LIVORNO – Uni Info News ha avuto il piacere di intervistare Marco Leone, direttore della Fondazione Goldoni, nominato il 14 Ottobre di quest’anno. Il dottor Leone sta affrontando una situazione non certo facile, una sfida difficile in un settore che oggi in Italia è in piena crisi. “Rosignanese, 49 anni, una laurea in lettere con il massimo dei voti e la lode presso la facoltà di Bologna ed una lunga e concreta esperienza condotta in camp
Con Metodifestival e la Scuola di Teatro Artimbanco di Cecina, di cui è stato Direttore, ha co-organizzato il Progetto Europeo “Crossing Stages” insieme all’Univerità Carlos III di Madrid, Università Diderot di Parigi, Università di Lubiana, ASTA Teatro Universitario di Covilha (Portogallo), Odin Teatret, Holstebro, Danimarca. Questo progetto culturale che aveva come obiettivo principale quello di costruire punti di incontro nella società contemporanea, soprattutto tra i giovani, attraverso l’ interpretazione della mitologia europea, ha avuto nell’aprile di quest’anno Livorno come sua tappa conclusiva e si è svolto presso il Teatro Goldoni, il Centro Artistico Il Grattacielo ed il Liceo statale F. Cecioni.”
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Qual è l’eredità che ha trovato una volta avvenuto il passaggio di testimone con Paolo Demi?
Credo che Paolo Demi abbia fatto dei lavori importanti, condivisi con l’amministrazione comunale, facenti parte di un disegno in cui ci sono anche io. La prima idea era quella di iniziare un percorso di internalizzazione, di alcuni servizi, o meglio, il primo obiettivo è stato e lo è tutt’ora il risparmio, riuscire a risparmiare. Il problema delle risorse è un problema importante, reale, risparmiare prima di tutto attraverso l’internalizzazione di alcune risorse che prima erano appaltate a ditte esterne, per esempio il servizio di gestione di impianti elettrici: abbiamo fatto un corso di formazione con cui oggi rispondiamo a quella esigenza con il personale interno.
Abbiamo intenzione di portare in house il maggior lavoro possibile.
Un altro elemento che faceva parte di questo percorso e voglio portare a compimento è il discorso di apertura. Riportare il teatro Goldoni a quella che è la sua funzione di istituzione pubblica e secondo noi in accordo con l’amministrazione comunale, il Sindaco, siamo d’accordo nel dire che le istituzioni pubbliche in Italia devono ritrovare il loro ruolo: devono essere un facilitatore di accesso dei cittadini ai servizi, alle strutture e risorse. Quindi, vuol dire, non solo aprirsi alle esigenze della città, ma anche fare in modo che questa struttura possa diventare a sua volta una risorsa per la città.
Faccio un esempio per tutti che è l’ufficio di Fund Raising, che stiamo costruendo in questi giorni.
E’ doveroso fare un piccolo passo indietro. Il teatro Goldoni non ha mai partecipato a Reti internazionali, tranne per rapidi e sporadici casi, non si è mai dato l’obiettivo di fare progettazione o ricercare risorse su cespiti diversi da quelli che non fossero pubblici istituzionali: il Comune, la Regione o il Ministero.
Invece da oggi costituiamo questo ufficio, inserito nel quadro più ampio della Rete Europea, che ha l’obiettivo di scannerizzare il mondo alla ricerca di bandi, sia che si tratti di finanziamenti diretti che indiretti, per cercare risorse. Ci tengo a sottolineare che cercare risorse non vuol dire solamente per il Teatro Goldoni, ma cercare risorse per la città. Un modo per mettere il Teatro Goldoni al servizio della città aiutando la stessa, le associazioni culturali, i teatri della città a fare impresa, ottenere le risorse per implementare l’impresa culturale della città.
In grande sintesi cerchiamo soldi per fare sempre più teatro e più attività culturali.
Quali sono le criticità che ravvisa nel Teatro in Italia, ma soprattutto in quello cittadino?
Il teatro in Italia è un teatro che vive un momento drammatico, per molti anni sono stato convinto che il teatro italiano fosse in enorme difficoltà rispetto alla contemporaneità, cioè rispetto ai temi della contemporaneità, l’Italia per tanti anni ha avuto un deficit di drammaturgia, mentre in altri Paesi, in special modo quelli anglosassoni, vi era un’attenzione maggiore alla drammaturgia, e quindi alle problematiche del momento, in Italia questo non si verificava, è stato un teatro italiano che per molti anni ha vissuto di quello che chiamiamo teatro classico, si è sempre creduto che finché in Italia si faceva Pirandello, Moliere, Goldoni, il pubblico avrebbe risposto, se ci fossimo allontanati da questi autori ci avrebbe abbandonato, un teatro quindi un po’ conservatore.
