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Soldado

Soldado

Seguito dell’acclamato Sicario di Denis Villenueve, Soldado è stato dato nelle mani esperte di Stefano Sollima, prima (grande) prova della sua carriera che vede il regista coinvolto in una produzione dal respiro internazionale.

Sollima poteva, doveva, e si dimostra, essere l’uomo giusto nel raccontare questa storia, proprio perché negli anni passati è riuscito a marcare un preciso tipo di film d’azione e di denuncia la cui autorialità ha segnato un passo avanti nel panorama del cinema nazionale.

Soldado, prima di tutto, è un esame finale che serve al regista per dimostrare alle grandi major di sapersi destreggiare con maestria laddove molti suoi colleghi falliscono, la pellicola vuole essere un biglietto di ingresso nel parco giochi hollywoodiano a cui si affianca la necessità di essere un seguito coerente con il capitolo che l’ha preceduta.

Tornano, infatti, i volti di Josh Brolin e Benicio del Toro, i cui personaggi questa volta sono ingaggiati a muovere una guerra verso i cartelli messicani per contrastare non solo la minaccia della malavita, della droga, del traffico di persone al confine, ma anche l’avanzata del fondamentalismo islamico.

E’ un conflitto senza regole dove ancor più che mai a questo giro la libertà del massacro segue di pari passo il cammino verso la libertà del cittadino da ogni tipo di minaccia.

Sollima intende e gira Soldado come se avesse a che fare con una guerra ormai dichiarata e sotto gli occhi di tutti, non nasconde titubanze ed incertezze quando è previsto dalla sceneggiatura che i tanti conflitti a fuoco abbiano bisogno di un’ambientazione di tipo urbano, in mezzo al continuo vivere quotidiano delle persone.

Sono proprio le scene che coinvolgono i cittadini ignari ed innocenti di ciò che si muove nell’ombra a rimanere maggiormente impresse: la più riuscita e coinvolgente resta quella in cui quattro kamikaze irrompono in un supermercato in Kansas City compiendo una strage.

In questa sequenza ben costruita sono i particolari in secondo piano a dare risalto all’oscenità del gesto: una chiamata alla propria famiglia, sentita di sfuggita e in sottofondo prima della carneficina; la tranquillità di chi fa la spesa seguita dalla paura, fusa con la speranza della fuga, di non poter evitare l’inevitabile.

E’ l’unica parentesi che vede coinvolti volti di uomini e donne comuni, il resto Sollima lo dedica ai protagonisti, ai militari e agli uomini dei cartelli, questo perché Soldado è un film dotato di un’impronta narrativa ben precisa e non cede a semplici ingenuità.

Il ritmo delle prime fasi ricalca quello delle ultime scene di Sicario, con un montaggio preciso per dare la sensazione che tutti gli elementi lasciati su schermo siano ritrovati e che niente sia cambiato.

Sulla carta infatti non v’è alcun mutamento nelle intenzioni delle due fazioni rivali, tanto meno negli obiettivi delle varie missioni in cui sono impiegati gli uomini del governo americano, ma con l’avanzare sostenuto della storia Soldado trova una sua identità inedita che veste con eleganza senza mai strafare e andare oltre il necessario.

E’ un film che predilige la tecnica e fa propria non tanto la narrazione in sé per sé, a cui pone un’importanza relativa, ma il modo attraverso cui essa si mostra.

Sollima fa un esercizio di stile raffinato con la potenza visiva delle immagini e sperimentando, su più fronti, e godendo di un’ispirazione percepibile in più di un’occasione.

La cura nel voler costruire un conflitto nasce proprio dalla mappatura, da quel repentino muoversi nello spazio, tramite il quale si sente concretamente quanto il traffico illegale non riguardi una sola nazione o un solo gruppo di persone, ma sia ramificato e globale.

Questo è ciò che contraddistingue la premessa a cui segue la pianificazione di uno scontro a fuoco dove le parti in causa perdono i propri contorni confondendosi con una morale incerta dove i buoni si vestono da cattivi senza provare alcuna reticenza a compiere atrocità.

Un tour de force freddo e pragmatico dove non esistono bene e male, ma se è per questo nemmeno ideali patriottici o doveri civili: il governo e la polizia possono credere di saper tenere sotto controllo il confine, ma gli uomini coinvolti nella guerra sanno che una volta entrati nell’arena è solo questione di sopravvivenza.

Non è casuale che a mancare in Soldado è proprio quel senso di umanità che lo spettatore aveva potuto cogliere in Sicario, lenta discesa in quell’universo militare estremo, di confine, dove ci si poteva immedesimare nel volto deciso, ma sempre teso, di Emily Blunt.

L’atmosfera che si respira in questo secondo capitolo è meno coinvolgente e ciò ne limita anche il potenziale espressivo.

Sollima è così appassionato nel voler raccontare, nel voler esaltare con trovate geometriche e strategiche l’intera storia, con inquadrature dell’alto, stacchi che fanno rimbalzare le sotto-trame da una parte all’altra del globo, che non si preoccupa di considerare quanto tutto ciò possa stancare lo spettatore alle lunghe.

Soldado ha un difetto notevole e non da poco, che maschera bene, perché è supportato da un reparto tecnico di alto livello, ma comunque percepibile: è privo di introspezione e progressione.

I suoi protagonisti sono privi di verticalità, non offrono un avanzamento psicologico degno di nota e ciò ne limita enormemente la fruizione.

Che si parli dell’Alejandro di Del Toro, o del Matt Graver di Brolin, il massimo a cui possono ambire i due sono quello di farsi strumenti di un fine preciso.

Gli sporadici squarci di umanità sono tutti condensati nel secondo tempo, ma sono come semi mai del tutto coltivati, benzina sul fuoco utile per rimarcare quanto la forma insista nel mostrare: Alejandro, a causa del suo passato, non più uomo, ma uomo-simbolo, un messaggio, che muta non in virtù della persona e dei suoi sentimenti, ma delle circostanze, modificando la propria natura solo se la situazione lo richiede, se la guerra lo richiede.

Un camaleonte redivivo che cammina nel deserto, accompagnato dalla presenza della morte, la cui arte mimetica abbraccia diversi strati di umanità a favore di una finalità pratica, dove sfrutta ogni risorsa disponibile per (ri)emergere dalle innumerevoli situazioni in cui cade.

E’ una guerra necessaria per chi vi è coinvolto quella di Soldado, uno scontro che si presta a interpretazioni diverse e che assume sembianze diverse a seconda di chi è coinvolto. E’ una partita a poker dove un bluff può costarti la vita, dove i simili si riconoscono anche se facenti parte di eserciti diversi: per questo ogni risorsa, ogni vita, non deve essere sprecata ma sfruttata allo scopo di chi riesce ad accaparrarsela per primo.

Ciò che è giusto e sbagliato si annulla, le regole non esistono più e l’aria che si respira al confine torna ad essere quella di un antico tempo passato riconducibile allo stato di cacciatore e preda. 

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