Prendi la musichetta della Champions League e gli stipendi milionari. Prendi le punizioni di Cristiano Ronaldo e i dribbling di Messi. Poi prendi le conferenze stampa e i calciatori che fanno le bizze per un ritocco dello stipendio. Prendi gli opinionisti, i collegamenti da bordo campo e le partite in TV. Ora dimenticati tutto questo, mettilo da parte o gettalo più semplicemente nel cestino. Ora invece prendi la III categoria, prendi i calciatori con la pancetta e un lavoro oltre il calcio, prendi le madonne che cadono ad ogni azione sbagliata e le scarpette visibilmente segnate dal tempo e da quei campi da gioco che l’erba non sanno nemmeno di che colore sia. Poi prendi l’antifascismo, l’antirazzismo, l’avversità per natura al calcio moderno e a tutti i suoi derivati e una buona dose di goliardia. Prendi uno stadio che porta il nome del fumettista che disegnò Corto Maltese e, dopo aver mescolato bene il tutto, metti tutto questo in un quartiere come Scampia. Tutto questo prende il nome di Stella Rossa 2006 e questo è Calcio con la C maiuscola. Quella che vi sto per raccontare attraverso questa intervista non è una storia di Ultras, pallone e grandi vittorie. Si tratta semplicemente di una storia d’amore.
-Da che esigenze nasce il progetto stella rossa 2006?
Probabilmente questo progetto è nato dall’esigenza di vivere il gioco del calcio in prima persona in modo libero e soggettivo, in campo quanto sugli spalti. La Stella Rossa nasce nel 2006 come squadra di calcio a 8 iscritta ad un torneo cittadino, il torneo interfacoltà, che coinvolgeva diverse squadre appartenenti a diverse facoltà universitarie o atenei. Attorno alla squadra sin da subito si è creato un seguito, una sorta di tifoseria che ha accompagnato i ragazzi ad ogni partita. I momenti vissuti sul campo hanno cementificato dei legami, creato un gruppo, dato vita a qualcosa di così trascinante, che quando ci è stato proposto di formare una squadra di calcio a 11 da iscrivere al campionato di III categoria abbiamo
deciso di provare. Dopo un primo anno “sperimentale”, abbiamo deciso di proseguire dandoci man mano delle direttive, delle linee guida. Per quanto valori come l’antifascismo e l’antirazzismo abbiano sempre fatto da base al progetto, è negli anni e col tempo che la “pratica” di questi valori si è rafforzata, caratterizzando il progetto stesso, la cui esigenza oggi è quella di fare la differenza dentro e fuori dal campo.
-Perché questo nome?
Il nome è stato scelto nel lontano 2006 ( allora ci chiamavamo però Stella Rossa Orientale, l’università di provenienza di molti di noi dove la squadra è nata ufficialmente), ai tempi del torneo interfacoltà; tra di noi ci sono molti intenditori di calcio e amanti del pallone che hanno voluto omaggiare la bellezza del calcio giocato dalla Stella Rossa di Belgrado campione d’Europa nel 1990-91.
– Il tifo organizzato in questo momento sta vivendo un periodo di repressione come non se ne vedeva da tanto tempo. Tessera del tifoso, striscioni vietati, curve squalificate. Realtà come lo Spartak Lecce, il Quartograd o la Stella Rossa offrono una concreta possibilità di evadere da questo clima soffocante e riportare sulle gradinate la voglia di ripartire da capo?
Sicuramente le categorie minori non sono al centro dell’attenzione mediatica o istituzionale, ragion per cui gli effetti delle politiche repressive che si vivono oggi negli stadi, toccano fino a un certo punto il tifo della nostra squadra. Ma, nonostante ciò, anche noi abbiamo vissuto la repressione nel nostro piccolo, ad esempio con l’imposizione di multe per cori razzisti (“Lega, lega m***a”), il che ci ha fatto sorridere e non ci ha impedito di riprendere a cantare i nostri cori con serenità- cori nei quali l’elemento centrale è la goliardia e che principalmente mirano a supportare la squadra, non a denigrare gli avversari. L’esperienza dei nostri spalti quindi se da un lato sfugge alla repressione vissuta nelle categorie maggiori, dall’altro offre la possibilità di tifare e nel contempo vivere un’esperienza di aggregazione in modo molto libero e personale.