Io credo però che in questi ultimi anni il deficit sia diminuito, c’è molta più drammaturgia, un teatro di ricerca abbastanza vivace, non so se è perché il teatro si vivacizza nei momenti di crisi, è un dato di fatto, anche normale se ci pensiamo, comunque oggi il gap si è ridotto, si produce molto, anche a condizioni molto svantaggiose, come ci ricorda l’AGIS un terzo di tutti i teatri italiani è chiuso, un terzo dei teatri italiani è semiaperto, vuol dire che svolge l’attività di cartellonistica, fa un cartellone teatrale e poi chiude, che si traduce in un’apertura di dieci giorni l’anno, solo un terzo del patrimonio del teatro italiano sembra vivere un po’ di più durante l’anno.
Questa descrizione la dice lunga sulle condizioni economiche in cui versa il settore culturale.
A parte questo c’è un grandissimo fermento dei festival, del teatro contemporaneo e di ricerca, sta anche crescendo la voglia e la curiosità di teatro, ci stiamo, credo, svecchiando.
La dimensione teatrale può realmente attirare le persone giovani e meno giovani? Può suscitare ancora curiosità e interesse ed essere quello strumento di ricerca e catarsi che lo ha da sempre contraddistinto?
Se il teatro parla ancora ai giovani? Si. Tutto il teatro di ricerca è fatto da giovani, fatto da gente che utilizza il teatro perché pensa che il teatro sia uno strumento importante di comunicazione e condivisione. Credo che il teatro non morirà mai, se i teatri crolleranno, se le risorse finiranno, vorrà dire che torneremo in piazza, ritorneremo alle origini, dovunque c’è una persona con una storia da raccontare e due orecchie disposte ad ascoltare c’è teatro. Il teatro è destinato a seguire pedissequamente il destino dell’uomo, morirà con l’uomo, è nato con l’uomo e morirà con esso.
Il ruolo di un’istituzione come la nostra, questo ci tengo a dirlo e lo dico spesso, è proprio quello di dimostrare contrariamente a quello che ci viene raccontato fin troppo frequentemente da chi amministra le risorse, da chi ci governa, da chi dovrebbe stanziare i soldi per la cultura, questo “sport” a cercare di dissuadere le generazioni di giovani a intraprendere la carriera del teatro, dell’arte, della musica, con frasi del tipo “con la cultura non si mangia”, queste sono sciocchezze. Un’istituzione come il Goldoni che deve essere aperta e funzionante, ha un ruolo fondamentale che è quello di dimostrare, che al di là delle chiacchiere e della retorica, anche un po’ reazionaria, di teatro si può vivere, è un mestiere.
Posso sottolineare la difficoltà che ho avuto negli anni a dire il mestiere che facevo in Italia. Non è stato per niente facile negli anni farmi definire come operatore culturale non essendo prevista questa figura professionale.
Un teatro funzionante serve a raccontare questo, che il teatro è un mestiere, e quindi giornalmente con la nostra presenza, con quello che produciamo e facciamo, ogni volta che apriamo il teatro o che in teatro c’è qualcuno che sta recitando, creando qualcosa, stiamo dimostrando che di questo si può vivere, soprattutto in Italia.
Si può quando si è molto giovani scegliere per sé e per il proprio futuro di fare questo, di tentare di fare l’attore, il cantante, il musicista, il danzatore, il registra, il macchinista, il tecnico luci, il fonico, il sarto, si può! Sono mestieri reali, tangibili.
Si può dedicare la propria vita a questo, se lo si sente dentro!
E se lo si sente dentro non si può, si deve!
Quale a suo avviso potrebbe essere la strada per dare nuova linfa a quella industria culturale di ampio respiro che sembra annaspare in una Livorno vivace culturalmente?
Noi siamo un’istituzione pubblica pagata dai cittadini dobbiamo centrarci rispetto al nostro ruolo, dobbiamo moltiplicare le occasioni di ripresa culturale, attraverso la Fondazione Goldoni dobbiamo arrivare al plus di attività ed è quello che cercheremo di fare anche attraverso il reperimento fondi, collegandoci a livello europeo con una rete che sia più ampia, cercando di produrre di più, non solo per il teatro Goldoni, ma per tutta la città, che in effetti in questi anni si è un po’ persa nella frammentazione,.
