Il viaggio di Uni Info News nell’affascinante mondo dell’elettronica continua ormai da parecchi mesi. Il vostro supporto e la vostra partecipazione ci ha spinto ad addentrarci sempre di più e proprio durante il nostro cammino siamo stati illuminati da un raggio di luce incredibile. Roba alla John Belushi in ‘’The Blues Brothers’’ per intenderci. Il paragone vi potrà sembrare eccessivo ma vi posso assicurare che non sto esagerando. Stavolta nel descrivere questo talentuoso artista ho molte difficoltà, non voglio tediarvi con i soliti discorsi sulle sonorità o sui vari tecnicismi, io voglio solo far trasparire attraverso le mie semplici parole tutto il rispetto artistico che nutro per questa persona. Il producer in questione non riesce solo a trasmetterti qualcosa, riesce a trasportarti di peso da un posto all’altro e non stiamo parlando solo del nostro pianeta, è capace di violare i limiti terrestri e portarti su una nuova galassia. Il suo sound ha davvero qualcosa di mistico e dai suoi lavori traspare fin da subito un lavoro molto emotivo e ricercato, cosa che nel nostro paese non siamo abituati ad ‘’ascoltare’’ tutti i giorni. Divora tantissimi libri, è un appassionato della conoscenza e della vita, adora le metropoli e il Gin Tonic e il suo primo approccio con un software per composizione ce lo ha avuto grazie a un parroco(quando si dice che ‘’le vie del signore sono infinite’’ eh?!). Uni Info News oggi vi presenta l’intervista con uno dei producer di musica elettronica più all’avanguardia d’Italia, stiamo parlando di Giancarlo Carriero aka Diogenes della Panorama Musique Records. Prima di lasciarvi alle parole del nostro protagonista colgo l’occasione per ringraziare di cuore Giancarlo per la sua disponibilità e pazienza(l’ho torturato anche durante il suo viaggio a New York, perdonami ndr.) e Joe Antani in arte Fricat, per avermi consigliato di intervistarlo. Vi lascio all’intervista e vi ricordo inoltre che alla fine potrete trovare tutti i contatti per ascoltare i lavori del musicista e una playlist fatta con tanto amore dal nostro Diogenes in regalo per voi lettori. Buona lettura e buona estate da tutta la redazione di Uni Info News.
Hai scelto un particolare nome che richiama subito al mondo filosofico, parlaci del tuo percorso musicale, come sei arrivato a Diogenes?
Quello di Diogene, tra i profili dei filosofi greci, è sempre stato il mio preferito. Fin dai tempi delle scuole, quando invece era più facile rimanere affascinati da mostri sacri come Platone o Socrate. Tutto questo per la sua attitudine al pensiero. Lui era quello che (se mi concedi la semplificazione) si è sempre preso meno sul serio. Se vuoi l’analogia sta qui: quando ho dato vita al progetto Diogenes nel 2013, arrivando dalle più disparate esperienze musicali (dall’Hip Hop al punk, passando per il post rock e l’elettronica glitch dei primi 2000), il mio intento era quello di guardarmi allo specchio, riconoscere i miei 30 anni e pormi di fronte alla materia musicale in modo meno “ragionato”, più istintivo e se vuoi ludico. Per questo dentro lo stesso album (o addirittura dentro lo stesso pezzo) puoi trovare rimandi tanto al sound hip hop quanto alle dilatazioni del post-rock. Ma tutto ciò è fatto in modo totalmente spontaneo, non ricercato.
Come definiresti il tuo sound? In cosa ti differenzi dagli altri tuoi colleghi in Italia?
Proprio per quello che ti dicevo prima dare una definizione del mio sound è davvero dura per me. Alla fine quel che faccio è tornare a casa dall’ufficio e mettere in musica i pensieri che mi pigiano in testa tutto il giorno. Non ricerco un suono o un’attitudine, quanto più di dare forma palpabile (o ascoltabile) a tutto questo. E spesso quello che viene fuori è molto diverso da ciò da cui son partito. Ho un approccio molto concreto alla composizione, genericamente quando inizio qualcosa ho l’ossessione di concluderla, e se non riesco a chiudere un pezzo prima di andare a dormire, genericamente finisce nel cestino. Dal punto di vista compositivo, ogni mia raccolta, album o formato breve che sia, l’ho vomitata dalla testa in una settimana o poco più. Il resto è lavoro di ricerca o roadmapping.
