“Era di una bellezza notevole e fu ricco di fascino per ogni fase della sua vita, benché fosse indifferente ad ogni forma di attenzione personale; […] aveva gli occhi vivi e lucenti, nei quali voleva far credere che vi fosse una specie di divino vigore ed provava piacere se qualcuno, osservandolo attentamente con più energia, abbassava lo sguardo come accecato dal fulgore del sole”
(Sv., Aug, 79)
L’anno appena concluso è stato un anno importante per l’archeologia e la storia dell’arte antica: si celebrava infatti il bimillenario della morte di quello che per un antichista è uno dei più grandi uomini mai vissuti, che in una ipotetica “sfida” non avrebbe niente da invidiare ad Alessandro Magno o agli eroi omerici. Eccellente comandante (con qualche aiutino da parte di amici un po’ meno noti, eh!), intellettuale e mecenate (del resto, era amico dell’originale), abilissimo politico, fu un uomo dalla personalità affascinante e controversa, condita con qualche cosa d’inquietante. Insomma, si tratta di C. Giulio Cesare Ottaviano Augusto, che da ora per brevità chiameremo Augusto, anche perché la cronologia ce lo consente: egli infatti assunse il titolo di Augusto il 16 gennaio 27 a.C., dietro concessione del Senato di Roma, e ciò che tratteremo oggi è successivo a questa data.
Per fare la sua conoscenza avremmo potuto prendere in considerazione una serie infinita di strutture e manufatti (famosa è la frase che gli si attribuisce “ho trovato una città di mattoni e ve la restituisco di marmo”), ma la scelta è ricaduta su quello che secondo me è il vero e proprio manifesto politico di Augusto: l’Augusto Loricato, o di Prima Porta, conservato ai Musei Vaticani.
La statua, databile agli inizi del I secolo d.C., fu rinvenuta nella Villa di Livia, presso Prima Porta, famosa anche per l’affresco del ninfeo sotterraneo. Raffigura l’imperatore nell’atto di parlare ai soldati (adlocutio), con corazza (lorica, appunto) decorata a rilievo e con il mantello (paludamentum) attorno ai fianchi, mentre la mano sinistra doveva tenere la lancia. La posa vi avrà senz’altro ricordato una delle più note statue dell’antichità, il Doriforo di Policleto, del quale l’Augusto riprende la ponderazione (posizione chiastica).
Il puntello per scaricare il peso del marmo è decorato con la figura di Eros e di un delfino, riferimenti a Venere, progenitrice di Augusto. Malgrado il volto sia idealizzato nello sguardo e nella suprema concentrazione che da questo traspare, i tratti sono quelli reali dell’imperatore.
Ma quello che mi sono permessa di definire “manifesto politico”, molto più del trasparente riferimento alla divina progenitrice del primo imperatore, è il complesso decorativo della lorica. Questa, che lascia intravedere la perfezione del corpo dell’imperatore, è infatti decorata con rilievi che hanno un profondo significato tutto da scoprire. Quindi, perdonandomi la lunga introduzione, andiamo a scoprire insieme di cosa si tratta accostandoci con ammirazione alla statua e ascoltando la voce di Augusto.
In alto, all’altezza delle clavicole, troviamo la personificazione del Cielo, affiancato dal carro solare di Apollo e da quello della Luna affiancata dall’Aurora. Al centro della lorica è la scena della restituzione delle insegne che erano state sottratte a Crasso in occasione della disfatta di Carre: si riconosce infatti il re dei Parti Fraate IV di fronte ad un generale romano raffigurato con ai piedi un cane (o più probabilmente un lupo, simbolo di Roma): potrebbe trattarsi di Tiberio, colui che effettivamente fu artefice della restituzione, oppure secondo alcuni di Augusto o di Marte.
Ai lati della scena principale troviamo due donne affiancate da vittorie alate (nikai): quella di destra ha in mano uno stendardo con un cinghiale e la tromba celtica; quella di sinistra porge un fodero senza gladio. La prima rappresenterebbe le tribù celtiche della penisola iberica che erano state conquistate da Augusto, oppure la Gallia stessa che era stata riorganizzata tra 12 e 8 a.C.; la seconda invece, potrebbe raffigurare le tribù germaniche situate tra il Reno e l’Elba non ancora pacificate oppure i regni dell’Oriente ellenistico, clienti di Roma. In basso, semisdraiata, si trovano la dea Tellus, simbolo di fertilità, che tiene in mano un corno colmo di frutta ed è affiancata da Apollo sul grifone e Diana sulla cerva. Sulle spalline del mantello sono raffigurate due sfingi.
I rilievi sono quindi una rappresentazione del Carmen Saeculare di Orazio, una celebrazione di Augusto e della potenza di Roma sul mondo, e della prosperità e ricchezza che derivano dalla pace che l’imperatore ha donato all’impero, combattendo o stringendo alleanze. Augusto, il vero pater patriae dell’impero Romano, sosteneva infatti di aver dato inizio a un’epoca felice e prospera per lo stato e per i cittadini, una nuova età dell’oro di cui lui era garante e interprete. E, nonostante il calcolo politico che sta dietro alla sua figura e alle opere da lui commissionate, guardando questa statua o l’altro simbolo del suo principato, l’Ara Pacis, non possiamo restare indifferenti e non possiamo non ammirarlo per quello che è riuscito a fare.
Trovarsi davanti all’Augusto Loricato, che sovrasta l’osservatore intimidito ma non lo degna di uno sguardo, irraggiungibile, è un’emozione unica; potremmo stare ore davanti alla sua splendida figura ammirando i dettagli perfetti dei panneggi del mantello o dei rilievi della lorica, l’anatomia di quel corpo meraviglioso che traspare con astuzia e i lineamenti meravigliosi del più grande principe mai vissuto. E sicuramente, dopo un po’, anche noi abbasseremo lo sguardo, anche dopo 2000 anni dalla sua morte. L’età dell’oro non è ancora tornata, ma la meraviglia dell’arte augustea non è ancora passata, e non ci abitueremo mai alla grandezza e autorevolezza che ci comunica. Augusto è davvero diventato un dio immortale, come con un po’ di libertà possiamo vedere nel suo nome: in Caesar infatti è contenuta la parola aesar/aiser, che in etrusco significa proprio dio (perdonatemela, ma sono giustificata perché è riportato da Svetonio).
“Se la commedia è stata di vostro gradimento, applaudite e tutti insieme manifestate la vostra gioia.”
(Sv., Aug., 99)
Nota: la statua conserva ancora tracce di colore, poiché come saprete, in realtà le statue antiche erano dipinte con colori molto vivaci…molto più di quanto possiamo immaginare!
Giulia Bertolini