23 Novembre 2024

AVVERTENZA: questo articolo è stato scritto a quattro mani da me e da Claudio Fedele, anzi direi che il suo apporto è stato determinate per la buona riuscita di un articolo che se avessi scritto da solo sarebbe risultato piatto e assai poco interessante. Quindi, se la recensione vi piace, fate i complimenti a lui.

Revival

  Quasi un mese fa (il 17 marzo) è arrivato nelle librerie italiane, dopo qualche mese dal rilascio negli U.S.A., l’ultima opera  di Stephen King. Alla bellezza di 67 anni, lo scrittore del Main è ancora in grado di fermare sulla carta la sua più che  fervida immaginazione. Anzi, sembra addirittura ringiovanito: negli ultimi due anni ha scritto quattro romanzi (Joyland,  Doctor Sleep, Mr Mercedes e, appunto, Revival), due e-book (Nell’erba alta, Guns) e due racconti che in Italia non sono  stati pubblicati (Summer Thunder del 201 e That Bus is Another World del 2014). A tutto ciò va aggiunto un altro  romanzo ed un’antologia di racconti inediti, la cui uscita è prevista per quest’anno. Ritengo di essere nel giusto se affermo  che nemmeno da ragazzo la sua produzione aveva raggiunto una tale quantità in così breve tempo.
Tuttavia bisogna riconoscere che il suo stile è decisamente mutato negli ultimi anni o, come dicono alcuni, che il suo stile  è “invecchiato”. Il che è vero, ma non significa che sia diventato un romanziere per pacate signore ultraottantenni,  tutt’altro!  Se nelle opere della giovinezza e della maturità aveva espresso rabbia, vivacità e vitalità, adesso utilizza la sua vastissima conoscenza del linguaggio per manipolare il lettore e fargli provare esattamente quello che desidera, panico, paura, dolore, commozione, e ciò è possibile solo grazie ad una una proprietà lessicale davvero  invidiabile e ad una profonda conoscenza dei meccanismi della scrittura. Si è soliti definire King “il Re dell’horror”, ma questa definizione gli sta molto stretta, innanzitutto perché il settore horror occupa solo un certo spazio all’interno della sua produzione e poi perché non rende affatto giustizia ad uno dei più illustri scrittori del nostro tempo.
Tutto inizia in modo semplice e diretto: “In un certo senso la nostra vita è veramente un Film”, così scrive Jamie Morton in quello che si presenta a gli occhi del lettore come una lunga lettera composta da un discreto numero di capitoli che riassumono la vita di quest’uomo, che King ci presenta fin dall’età di sei anni fino alla vecchiaia. L’ombra del Reverendo Charles Jacobs, che in un mattino del 1962 si staglierà sul piccolo Jamie, intento a giocare nel cortile di casa con i soldati regalatigli dalla sorella maggiore Claire, sarà l’inizio di un legame profondo, ove l’uno si identificherà come destino dell’altro, creando un’unione capace di andare oltre le barriere del tempo, perché Charles ed il piccolo Morton saranno costretti, per via del fato per le cause accidentali più disperate, a incontrarsi spesso, in varie fasi della loro vita affrontando sempre i propri demoni personali, siano essi spirituali o fisici, arrivando ad aiutarsi e odiarsi a vicenda fino a giungere ad una tragica conclusione che vedrà, però, i due sempre protagonisti. Il cuore di Revival, capace di pulsare ad un ritmo lento, ma sostenuto e costante al contempo sta tutta via nel voler mettere in scena due personalità, due uomini, un maestro ed un allievo, un perverso Prometeo ed un ingenuo Ulisse, ove l’autore cinicamente non si risparmia a spingere i due protagonisti in una centrifuga capace di culminare in una climax puramente Lovecraftiana visivamente appagante e capace di smuovere le fondamenta della fede cristiana, perché in fondo il tutto si riduce in un’eccesso di tracotanza da parte di C. Jacobs, accecato ormai dall’ira per aver perso la moglie ed il figlio in un insensato incidente stradale, verso un Dio crudele che spartisce dolore e morte