Quando hai capito che la tua vita si stava irrimediabilmente intrecciando con l’arte della musica?
Ho avuto la fortuna, pur essendo nato in una casa senza troppa cultura musicale se non quella popolare, di esser riuscito a carpire gli stimoli giusti fin da molto piccolo, che arrivassero da album prestati da cugini e parenti o da concerti a cui sgattaiolavo quando i miei genitori mi portavano alle Feste de L’Unità. Ricordo ancora quando per puro caso mi trovai ad assistere alla famosa ospitata a sorpresa dei Nirvana a Tunnel. Hai idea di quanto un ragazzino di 11 anni di provincia possa essere scosso da una cosa del genere? A 16 anni poi ho iniziato a incanalare tutto nella batteria, uno strumento per il quale credo si debba essere portati per natura e alla composizione dei miei primi beat per la mia fase “rapper”. Credo sia stato lì, senza sognare storie di rock-star e tour mondali, che ho capito che questa cosa era più grande di me e che me la sarei portata dietro, in qualche modo, a vita.
Recentemente su SoundCloud ho ascoltato un tuo lavoro per la Wasbridge Chronicles, ovvero ”Don’t be Moody”. Personalmente l’ho trovato fantastico, parlaci di questo nuovo progetto con la Wasbridge e dei progetti che stai portando avanti con loro…
Don’t Be Moody è un lavoro che è arrivato alla fine di un periodo molto doloroso della mia vita. Tendo a spiegarlo in genere come il mio personalissimo percorso di analisi. Chiunque lo abbia ascoltato mi ha detto che questo forte legame tra quelle quattro tracce e me (come essere umano) si avverta fortemente. Tra queste persone c’è stato Joe, una persona che stimo sia a livello artistico che umano, e con cui c’è stata subito un’incredibile intesa sia artistica che personale. Abbiamo iniziato a pensare con lui ad un modo per farlo uscire senza che diventasse “fuori tempo massimo”, visti i tempi anche della discografia indie. E’ nata così Wasbridge Chronicles che vuole presentarsi come la sorella minore ed emotiva dello schiacciasassi Wasbridge Council. L’idea è quella di pubblicare lavori più intimisti, personali e “delicati” soprattutto di artisti che in genere hanno approcci diversi. E “Don’t Be Moody” è stato il primo figlio. Sono molto contento di quel che è venuto fuori, se pensi che dalla prima nota che ho composto alla pubblicazione son passate non più di 3/4 settimane. Tutto fatto in casa (io mi sono occupato anche del mastering e dell’editing, il meraviglioso artwork è di Umberto Staila, che ha contribuito a rendere riconoscibile ovunque ormai il marchio di fabbrica WASBRIDGE), ma con estrema serietà e professionalità.
Cosa c’è dietro al tuo ultimo album ”THE THEORY OF THE UNDANCEABLE”? Nella traccia ‘’Rain Un-Dance’’ ho colto diversi rimandi a Daedelus, mi complimento di cuore perché dal primo ascolto si nota che il tuo è un lavoro davvero ricercato…Con la traccia ”Under My skin” invece cosa volevi comunicarci? Mi ha colpito molto e il sound è davvero coinvolgente.
THE THEORY è forse la dimostrazione di quello che ti dicevo prima. Del mio processo produttivo. Ho passato quasi un anno dall’uscita del precedente FAKE MIRRORS chiuso in studio ma senza l’idea di preparare il nuovo album, ma con la necessità di studiare nuovi approcci alla composizione, ascoltando tanta musica e cose diverse, dalla classica al hardcore, cercando di rubare dei pezzettini di “metodi impliciti”. Nel frattempo, in parallelo, avevo passato un po’ di nottate a ritornare invece ad una semplicità d’approccio che avevo in adolescenza, facendo uscire in proprio anche i 4 volumi HIP HOP IS DAD, poco più che semplice boom-bap. Poi un fine settimana ho deciso di dar corpo a tutto questo lavoro ed il risultato è stato l’album di cui parliamo. Che è il mio manifesto contro la necessità di ballare la musica che va ballata. Ti ringrazio per l’accostamento a Daedalus, che ritengo uno dei migliori artisti in circolazione, anche se in realtà non l’ho mai considerato una reale fonte d’ispirazione. UNDER MY SKIN è uno dei brani a cui sono più legato anch’io. E’ di base una traccia dedicata a, ed ispirata da, la persona con cui vivevo all’epoca. Volevo trasmettere quell’emozione che provi quando realizzi che con una persona che ti sta accanto non hai solo un contatto fisico, ma una reale condivisione di emozioni che scorrono, appunto, ben sotto lo strato di pelle. Il pezzo è di base la telecronaca del mio cervello mentre realizza questa cosa, dall’iniziale formicolio dell’idea che sta nascendo, alla festa che esplode quando lo realizzi.
