abitato dai più famigerati cacciatori di taglie, persone poco raccomandabili o prive di una qualunque etica. E’ un caleidoscopio intrigante ed interessante, simile, per certi versi, al locale in cui, due pellicole avanti, entrava Kenobi
Star Wars – Il Ritorno dello Jedi, vive un po’ troppo sui riflessi indimenticabili di chi l’ha preceduto e si adagia troppo sulla concezione di essere un episodio conclusivo, chiude con delle riserve considerevoli una saga che poteva ambire ad una conclusione migliore, non tanto sul piano tecnico, dato che alcune inquadrature, come quelle in volo sui veicoli su Endor, sono a dir poco spettacolari, né tanto meno per quel che concerne la realizzazione degli effetti speciali, all’avanguardia ed ancora oggi credibili, ma sull’aspetto narrativo e della sceneggiatura. Se da un lato, infatti, abbiamo la crescita del conflitto tra padre e figlio, il potere sempre più insistente del lato oscuro, e la paura che Luke passi davvero tra le fila del male in alcune o più sequenze,
Gli Ewooks, per quanto carini e simpatici, metafora di quei popoli che sono stati spazzati via dai conquistatori, un tempo, rappresentano l’anti-climax per eccellenza, facendo venir meno toni e momenti che avrebbero maggiormente beneficiato di tutta una serie di azioni estreme o tragiche. Fortuna che, se da un lato abbiamo questa semplicista visione della guerra, dall’altro sono le tematiche portate avanti da un’intera esalogia ad alzare considerevolmente l’asticella della qualità. Luke cerca in suo padre quel bene
In definitiva per The Return of the Jedi poteva esser fatto di più, questo è certo, sopratutto nei riguardi di una storia tanto affascinante ed innovativa quanto derivata da comics e letteratura classica, ma Lucas, in questo modo, ha dato la possibilità di poter permettere, in un futuro, a registi più esperti o sceneggiatori particolarmente ispirati di rimediare e mettere mano su una saga che necessita di un finale nettamente più appagante. La Galassia di Guerre Stellari, per quanto salva, ha bisogna ancora di essere esplorata, può ancora dare molto ed
Il Ritorno dello Jedi proietta noi tutti a quel Risveglio della Forza ambientato ben trent’anni dopo i fatti accaduti in quest’epilogo, trascina fan ed appassionati in un futuro ormai prossimo con il quale molti vogliono tornare ad avere una certa confidenza. In fondo è sempre stato così, prerogativa delle più esaltanti storie, nelle quali le parole e le immagini scorrono come un fiume in piena incapaci di fermarsi, dando vita a mondi e personaggi inimmaginabili, ma reali, che si animano sullo schermo e sulle pagine di un libro. Ogni avventura che si rispetti però, si narri di uomini, automi, terresti, alieni, maghi, streghe, cavalieri o burberi Wookie, inizia sempre con lo stesso preciso schema, perché tale è il paradigma della madre di tutte le immortali leggende: “C’era una volta, tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana….”.
E poi, cala il sipario.