3 Dicembre 2024

In questo momento nel mondo sono in corso diverse guerre, si sta combattendo e qualcuno sta morendo.

Le “Guerre Dimenticate”, da noi tutti e soprattutto dai media internazionali, sono un fenomeno che contraddistingue la nostra epoca di decadenza  politica nel mondo.
La società occidentale, dopo decenni di “morbosa curiosità” nei confronti degli eventi globali, si ritira sempre più dagli affari mondiali e, ripiegando su se stessa, abbraccia una diffusa indifferenza su ciò che accade oltre i suoi confini.


Il Conflitto Civile Siriano esemplifica bene il risultato di questo fenomeno sociale ma vi possono essere contesti in cui è possibile scorgere l’inizio di questo vero e proprio “oblio collettivo ” : l’Iraq e l’Afghanistan, ad esempio, quanto e come sono citati attualmente dalla stampa internazionale rispetto al passato?
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Certo, se dovessimo attenerci ai soliti proclami di vittoria americani gli Stati in questione sarebbero pacificati e perfette democrazie ma davvero possiamo dire che sia così?

La situazione è in realtà molto più complessa e stratificata rispetto a quella descritta ufficialmente e, dopo più di dieci anni di combattimenti, non si vede ancora nessuna “Exit Strategy” concretamente perseguibile e coerente con le originarie intenzioni statunitensi.

Procediamo con ordine.

L’11 settembre 2001 il Crollo delle due Torri Gemelle ad opera di un’azione terroristica islamica riportò indietro le lancette della storia al periodo della Guerra Fredda: gli Stati Uniti, colpiti mortalmente sul loro suolo, decisero di reagire con forza al dramma subito e, il 7 ottobre 2001, invasero l’Afghanistan con il preciso obbiettivo di distruggere il regime talebano attivo nel paese, ritenuto responsabile dell’eccidio di New York.

Nella prima parte di questa lotta bellica le truppe americane, supportate da diversi paesi Occidentali tra i quali l’Italia, attaccarono le principali città afghane; nel giro di due mesi le forze della Coalizione internazionale chiamata ISAF conquistarono apparentemente tutto il paese riportando perdite molto leggere.


ISAFAll’inizio del 2002 tutto l’establishment statunitense si illudeva di aver chiuso la pratica con i guerriglieri talebani ma ignorava che il vero e proprio calvario stava solo per cominciare.


Le forze ISAF, da sempre abituate a tipologie di conflitti “convenzionali” o a “esercito contro esercito”, si ritrovarono ben presto a fronteggiare un’aspra guerriglia talebana basata su imboscate, attentati suicidi e nemici invisibili, impegnati in una guerra percepita come di liberazione da un Occidente invasore e, a loro dire, blasfemo per usi e costumi.

 

 

Nel 2003 Bush Junior, noncurante dei segnali negativi presenti in Afghanistan e adducendo come casus belli la presenza di “armi chimiche “, decise di aprire un nuovo conflitto in Medio-Oriente attaccando l’Iraq di Saddam Hussein.

Se la guerra in Afghanistan poteva e può tutt’oggi, a tredici anni di distanza, essere in qualche modo compresa, il conflitto in Iraq fu avvertito già allora come insensato ; pochi Stati Occidentali decisero di appoggiare le forze americane le quali, nel marzo del 2003, iniziarono ad occupare il sud del paese da Umm Qasr e il 1 maggio dello stesso anno dichiararono vittoria, frantumando le deboli e inefficaci difese di Saddam.

La miopia americana in questo istante raggiunse picchi inimmaginabili: come in Afghanistan, anche in Iraq iniziarono le azioni di guerra “Asimmetrica”  basate su attentati suicidi e imboscate e la vittoria, tanto sbandierata, si rivelò essere null’altro che un miraggio perso nei deserti insanguinati del Medio-Oriente.