La tua etichetta è la Panorama Musique Records, quali altri progetti stai portando avanti con loro e quanto è importante nella vita di un artista essere appoggiati da un’etichetta?
Panorama Musique non è solo l’etichetta per cui pubblico i miei lavori, ma una vera e propria seconda famiglia per me. Andrea mi ha accolto quando giravo un po’ apolide dopo la chiusura del rapporto con la precedente label. Considera che appunto, in genere, non ho molti demo da far ascoltare per invogliare qualcuno a pubblicarmi un lavoro, proprio perché miei lavori tendono a nascere e chiudersi in pochi giorni. Andrea invece si è fidato di me e del rapporto che nel frattempo abbiamo costruito, e quando ho completato THE THEORY, dopo poche settimane è uscito. Ho un’enorme fiducia e stima nei ragazzi che lavorano in Panorama che, al di là della mia partecipazione, vedo come la realtà più seria e lungimirante in Italia, al pari, ad esempio, di realtà più consolidate come quella di Fresh Yo! (altro gruppo di persone a cui va la mia stima infinita).
Perché hai scelto la strada dell’elettronica? Cosa ti ha portato a scegliere le originali sonorità che possiamo ascoltare nei tuoi lavori?
In realtà non l’ho scelta, è stata più lei a scegliere me. Il mio primo approccio alla musica suonata è stato con la batteria e la chitarra che ho suonato in alcune band ai tempi delle scuole. Con l’irruzione dell’hip hop nella mia vita mi sono quindi procurato il mio campionatore ed ho iniziato a studiare l’approccio pattern-based alla musica. La cosa mi stava un po’ stretta però, e grazie alla persona più improbabile (un parroco di un paesino sull’appenino) ho scoperto il mio primo software per la composizione (il Voyetra Digital Orchestrator Plus… su un 386 nel lontano 1999). Da lì ho iniziato a scoprire la sintesi sonora, la manipolazione dell’audio e da lì tutto il resto, iniziando ad affiancare pattern programmati alle cose che suonavo con la batteria in un gruppo post-rock. Credo che buona parte del mio sound arrivi proprio da questa commistione: ovvero da una forte propensione al ritmo che ho ereditato dalla batteria e dai beat hip-hop, mescolata alla passione per l’emotività e le atmosfere stranianti dell’ “altro-rock”. Non a caso una delle band che preferivo all’epoca erano i 65daysofstatic.
Oltre alla musica hai anche altre passioni?
Sono profondamente ed inesorabilmente appassionato a TUTTO. Sono un curioso di natura ed affamato di nozioni e conoscenza. Posso passare delle ore rimbalzando sul web, per accumulare conoscenza. Mi perdo in libri di testo universitari di materie che non ho mai studiato. Mi incuriosisce l’arte, la filosofia, la politica, la letteratura, la matematica, la genetica, la biologia.. tutto. Se c’è qualcosa da sapere, vorrei con tutto il cuore saperla. Ah.. e poi il Gin-Tonic. Anche questo mi fa star bene. Se poi riesco a disquisire di filosofia, musica e biologia in compagnia di un paio di drink, è la serata perfetta. Mai stato un clubber.
Cosa ne pensi della scena elettronica Italiana?
Penso che sia un bel momento per essere musicisti elettronici in Italia. La “scena” è per lo più popolata da persone stilisticamente distanti chilometri, ma tra i quali esiste un rapporto umano, di collaborazione e di supporto straordinari. Penso a persone come Go-Dugong, Fricat (ma anche gli Apes On Tapes in toto), Microspore, Kappah, Deliuan, Backwords, Earthquake Island, i Discoforticut, Clap! Clap!, Q*ing, e altri mille di cui potrei fare una lista infinita, con i quali adoro tanto prendere una birra o raccontar cazzate o far due chiacchiere, quanto ascoltarli esibirsi. La “scena”, secondo me, sta qua. Nel continuo scambio che c’è tra le persone più che nella reale assonanza stilistica o di obiettivi.