Come detto prima, anche noi abbiamo ricevuto una multa per un coro contro la Lega Nord che è stato considerato razzista. Questo ci porta a comprendere come gli ultras e molti tifosi si siano indignati per la questione del razzismo territoriale e abbiano rivendicato il proprio “diritto alla goliardia”, che è quello che infondo rivendichiamo anche noi ad ogni partita. L’Italia è un paese fondamentalmente razzista, sia dal punto di vista della società civile che sotto il profilo istituzionale. Il fatto che vengano penalizzate le curve per i cori “razzisti” mentre non ci sono state ripercussioni in parlamento per esponenti della Lega Nord che hanno pesantemente insultato l’ex ministro per l’integrazione Cécile Kyenge ci risulta paradossale. L’unico effetto che queste sanzioni procureranno sarà magari l’inasprimento dell’odio razziale fuori dagli stadi anziché dentro. Ma forse, negli stadi è meglio comportarsi bene che poi si va a giocare competizioni europee e si fanno le brutte figure, per le strade invece (e nelle sedi del potere politico) il razzismo resta libero di circolare e di espandersi.
-Dopo quasi 10 anni di attività ormai il vostro nome è sulla bocca di tanti tifosi, ci sono stati degli attestati di stima da parte di tifoserie al seguito di qualche “big” del calcio italiano o mondiale?
Abbiamo rapporti soprattutto con le altre squadre di calcio popolare (e di conseguenza con le loro tifoserie) in Italia, come il Centro Storico Lebowski a Firenze, oppure con l’Atletico San Lorenzo a Roma, ma anche con il Brutium Cosenza e tutti gli altri che hanno fatto del calcio “sostenibile” la loro battaglia. Per quanto riguarda il calcio professionistico, abbiamo stretto amicizia con i ragazzi del Panathinaikos (Grecia), precisamente del Gate 19, con i quali abbiamo trovato subito dei punti in comune come la creazione di una squadra che faccia calcio popolare, infatti gli ultras del Panathinaikos hanno creato una squadra autofinanziata che partecipa nei campionati minori. Ma, in ogni caso, il nostro nome è abbastanza conosciuto anche nell’ambiente del tifo napoletano.
-Avete un progetto anche per il lato calcistico in sé o con un progetto basato su messaggi da portare in gradinata il pallone può passare in secondo piano?
Nel nostro progetto il calcio è l’elemento centrale. Sicuramente, sottraendoci alle logiche che dominano il calcio moderno, il nostro modo di arrivare alla vittoria, e quindi alla crescita, è diverso e non implica il sacrificio dei nostri principi e della nostra identità, il che significa anche rischiare di rimanere per 4 anni in III categoria senza vedere la promozione. Ma il calcio rimane sempre e comunque al centro, rimane lo strumento per eccellenza. Il nostro sogno sarebbe poter avviare una scuola calcio popolare accessibile a tutti, dove si promuova l’aggregazione in modo trasversale e si possa trasmettere un senso diverso dello stare insieme e del vivere il gioco del calcio. In questa direzione, a breve avvieremo un laboratorio con dei bambini del quartiere di Santa Chiara a Napoli, preparando una squadra per il Mediterraneo antirazzista, una manifestazione itinerante che nasce e parte da Palermo e arriverà a Napoli a maggio.
-Qual è il vostro rapporto col calcio che conta?
Non c’è un vero e proprio rapporto col calcio che conta , perché è proprio in questa istituzione che non ci riconosciamo. Svolgiamo tutto un altro tipo di cammino, segnato dalla non mercificazione dello sport e dalla non omologazione degli spalti e del tifo. Anche dal punto di vista economico attuiamo un percorso differente; siamo una società autofinanziata che va avanti con notevoli difficoltà, senza aiuti dall’alto e senza santi in paradiso. TV, soldi e globalizzazione animalesca non fanno parte del nostro credo.
Ne abbiamo trovati tanti di ostacoli, in realtà ogni anno ci chiediamo se ci saremo ancora quello dopo. Ci sono le difficoltà economiche, quelle burocratiche (problemi ad ottenere il campo, lungaggini, ecc) e quelle umane, dipendenti dal fatto che per motivi di lavoro o studio alcuni di noi sono dovuti partire, per altri il tempo da dedicare al progetto si è dovuto ridurre, e così via. Tutti questi ostacoli li abbiamo superati e li superiamo attraverso la forza del gruppo, confrontandoci, discutendo e cercando sempre le soluzioni più adatte alla nostra natura.
-Come vi finanziate?
Ci autofinanziamo, vale a dire che in primo luogo versiamo tutti –squadra, dirigenza e qualche tifoso- una quota mensile. Abbiamo poi un piccolo sponsor, un’azienda locale di import export di prodotti alimentari, e cerchiamo di promuovere eventi di raccolta fondi , come feste o cene, in cui vendiamo anche un po’ di materiale della squadra (maglie, felpe, spille, ecc).
-Come è stato accolto il vostro progetto in una realtà difficile come Scampia?