Gli Stati Uniti, per cercare rendere più stabili i due paesi, provarono ad impiantare delle democrazia sul modello Occidentale ma si scontrarono con resistenze ideologiche e tradizioni secolari del tutto differenti rispetto a quelle presenti in Europa o in America del Nord.

Le molteplici offensive lanciate nelle zone a più alta concentrazione di “Insurgent”, termine militare americano utilizzato per indicare i nemici nella loro generalità, si rivelarono un continuo buco nell’acqua: la resistenza afghana o irachena riusciva a tornare sempre alla carica, trovando riparo in un sentimento di risentimento verso gli occidentali condiviso da buona parte della popolazione.

L’escalation della violenza ha portato Washington a sostituire gradualmente le sue truppe con decine di migliaia di Contractors privati, né più né meno che mercenari, la cui presenza attualmente in Iraq garantisce, a seguito del ritiro voluto da Obama delle forze regolari, la integrale sicurezza al debole governo di Nuri-Al Maliki e in Afghanistan si affianca a quella dell’esercito della Coalizione ISAF che rimarrà almeno fino al 2016.

Se la situazione è posta in questi termini, ben diversi da quelli diffusi ufficialmente da Washington, come mai la stampa internazionale ha deciso di disinteressarsi di questi due conflitti?
A differenza della Guerra in Siria, la coltre di silenzio sul Medio Oriente è calata solo in tempi relativamente recenti, motivata da una semplice ragione: celare non tanto le perdite umane della coalizione o il costo economico delle due guerre, quanto il totale fallimento della “Esportazione della Democrazia”,  ideologia seguita da buona parte dell’Occidente, media compresi, negli anni Zero del Duemila;  tanto in Iraq quanto in Afghanistan, la creazione di strutture istituzionali simili a quelle presenti in Europa o in Nord-America si è scontrata con delle resistenze culturali fortissime e le due stesse democrazie ora presenti in Medio-Oriente si reggono su compromessi precari, sulla forza delle armi e sul simbolo del dollaro.


(Nel film Leoni per Agnelli questi temi sono stati già trattati e sviluppati in maniera organica)

La fine di questo principio è visibile sia all’interno della Presidenza di Obama, poco incline a promuovere soluzioni militari dirette e più favorevole a interventi mirati come nel caso Libico del 2011, sia nel “nuovo corso” seguito dei media internazionali, disinteressati da pochi anni a descrivere la polveriera mediorientale e ad ammettere le loro evidenti responsabilità.

E questo non ci dovrebbe sorprendere.

In fondo, il mondo dell’informazione non è altro che lo specchio di una società e, in questo caso, la società Occidentale è da tempo silenziosa sulle scelte compiute in questo decennio ed è, come detto all’inizio di questo articolo, sempre più spaventata dal futuro.

Cercare infine di capire quali possano essere le prospettive di  questi due conflitti rimane un mistero anche per gli esperti di politica estera.
Se in Iraq, tutto sommato, è possibile vedere una sorta di “scheletro” di Stato, beninteso, supportato militarmente da Contractors e economicamente da finanziamenti provenienti da Washington, in Afghanistan le truppe americane sono le uniche garanti dell’ordine costituito guidato da Hamid Karzai .

Se l’Occidente, e soprattutto gli Stati Uniti, hanno interesse a non rendere le due guerre inutili, oltre che dimenticate, l’unica strada da percorrere passa dal sostenere queste istituzioni centrali e sperare che, col tempo, riescano quantomeno ad ottenere una autosufficienza politica; in caso contrario, la totale anarchia regnerà sui resti dell’Iraq e dell’Afghanistan, prima occupati e poi abbandonati a se stessi nella più completa indifferenza.

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Giulio Profeta

Dottorando, abilitato alla professione forense, livornese.
Sono uno dei fondatori del progetto "Uni Info News", nonché attuale presidente dell'associazione; ho avuto l'idea di buttarmi in questa avventura per promuovere uno stile di vita attivo fra tanti miei coetanei, all'insegna del confronto come motore di crescita personale.

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