Ognuno di noi ricorda probabilmente molto bene l’anno della maturità, quello che sarebbe stato l’ultimo anno di scuola, l’anno per eccellenza si potrebbe dire, con le sue ansie, difficoltà e gli esami che allora sembravano insormontabili. Alla luce della situazione attuale sorge una domanda tanto spontanea quanto retorica: se insieme alle svariate emozioni contrastanti di quel periodo avessimo aggiunto anche le lacune del programma, il distanziamento sociale, la didattica a distanza e la mancata condivisione dell’esperienza con compagni e insegnanti, come saremmo stati?
Riflettendo su questo e stando vicini a ragazzi che stanno vivendo in prima persona questa nuova situazione abbiamo provato a rispondere traendo delle conclusioni e degli stimoli di ripartenza per quello che sarà sicuramente un anno scolastico unico nel suo genere.
Già da tempo strumenti tecnologici e media fanno parte, volenti o nolenti, del percorso di crescita delle nuove generazioni, ma mai ci saremmo aspettati di doverci affidare completamente a questi durante il percorso di apprendimento. A scuola già si usavano computer, lavagne digitali, internet, social, laboratori multimediali… eppure, seppur consapevoli di star usando un altro linguaggio, siamo rimasti basiti difronte alle difficoltà comunicative che incontriamo con questi strumenti che pensavamo di saper gestire così bene. Questo lockdown ci ha disarmato e obbligato a tornare tutti alunni verso un nuovo modo di comunicare, apprendere e vivere. Ma cosa ne pensano i ragazzi, ovvero i principali protagonisti di questo gigantesco esperimento didattico e sociale?
E come sarà la “notte prima degli esami” del 2020?
La DAD o “didattica a distanza” sarà il volano del nuovo ventennio scolastico o comunque sarà quello di cui si discuterà negli anni a venire per comprendere gli effetti che ha avuto sulle nuove classi di bambini, adolescenti e ragazzi. Sin dal principio si è resa sempre più palese la differenza generazionale tra gli alunni e i loro insegnanti, tra mezzi della scuola e grandi potenzialità degli strumenti online e, soprattutto, è improvvisamente emersa la questione del digital divide cui si è tentato di sopperire con gli scarsi mezzi a disposizione.
Se il 74% dei ragazzi ha dato una valutazione sufficiente o più che sufficiente alla DAD è doveroso segnalare che in realtà all’84% degli stessi manca la scuola e la sua dimensione; emerge come primario l’aspetto relazionale con i compagni (ben il 62% lo ha segnalato come aspetto primario) e risulta significativo anche quel 4% di studenti che dichiara di soffrire particolarmente la mancanza di una relazione dal vivo con i professori. Con la didattica a distanza infatti i docenti hanno meno possibilità di seguire i ragazzi, sia per motivi di tempistiche che di comunicazione, e tutto l’universo essenziale del linguaggio non verbale, dell’empatia, della sensibilità e del metodo che alimenta il rapporto insegnante-alunno viene a mancare.
Le maestre baciano e abbracciano i loro bambini, i professori scrutano le facce e gli occhi per capire se c’è qualcosa che non va, osservano il loro modo di vestire, il taglio dei capelli, pronti a cogliere qualsiasi novità, i sorrisi da un banco all’altro, le liti.
Come fare tutto ciò dietro una fotocamera? Semplice, non si può.
Certo, la didattica a distanza ha anche i suoi vantaggi, tra cui la sveglia più tardi, l’assenza di spostamenti ma, soprattutto, dichiara il 37% dei ragazzi, la maggiore elasticità dei tempi di studio. Diversi ragazzi asseriscono che in casa riescono a stare più attenti e concentrati, che l’ambiente è più tranquillo e soffrono di minor ansia da prestazione: queste risposte devono farci molto riflettere sull’ambiente scuola. Classi-pollaio, come le ha definite la Ministra, la pessima acustica, la fatiscenza che si respira in molti edifici scolastici, la competizione sfrenata, la corsa al voto: tutto ciò deve cambiare. Questo non significa distruggere, stravolgere quello che è il risultato di esperienze e anni di storia e vite; significa vagliare quelle infinite possibilità di crescita e miglioramento che tengano conto dei reali bisogni dei soggetti coinvolti, a partire dall’assunto aristotelico “l’uomo è un animale sociale”.
Sociale, non solo social. È socievole, bisognoso, chiacchierone, arrabbiato e partecipe di un’enorme gamma di sentimenti che uno schermo non potrà mai riuscire a comunicare.
A prova di tutto ciò, infatti uno dei risultati più forti è stato il “mi sento più solo/a”, affiancato da stati d’animo di perplessità e preoccupazione, che ci ricorda in maniera lampante la fragilità di queste età di transizione e crescita; non dimentichiamoci poi le singole necessità personali dei ragazzi (alunni con sostegno o con disturbi specifici) e consideriamo l’impatto psicologico che questo periodo avrà su tutti coloro che sono a tutti gli effetti gli adulti di domani. Queste risposte emotive e cognitive, l’esperienza dei docenti e le difficoltà dei genitori ci dicono che forse dovremmo rivedere il modo di verificare le competenze e strutturare dei programmi scolastici che favoriscano l’intraprendenza, l’organizzazione del tempo di studio e lo spirito di networking a sfavore della competitività.