Il nostro progetto mira ad avere un impatto positivo nel sociale, da qui tutta una serie di attività sviluppate nel corso degli anni a Scampia e al centro storico di Napoli. In particolare, a Scampia siamo entrati a far parte di una rete di associazioni che operano nel sociale, come l’associazione Mammut, la scuola calcio Arci Scampia, l’associazione Pollici Verdi, il Gridas, o la casa editrice Marotta&Cafiero. Dal punto di vista della gente, negli anni sono sempre più numerosi gli abitanti del quartiere che seguono le nostre partite e si uniscono alla tifoseria. Di Scampia, che è oramai anche casa nostra (non solo in senso figurato, dal momento che molti di noi vivono in questo quartiere e l’Hugo Pratt, nostro stadio, si trova proprio a Scampia) si dice sempre e solo il brutto, ma c’è tanto di quel buono che in questi 4 anni ci ha guidato e ha rafforzato la nostra volontà di rimanerci, che uno dei nostri scopi in questi anni di attività è diventato cercare di fungere da ponte di collegamento tra il centro e la periferia, colmando quel vuoto che , a causa dell’assenza delle istituzioni e dei pregiudizi, favorisce l’emarginazione e l’esclusione di determinati cittadini dalla vita della loro città.
-Come vivete la politica sugli spalti?
Sugli spalti cerchiamo di creare un’atmosfera goliardica in cui tutti si possano riconoscere e a cui chiunque possa prendere parte. Nel contempo, essendo il nostro progetto mosso da valori come l’antifascismo e l’antirazzismo, sentiamo spesso l’esigenza di manifestare le nostre opinioni, con cori o con striscioni che abbiano ad oggetto questioni sociali o politiche. Il nostro progetto è indubbiamente anomalo nel panorama calcistico e non segue le logiche che dominano il calcio “che conta”, in campo e sugli spalti. Il calcio è un gioco, ma nel calcio moderno di politica ce n’è tanta, così come di demagogia (basti pensare alla questione del razzismo territoriale). Rispettiamo chi vive una tradizione diversa, in cui la politica non deve entrare sugli spalti, ma per noi il calcio è una forma di resistenza.
-Ormai sono quasi 10 anni che siete in piedi, ricordo più bello e brutto dal punto di vista calcistico e ricordo più bello e brutto vissuto sugli spalti?
Beh, di momenti belli e brutti ce ne sono stati tantissimi. Il ricordo più brutto, calcisticamente parlando, può essere la sconfitta per 5 a 1 contro una squadra che era nella stessa condizione nostra di classifica il primo anno in cui abbiamo partecipato alla III categoria con la squadra a 11, ma quella sconfitta fu una strigliata per tutti: infatti da quel momento non perdemmo più una partita. Il ricordo più bello è stato vincere quest’anno contro una squadra che lotta con noi per salire di categoria, il Kema Atletico Flegreo, che in generale non ci somiglia affatto, dal momento che rappresenta l’investimento di un singolo in un progetto calcistico evidentemente scevro da finalità sociali.
Per quanto riguarda gli spalti, i ricordi più belli sono state le feste che abbiamo fatto con diverse tifoserie che partecipano alla nostra stessa categoria (Lokomotiv Flegrea e Lebowski su tutti). Il ricordo peggiore in assoluto per noi è capitato proprio in questi giorni, con la chiusura al pubblico del nostro campo, l’Hugo Pratt di Scampia, la nostra casa. Ma grazie alle nostre vivaci proteste abbiamo ottenuto la revoca del provvedimento, un provvedimento ingiusto e frettoloso come hanno riconosciuto le stesse istituzioni municipali e cittadine, ed ora siamo pronti a tornare a far festa sui nostri spalti e a sostenere la nostra squadra.
-E per salutarci: “Stella Rossa Duemilasei, un altro calcio è VERAMENTE possibile?”
Noi speriamo di si e andiamo avanti per la nostra strada, baldi e fieri di quello che facciamo e del nostro credo. Dopo quasi 10 anni la gente che ci circonda sta capendo il senso del nostro lavoro e questo ci spinge ad andare avanti per far capire a tutti chi siamo e che se ci uniamo possiamo veramente cambiare qualcosa, perchè il calcio è si solo uno sport, ma lo sport è un diritto e in quanto tale deve essere accessibile a tutti e deve provare ad ispirare la società e a promuovere l’aggregazione e la cooperazione, valori sani di unione e fratellanza. Un altro calcio è possibile solo se si costruiscono istanze popolari partecipate e trasversali non basate su logiche economiche, ma espresse in termini di diritti.
Ringrazio Irene Esposito e tutti i ragazzi della Stella Rossa per la disponibilità a rispondere alle mie domande e per aver voluto condividere la storia del loro progetto con tutti noi.
Lunga vita al calcio popolare! Lunga vita alla Stella Rossa!