E’ scomparso lo scorso 30 agosto a Dublino all’età di 74 anni uno dei più grandi poeti contemporanei dell’Irlanda e del mondo.
Premio Nobel per la letteratura nel 1995, all’amico e scrittore John Banville piace ricordarlo così: “un uomo divertente, ironico, che sapeva ridere di sé stesso. Seamus si sentiva un figlio del popolo irlandese, approdato alla letteratura da una famiglia di anonimi contadini, e di ciò andava giustamente orgoglioso”.
Heaney era infatti legatissimo alla terra e si considerava un uomo che di mestiere scava nella parola come il contadino scava la terra prima della semina. Amato per l’autenticità della sua poesia, che riesce a dare voce al popolo d’Irlanda affermando il valore collettivo delle esperienze vissute dal poeta, nel discorso di accettazione del Nobel dichiara”… Come poeta tendo verso la ricerca di un ritmo, nel senso che il mio sforzo è affidarmi alla stabilità conferita da un ordine di suoni musicalmente soddisfacenti.”
La sua è dunque una voce lirica forte, capace di infondere gaiezza e leggerezza alla letteratura d’Irlanda nonostante si sia affermato in un periodo durissimo per quella terra. “Averlo perduto è un disastro per il nostro popolo” (continua l’amico Jhon Banville) e, dovremmo aggiungere, non solo. Amava tantissimo l’Italia, tanto da aver tradotto in inglese le poesie di Giovanni Pascoli e aver dichiarato più volte che non sarebbe mai stato poeta senza l’esempio di Dante Alighieri.
La sua più grande lezione, prima ancora che di poetica, è di umiltà, nel senso profondo di aderenza alla terra e alla poesia in quanto vita. Questo modo di fare poesia, oggi è rivoluzionario perché niente danneggia l’arte e chi ne fruisce come la presunzione degli uomini che si considerano importanti e invece privano se stessi e gli altri della capacità di creare sottili connessioni tra la psicologia del singolo e la collettività.
Invece, Seamus Heaney era capace di cogliere la totalità del reale in forza del suo spirito lirico, una speranza che il mondo contemporaneo sembra aver perso da tempo.
testo della poesia e traduzione dalla rivista online Nuovi Argomenti
Digging
Between my finger and my thumb
The squat pen rests; snug as a gun.
Under my window, a clean rasping sound
When the spade sinks il1to gravelly ground:
My father, digging. I look down
Till his straining rump among the flowerbeds
Bends low, comes up twenty years away
Stooping in rhythm through potato drills
Where he was digging.
The coarse boot nestled on the lug, the shaft
Against the inside knee was levered firmly.
He rooted out tall tops, buried the bright edge deep
To scatter new potatoes that we picked
Loving their cool hardness in our hands.
By God, the old man could handle a spade.
Just like his old man.
My grandfather cut more turf in a day
Than any other man on Toner’s bog.
Once I carried him milk in a bottle
Corked sloppily with papero He straightened up
To drink it, then fell to right away
Nicking and slicing neatly, heaving sods
Over his shoulder, going down and down
For the good turf. Digging.
The cold smell of potato mould, the squelch and slap
Of soggy peat, the curt cuts of an edge
Through living roots awaken in my head.
But l’ve no spade to follow men like them.
Between my finger and my thumb
The squat pen rests.
l’ll dig with it.
Seamus Heaney
(The Forge, The Haw Lantern)
Vangando
Quatta quatta con il colpo in canna
Fra medio e pollice sta la penna.
Sotto la finestra un raspo netto all’internarsi
Della vanga nel terreno ghiaioso:
È mio padre che dissoda. Guardo in basso,
Finché sotto sforzo, a groppa curva
Sulle aiuole, torna venti anni indietro
Piegandosi a tempo per i solchi
Di patate che vangava.
A posto sul vangile lo scarpone,
Saldo fulcro del manico il ginocchio,
Cavava gambi, ficcava a fondo la lucente lama
Per spargere patate nuove che noi raccattavamo
Adorandone fresca la durezza nella mano.
Per Dio, il vecchio ci sapeva fare
Con la vanga. Come il suo vecchio.
Mio nonno in una giornata tagliava più torba
Di chiunque altro nella torbiera di Toner.
Una volta gli portai il latte in una bottiglia
Sciattamente turata con la carta.
Si raddrizzò per bere e subito riprese
Con cura a fare tacche e fette, spalandosi le zolle
Dietro le spalle, sempre più a fondo
A cercare quella buona. Scavando.
Il freddo afrore di terriccio di patate, risucchio e stacco
Da torba in guazzo, secco taglio della lama
Nelle radici vive, mi si risvegliano in testa.
Ma non ho vanga per seguire uomini come loro.
Fra medio e pollice
Quatta quatta sta la penna.
Sarà la mia vanga.
(traduzione di A. Gentili)
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