Mentre l’attenzione mediatica è focalizzata sull’ assedio di Gaza e le sue terribili conseguenze, la guerra civile siriana prosegue ferocemente, priva di un doveroso e necessario interesse da parte dei media.
Basti pensare che lo scorso 20 luglio sono state uccise 700 persone nel giro di 48 ore, una carneficina passata sotto silenzio dalla stampa internazionale.
I motivi di questo “disinteresse” sono svariati. Se certamente, come afferma Jeffrey Goldberg, giornalista del magazine statunitense The Atlantic, la carenza di un’adeguata copertura mediatica è dettata da esigenze tecniche (per un giornalista risulta estremamente difficile operare in Siria, e di conseguenze le possibilità di “raccontare” questo conflitto diminuiscono drasticamente), la disinformazione risulta in parte dettata da una situazione sempre più intricata e di difficile comprensione.
Pur trattandosi di una guerra civile, il conflitto sta sempre più assumendo connotati internazionali, come dimostra la pesante influenza di Stati Uniti e Russia. Ma procediamo con ordine.
Divisa e spesso sottomessa, la Siria ha rappresentato sin dall’inizio dei tempi una terra di confine, ma anche una terra caratterizzata da una grande ricchezza culturale e da una varietà etnica-religiosa senza precedenti. Nel secolo scorso, dopo la fine del Mandato francese e ben tredici colpi di Stato, il controllo del Paese è stato assunto, agli inizi degli anni Sessanta, dal Partito della Resurrezione Socialista Araba, il partito Baath. Interessante quanto determinante per la comprensione degli eventi successivi è il fatto che i tre fondatori del partito, ispirato all’ ideale panarabo, facessero parte di gruppi religiosi differenti: alauita, cristiano ortodosso e musulmano sunnita. Il processo culminò con il colpo di stato militare del 1970, avvenuto senza spargimenti di sangue, di Hafiz al-Asad (padre di Bashar al-Asad e all’epoca dei fatti ministro della Difesa), di orientamento alauita, che assunse il ruolo di primo ministro e instaurò una struttura istituzionale monopartitica. Tuttavia, non venne revocato lo stato di emergenza, in vigore dal ’63. Nonostante la condotta laica del partito Baath, la minoranza alauita fu, comunque, favorita, garantendosi posizioni strategiche all’interno dello Stato e dell’esercito, suscitando il forte malcontento della maggioranza sunnita. Alla morte di Hafiz al-Asad, il “Leone di Damasco”, avvenuta nel 2000, il potere passò nelle mani del figlio, che fino a quel momento aveva vissuto a Londra, dove aveva studiato oftalmologia e aveva sposato una donna sunnita, e che da sempre aveva dimostrato uno scarso interesse per la vita politica.
I siriani, disgustati dalla dilagante corruzione delle istituzioni, riposero le proprie speranze in Bashar al-Asad, il quale ripristinò il commercio internazionale e riformò il paese, con timide aperture verso Occidente. Il suo mandato fu salutato come “ la primavera di Damasco”. Ma il mantenimento dello stato di emergenza, delle restrizioni imposte alla stampa e la soppressione dei partiti di opposizione disattesero le speranze dei siriani. I prigionieri politici furono migliaia. A livello internazionale, il comportamento ambiguo tenuto dal presidente siriano durante il conflitto in Iraq del 2003 contribuì ad aumentare le tensioni fra Siria e USA, vanificando, di fatto, gli sforzi di apertura verso Occidente e Israele.
La situazione fu aggravata dall’appoggio siriano a movimenti riconosciuti come terroristici da Stati Uniti e UE, quali Hezbollah e Hamas.
Il 15 marzo 2011 migliaia di persone, sull’onda della Primavera Araba, si riversano nelle piazze di Damasco, Aleppo e Daraa per chiedere riforme democratiche e il rilascio di tutti i prigionieri politici. Ѐ la fine del “regno del silenzio” e l’inizio della guerra civile. Il governo reagisce in modo violento alle proteste, che inizialmente avevano un carattere pacifico.
L’attenzione internazionale sul conflitto si accentua in seguito all’uso di gas sarin contro civili, il 21 agosto 2013: gli esperti dell’Onu dichiarano che l’uso di armi chimiche è da attribuire “all’esercito regolare”.
In seguito agli sforzi diplomatici russi, e non in risposta alle minacce di Washington (come tiene a precisare Bashar al-Asad in un’intervista a un’emittente televisiva russa), la Siria consegna il suo arsenale chimico alla comunità internazionale. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite che prende in esame un periodo tra il 15 maggio e il 15 luglio 2013 accusa l’esercito siriano e i ribelli di aver commesso crimini di guerra: entrambe le fazioni, sicure della loro impunità, hanno agito contro il diritto internazionale, commettendo massacri, rapimenti, bombardamenti di aree protette. Nell’agosto del 2013, Yaakov Amidror, consigliere della sicurezza del premier israeliano Netanyahu, espone, in una riunione alla Casa Bianca la necessità di non rovesciare Bashar al-Assad, anche se non deve uscire vittorioso dal conflitto perché ha legittimato l’uso di armi chimiche in Medio Oriente, creando “un pericoloso precedente”. Le ragioni di Israele sono dettate dal timore del rafforzamento dei gruppi jihadisti in territorio siriano, che costituiscono una delle principale minacce per Gerusalemme.
Nel gennaio 2014 il regime interrompe le connessioni a internet dai bar e dai luoghi pubblici. Ѐ il ritorno al silenzio.
Le armi chimiche tornano ad uccidere nell’aprile 2014 nel villaggio di Kafr Zeita, nella provincia di Hama. Governo e opposizione si accusano a vicenda. Intanto si inaspriscono i rapporti tra Casa Bianca e Cremlino, accusato di rendere più difficili i negoziati sulla Siria tramite l’invio di armi al regime di Assad. La situazione è destinata a precipitare in seguito agli eventi di Crimea, e al conseguente ritorno a un clima da guerra fredda. Il 3 giugno 2014 si tengono le elezioni in Siria, dal risultato scontato: Bashar al-Asad ha escluso dalle votazioni gli avversari in esilio.
Le soluzioni per la crisi siriana sembrano più lontane di quanto non lo fossero a inizio conflitto, anche a causa delle ingerenze di forze estremiste quali Isis e Al Qaeda, e del progressivo isolamento della regione. Ma intanto in Siria si continua a combattere e a morire sotto l’inumano velo del silenzio.
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