In periodi di ricchezza ci si può permettere di andare ognuno per sé, nei momenti di bisogno si è costretti a fare rete, sinergia, a stare insieme, progettare insieme, cercare soluzioni insieme che da soli non riusciremmo a trovare.
Tutto il mondo anglosassone non conosce le sovvenzioni pubbliche. Un mondo culturale trattato alla stregua dell’impresa pura. L’attività culturale è un’impresa privata. Questa è una grandissima differenza, ogni teatro è strutturato come un’impresa privata che deve fatturare. Da noi si accede ai finanziamenti solo se si è un’associazione culturale no-profit, una scelta di campo diametralmente opposta. Da una parte in Italia si chiede a un’entità come l’associazione culturale no-profit di essere efficiente e reperire fondi, ma dall’altra si vuole un’associazione appunto che non consegue profitto. In Italia c’è chi fortunatamente pensa che la cultura sia una realtà da proteggere quindi che fosse giusto finanziarla a livello pubblico, cioè che fosse il comparto pubblico a dover garantire che la cultura si svolgesse e che lo facesse in un terreno “protetto”; la cultura è un valore e come tale ce lo paghiamo e lo difendiamo.
Questo quando il pubblico aveva le risorse.
Adesso che il pubblico, cioè tutti, è in difficoltà, guardiamo al mondo anglosassone che ha scelto un altro tipo di strada. Ritengo che come avviene spesso dovremmo “contaminarci” con quanto di meglio viene fatto oltreoceano e nel mondo anglosassone, capire che possiamo integrare la loro cultura con la nostra, che è una grandissima cultura, straordinaria, che parte lo ripeto da un assunto straordinario – la cultura è un diritto imprescindibile dei cittadini e come tale ce lo paghiamo -. Oggi che abbiamo meno risorse questo assunto dovrà essere corroborato con altre intuizioni, una di queste potrebbe essere in realtà trarre spunto dal modello anglosassone permettendo a chi vuole sostenere attività teatrale da parte dei privati di poter fare donazioni liberali a favore del teatro scontandole da quello che deve pagare dalle tasse, ottenendo un credito di imposta. C’è una legge in Italia, la “legge Franceschini”, che si chiama arti bonus, siamo ancora lontani da quello che succede in Inghilterra e negli Stati Uniti dove chi vuole donare alla cultura ha uno scomputo dalle tasse pari al 100% della donazione fatta, mentre qui c’è solo una percentuale, una partenza seppur timida.
Abbiamo parlato di quanto l’economia oggi giorno sia pressante anche nei confronti degli operatori culturali, dei teatri, degli enti e associazioni. In che modo il teatro Goldoni può vincere le sfide economiche che sembrano dettare sempre più le scelte che riguardano la cultura? Non si rischia che il teatro e i sistemi che gravitano attorno a esso e il mondo tutto della cultura si trasformino in un asettico marchingegno aziendale con il solo scopo di produrre denaro?
Credo che il teatro sia bello perché è vario, ci sono tantissimi modi di fare teatro, ci sono diverse e molte tipologie di teatro, un po’ come il cinema. Mi piace la varietà e questa condizione piace anche al teatro. Sugli elementi che incidono sulla scelta degli spettacoli che compongono il cartellone di una struttura così complicata come il Goldoni non nascondo che ci sia la scelta dettata dal numero di così tanti posti, un teatro storico estremamente complesso che ha appunto molto spazio.
C’è un invito, maturato nella mia trentennale esperienza di teatro, una convinzione – E’ molto bello andare a vedere il teatro, però è anche molto bello farlo, il teatro fa bene a chi lo fa, prendete in considerazione l’idea di utilizzare lo spazio teatrale non solo come pubblico, ma anche proprio come attori, iscrivetevi a un corso di teatro, non solo qua, ma a uno dei tanti corsi possibili che si ritrovano in città, provateci, il teatro è uno strumento straordinario per capire e contattare parti molto profonde di sé, che rimangono inespresse. Iscrivetevi a laboratori di teatro.-
Al di là delle reazione critica del consigliere Marco Bruciati suscitata dalla sua nomina pensa di essere il soggetto giusto per far ripartire il teatro Goldoni?
La critica è legittima. Da parte mia l’unica risposta che posso dare è lavorare, se abbiamo dei risultati bene, altrimenti avanti un altro.
Matteo Taccola