Magari sarà pensabile lo sviluppo di nuove forme comunicative per alcune materie, nuove disposizioni delle aule, programmi svolti in parte a casa. Bisognerà ripensare a una serie di soluzioni per aiutare la socialità di soggetti a rischio, non solo con bisogni dichiarati, ma anche depressione giovanile o situazioni di asocialità; bisognerà trovare un momento di vero lockdown dagli smartphone per evitare danni fisici e mentali. Trasversalmente sarà necessario creare le riforme ricordandosi che la scuola è il luogo di incontro, scontro e confronto per eccellenza: in fin dei conti tra l’immobilità e l’annientamento ci sono infinite possibilità di ibrido.
La premessa sottesa a tutte le nostre proposte è che l’alunno debba essere, senza mezzi termini, il fulcro del sistema scolastico.
Come riuscire a fornirgli una formazione adeguata che non subisca le conseguenze dell’isolamento?
Se non conviene a rinunciare alla didattica in presenza è altrettanto vero che bisogna proteggere la salute dei ragazzi, dei docenti e di tutto il personale. La situazione ottimale sarebbe dunque quella di avere a disposizione un maggior numero di aule affinché gli studenti, in classi meno numerose, possano andare a scuola in sicurezza. In mancanza o a supporto di ciò, potrebbe essere organizzata una rotazione delle classi negli spazi a disposizione, seguendo una routine che permetta sempre di avere le medesime classi nelle solite aule. Il numero degli alunni per ogni nucleo sarebbe da ricalcolare secondo le vigenti disposizioni e in modo da garantire il distanziamento sociale: ad esempio una classe 30 alunni potrebbe forse essere suddivisa in due sezioni da 15 alunni l’una; una di queste avrà un orario scolastico mattutino, mentre l’altra pomeridiano.
La scuola, come tutti i locali pubblici, dovrà essere provvista di saponi, carta ed igienizzanti. Guanti e mascherine dovranno essere usati ad ogni lezione e forniti agli alunni nel caso non li abbiano. Oltre al distanziamento dei banchi è da pensare la possibilità di inserire un pannello di plexiglas sulla cattedra per permettere all’insegnante una spiegazione agevole senza mascherina durante la lezione. Per quanto riguarda la materia di Educazione Fisica, potrebbe essere utile alternare eventuali lezioni teoriche nel caso di palestre occupate nei mesi invernali e lezioni all’aperto nei mesi più caldi. Sembra superfluo aggiungere che a un aumento di classi corrisponderà un aumento di docenti.
Sarà disposto lo Stato a investire nella Scuola, dopo anni e anni di tagli alla spesa pubblica?
I consigli di classe, i collegi, le attività di segreteria, le prove parallele e gli invalsi potrebbero essere fatti in modalità telematica, così come l’eventuale formazione degli insegnanti neoassunti. Sarebbe inoltre utile creare delle classi o lezioni virtuali di recupero per i ragazzi in difficoltà, per permettere loro di affrontare lacune nuove o pregresse anche con l’ausilio di eventuali tutor. Le classroom, le piattaforme e le risorse digitali utilizzate in questo periodo saranno sicuramente da sfruttare per l’invio dei materiali integrativi, per esercizi aggiuntivi e soprattutto per permettere a docenti e alunni di confrontarsi in orario extrascolastico. Fondamentale sarà fornire un supporto virtuale anche a livello psicologico che aiuti a comprendere alcune situazioni e ad uscire da blocchi nati magari durante la quarantena.
L’alternanza scuola lavoro potrebbe essere pensata, ove possibile, impostandola in maniera ibrida tra lavoro in sede, fondamentale per la comprensione del contesto, e la modalità di smartworking in modo da adeguarsi alle esigenze più contemporanee.
Utopia? Probabile.
Non si potrà sapere finché non si risponderà alla crisi in modo coraggioso, ripartendo dalle basi e non facendo pervenire soluzioni a cascata, perché la lezione è sotto i nostri occhi e adesso va appresa più che impartita: bisogna lavorare meglio, non di più.
Questo articolo è stato svolto ripensando a un sistema basato principalmente sul secondo ciclo scolastico: volendo ampliare il raggio delle possibilità anche al primo ciclo sarebbe da considerare in maniera molto seria anche la struttura della scuola all’aperto, già da anni studiata a livello internazionale e applicata in scuole estere. I benefici di questa modalità sarebbero molteplici e non è da escludere ovviamente una forma di didattica ibrida, che preveda lezioni in aula e lezioni strutturate in spazi aperti, proponendo anche in questo caso una rotazione e una suddivisione degli alunni per ogni classe.
Federica Parlanti
Chiara Lo Re