I tuoi 10 artisti preferiti, quanto ti hanno influenzato nel tuo percorso e da chi trai più spunti?
* Flying Lotus, un genio totale. Nessun altra parola da aggiungere
* The Gaslamp Killer, figlio legittimo e pazzo del genio citato prima.
* Dj Shadow, il primo forse a fondere il ritmo e l’emozione in modo così insindibili.
* El-P, in tutte le sue incarnazioni e collaborazioni. Il bianco più nero della storia.
* Kode9, più per la creazione della meravigliosa Hyperdub, che per suoi meriti artistici, comunque indiscutibili
* Bjork, un faro per chiunque volesse approcciarsi alla musica in modo innovativo. Since 1993.
* Nirvana, perché la prima infatuazione delle medie dovrebbe essere per sempre la tua migliore amica.
* Godspeed You! Black Emperor, perché il primo vero amore non si scorda mai.
* Sangue Misto, che hanno acceso il fuoco che mi ha bruciato di più in tutta la mia vita.
* Shlohmo, perché il mio ultimo crush.
Progetti futuri? Nuove collaborazioni in vista? Puoi darci qualche dritta?
Al momento sono impegnato su un paio di fronti. Sto studiando le sonorità che comporranno il seguito di “Don’t Be Moody”, estremizzando un po’ il concetto di astrazione che avevo già iniziato. Sto riorganizzando le bozze di quello che andrà poi a formare il prossimo album, e programmando a breve l’uscita di una sorpresa (sempre su Panorama) a proposito di alcune cose di cui abbiamo parlato finora. Inoltre c’è in progetto un’altra collaborazione con un giovane rapper toscano per il quale ho una stima infinita, di cui parliamo da un sacco ma per cui ancora non siamo riusciti ad incastrarci coi tempi.
Quando lavori alla tua musica cosa ti passa per la mente? I tuoi brani trasmettono forti sensazioni e l’ascoltatore posso assicurarti che si sente subito coinvolto e sballottato in una dimensione difficile da definire…
Credo che sia come dici semplicemente perché è così che lavoro. Ogni mio pezzo è il frutto di una spinta fortissima da dentro a comunicare qualcosa. E’ sempre un parto, anche a livello emotivo, dal quale esco spesso anche sconvolto. Non mi piace lavorare per esercizi di stile o tecnicismi. Per quelli ci sono lo studio matto e disperatissimo.
Di recente so che sei stato a New York, cosa ti porti da questo recente viaggio? Quanto è importante viaggiare nella tua vita?
Adoro viaggiare, ma quasi esclusivamente per metropoli. Non sono un tipo da natura selvaggia ed incontaminata., in genere dopo un paio di fotografie mi ha già stufato. Ho bisogno di sentire i palazzi, di vedere il cielo incorniciato, di sentire come si muove a ritmi frenetici chi ci vive. Magari perché ho quasi sempre vissuto quasi in campagna, nella sonnolenta provincia fiorentina.. Ed ogni volta finisco col tornare a casa con un bagaglio emotivo gigante che non può che finire anche nel mio lavoro come Diogenes. New York per questo è perfetta. Mi capita di andarci per lavoro e ne approfitto per godermela anche di notte o nei tempi liberi. Ed ogni volta venir via è sempre più dura. Aveva ragione Michael Stipe.
Vuoi aggiungere qualcos’altro?
Più o meno penso di aver dato una fotografia abbastanza completa del mio percorso artistico grazie alle tue domande. Questo fine 2016-inizio 2017 spero sia un anno positivo, vista la mole di cose che devo rilasciare. Così come spero di intensificare l’attività live sulla quale sto lavorando molto, soprattutto per portare in giro un live fatto solo con le macchine senza l’ausilio del mac, che lascio a casa solo per la composizione. Per il resto non mi resta che ringraziarvi sia per la scelta che per lo spazio concesso. Un abbraccio forte. Spread Love.
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