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Rimedi letterari per un’eccessiva ambizione

Dei bambini si rincorrono spensierati in un pomeriggio d’inizio autunno. I loro schiamazzi tingono le nuvole di rosso; le foglie si accartocciano sotto il peso delle loro risa fresche e autentiche. Più in là, ragazzini impassibili di fronte alla genuina irruenza dell’infanzia, ve ne state voi. Solenni e maestosi, col petto gonfio alla maniera dei piccioni, vi affannate, dall’alto della vostra pila di libri,
ad arringare una folla immaginaria. Poco distante, seduta su di una panchina, vostra madre osserva con crescente imbarazzo la scena. Con il passare del tempo, i libri si sono ammuffiti, un candido diadema fa da cornice al volto solcato di vostra madre e la vostra ambizione si è trasformata in una creatura cieca e rapace. Affamata, insaziabile e spregiudicata vi trascina in un gelido labirinto di tormenti e fatiche. Tra un delirio di un onnipotenza e l’altro, concedetevi almeno il tempo per un buon libro.

 

Macbeth, William Shakespeare.

“[…] E nondimeno , temo la tua natura: è troppo piena del latte dell’umana dolcezza, per tener la via più breve. Vorresti esser grande; non ti manca l’ambizione, ma ti manca il malvolere che dovrebbe accompagnarlesi: quel che tu ardentemente desideri, vorresti ottenerlo santamente.”

Vorace e distruttiva, l’ambizione vi si può parare di fronte con la stessa cupa arroganza e lo stesso carico di angoscianti promesse di una nube temporalesca all’orizzonte. Per il nobile e valoroso Macbeth, la bramosia di potere ha il suono della lingua cruda e sibilante dell’amata moglie Lady Macbeth. Coriacea e demoniaca, erode l’animo del marito come l’acqua scava le fondamenta di una casa. Accartocciato sotto il peso degli aguzzi e sanguinosi incitamenti della moglie, Macbeth commetterà i crimini più atroci in nome di un’ ambizione cieca e feroce, che, come unico limite, ha la distruzione di sé. Mescolate le vostre aspirazioni con quelle di Macbeth; lasciate che i vostri sensi percepiscano il tragico peso della corona di Scozia. Forse vi scoprirete dimora di quelle stesse deliranti ambizioni che imbrigliano i personaggi.

 

 

Le anime morte, Nikolaj Vasil’evič Gogol’.

“[…] Più giusto definirlo un padrone nato, un accumulatore. L’ansia di accumulare è responsabile di tutto; per colpa sua sono state commesse le azioni che il mondo definisce ‘non molto pulite’. Ѐ vero, in un carattere come questo c’è qualcosa di fastidioso, e lo stesso lettore che nel corso della sua vita apprezzerà l’amicizia e la familiarità di un uomo così, […] comincerà a guardarlo male incontrandolo come eroe di un dramma o di un poema”.

Se le cupe atmosfere del Macbeth non sono riuscite a redimervi, non vi resta che affidarvi allo stile disarmonico ed eccentrico di Nikolaj Vasil’evič Gogol’Pubblicato per la prima volta nel 1842, questo «poema metafisico che esplora nella notte della materia» narra le vicende di  Pavel Ivanovič Čičikov, mellifluo arrivista senza scrupoli, che ha come obiettivo  quello di acquistare a poco prezzo il maggior numero di ‘anime morte‘, ovvero i nomi dei contadini morti o fuggiti che, per un vizio di sistema, si trovano ancora a carico dei proprietari. Entrando in possesso di un cospicuo numero di morti, potrà, infatti, richiedere l’assegnazione di nuove terre, come previsto dalla legislazione zarista. Tirando il protagonista per la coda del suo fortunato ‘frac color mirtillo rosso picchiettato’, compirete la vostra discesa agli inferi della mediocrità e del grottesco, sullo sfondo monotono della provincia russa. Il rischio è quello di scoprirsi a ridere di se stessi.

 

 

Il Maestro e Margherita, Michail Afanas’evič Bulgakov.

” – Lei è scrittore? – chiese con interesse il poeta. L’ospite s’incupì e minaccio Ivan col pugno, poi disse: – Io sono un Maestro – . Si fece severo e trasse dalla tasca un berretto nero, lucido dall’uso, con una ‘M’ ricamata in seta gialla. Si mise il berretto in testa e si mostrò a Ivan di fronte e di profilo per comprovare di essere un maestro. – Me l’ha cucito con le sue stesse mani, – aggiunse con fare misterioso.”

Quando Ambizione e Passione si intrecciano fino a trarre nutrimento l’una dall’altra, il rischio è quello di perdere il proprio nome e di ritrovarsi appiccicati addosso l’impegnativo epiteto di ‘Maestro‘. Ed è questo il supplizio che la devota e infelice Margherita infligge al Maestro nel momento stesso in cui infila il filo di seta gialla nel berretto nero destinato all’amato. Il loro amore si attorciglia rovinosamente attorno alla fortuna letteraria del Maestro, in un’ atmosfera sospesa fra reale e visionario, fra bene e male, fra amore e morte. Assorbiti dalle psichedeliche e confusionarie vicende dei personaggi, maestosamente affrescati da Bulgakov, finirete di certo col dimenticarvi quell’importante riunione fissata per le cinque del pomeriggio. Ma, in fondo,  l’essenziale è che si dica di voi un giorno: «non ha meritato la luce, ha meritato la pace».

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