ingiustamente. Alla dedizione per la religione il pastore metodista sostituirà quella per l’elettricità, una fonte di potere affascinante ed illimitata, che si mostra ai nostri occhi non nella sua forma più pura, pericolosa e distruttiva; l’obbiettivo sarà infatti quello di possedere una sorta di elettricità segreta, antica ed oscura, la quale verrà utilizzata da il Rev. per curare, nei vari tour itineranti, i malati, apparentemente, a loro insaputa, per scopi si scoprirà presto meno nobili, per arrivare a scorgere la realtà che si trova oltre la morte, per trovare le risposte e le certezze che non esiste un Dio, ma un mondo fatto di dolore e orrore ove con “il passare di strane ere ere anche la morte può morire”.
Solitamente è difficile classificare sotto un unico genere le opere di King, e Revival non fa eccezione: è un’opera di ampio respiro, in cui si intrecciano abilmente le strutture del romanzo di formazione, della biografia (mascherata, ma non troppo), del romanzo di fantascienza e del romanzo dell’orrore. Per quanto concerne gli elementi biografici non ci sono molte analogie tra la vita di Jamie e quella di King, ma ci sono degli elementi che li accomunano da vicino, come il problema con la droga o la passione per la musica e la chitarra ritmica. Così come è possibile individuare delle somiglianze tra il reverendo Jacobs e lo stesso Stephen King: entrambi sono “venditori di fumo” perché il reverendo inganna i propri fedeli con tanti bei discorsi sulla religione e il Regno dei Cieli, inganna i clienti che alle fiere decidono di farsi fare un Ritratto coi Lampi, inganna le persone abbastanza sprovvedute o disperate da accettare di farsi guarire con i suoi anelli magici, allo stesso modo King ci imbroglia vendendoci storie che non esistono, facendoci parteggiare, soffrire e sperare per personaggi che mai sono esistiti e mai esisteranno. Un po’ come la Tempesta di Shakespeare, dove il Bardo si paragona ad un vecchio incantatore a cui sono rimasti solo dei trucchi.
È interessante studiare questa dicotomia Jacobs/Jamie, perché su di essa si fonda l’intero romanzo: la si può intendere come un rapporto maestro-allievo, ma anche corruttore-corrotto (Mefistofele e Faust), ma anche creatore e creatura. Forse è bene riflettere un momento su quest’ultimo binomio. Pensando alla narrativa dell’orrore, il paragone che si può fare è solo uno: Frankenstein di Mary Shelley. È chiaro che Jacobs non ha assemblato Jamie con parti di cadavere, ma si può in qualche modo sostenere che gli abbia restituito la vita – guarda caso – con l’elettricità. Penso sia fuor di dubbio che Jamie sarebbe morto se Jacobs non l’avesse “guarito” dalla dipendenza da droghe ed è da quel momento che il rapporto tra i due muta drasticamente e Jamie inizia a diventare prima diffidente dell’ex reverendo per poi giungere a disprezzarlo apertamente… senza tuttavia riuscire a recidere il proprio legame con lui: quando Jacobs lo chiama per essere aiutato nell’esperimento finale Jamie non riesce a sottrarsi e diviene addirittura una sorta di infermiere di Charles Jacobs. Probabilmente si sta scavando un po’ troppo a fondo, ma tutto ciò ricorda il finale di Frankenstein, quando la Creatura trova il corpo senza vita del barone Victor Frankenstein e dichiara che la sua vita ha perso significato dopo la morte del suo creatore, benché i due avessero trascorso gli ultimi anni a farsi guerra vicendevolmente. È il legame tra i due poli il cuore pulsante della faccenda, il resto è ambientazione. È nei dialoghi tra Jamie Morton e Charles Jacobs che avvengono le cose importanti, che scopriamo sempre di più dove diamine ci sta portando King. E, indovinate un po’, è esattamente quello che succede in Frankenstein. Questi riferimenti letterari non sono da scartare, anzi. Ciò che mi rende sicuro di questo è la dedica che lo stesso King ha scritto all’inizio del romanzo:


Questo libro è per alcuni degli scrittori che hanno costruito le fondamenta della mia casa:
Mary Shelley
Bram Stoker
H. P. Lovecraft
Clark Ashton Smith
Donald Wandrei
Fritz Leiber
August Derleth
Shirley Jackson
Robert Bloch
Peter Straub

Non c’è nulla di strano se all’interno del romanzo troviamo dei riferimenti, più o meno grandi, a tutti questi autori, no? Io personalmente ne ho individuati quattro estremamente rilevanti: Mary Shelley, appunto, H. P. Lovecraft e Robert Bloch. Del quarto parleremo dopo. Se Mary Shelley ha indicato a Stephen King la strada da seguire, Lovecraft e Bloch gli hanno mostrato dove conduce: il De Vermis Mysteriis che gioca un ruolo fondamentale nell’economia del romanzo, è un’invenzione di Robert Bloch, riutilizzata anche da Lovecraft, autore dal quale King prende anche l’idea degli Antichi, il pantheon delle divinità lovecraftiane cui Stephen fa una preziosa aggiunta (la Grande Madre). Il quarto autore che è stato di fondamentale importanza per la stesura del romanzo è così importante che l’autore si è dimenticato di aggiungerlo alla lista di cui sopra: Stephen Edwin King. Non è una battuta: in questo romanzo King ha preso a piene mani dal proprio lavoro così come ha fatto con il lavoro degli altri scrittori. Autocitazioni a non finire, senz’altro, ma con questo romanzo è andato a ricollegarsi ad uno dei primi racconti “importanti” che ha pubblicato, Jerusalem’s Lot, scritto sul finire degli anni ’60. Questo racconto è un eccellente esercizio di stile, dove King si diverte a far finta di essere Lovecraft e va ad utilizzare proprio il De Vermis Mysteriis. Non è un caso che dopo quasi quarant’anni abbia deciso di rispolverarlo. E tutto questo non fa altro che rafforzare la potenza narrativa di Revival.
Con questo romanzo Stephen King centra quasi del tutto il bersaglio, riprendendo la formula utilizzata, così come i toni, per Joyland, ma laddove questo si rivelava un giallo vero e proprio, impacchettato da amarcord, capace di trascinare il lettore in un finale telefonato, ma azzeccato, in questa sede il Re si lascia prendere un po’ troppo dalla fretta e le ultime cento pagine, seppur cariche di pathos e ricche di una certa carica emotiva, non si rivelano non solo all’altezza, ma nemmeno lontanamente in armonia con il resto del romanzo, quasi che Stephen King stesso avesse ammesso, in una chiacchierata privata tra sé e sé, che doveva pur offrire qualcosa per soddisfare i lettori più superficiali e meno esigenti, non considerando che tale scelta non ha beneficiato poi molto agli ultimi capitoli del romanzo. Sembra quasi che arrivato a pagina 400 stesse per esaurire il tempo per la consegna e abbia condensato tutto il resto degli eventi in sessantasette pagine e si arriva così un finale che punta tutto sul fattore horror, elemento che era stato gestito magistralmente in tutto il resto del romanzo, caratterizzato da una sfumatura che lasciava a volte intuirne la natura senza mai però rivelarsi tale, condita da un alone psicologico ed onirico sempre ancorato alla psiche dei personaggi ed alle loro azioni, mentre è proprio nella sua conclusione che questi, l’elemento sovrannaturale, appare forzato e artificioso, non richiesto e troppo lontano da quelli che erano i toni della storia raccontata da Jamie Morton. In molti punti il libro raggiunge vette che raramente lo stesso Stephen King ha toccato, per tematiche, bellezza del linguaggio e maestria tali da rendere alcuni momenti assolutamente magnificenti, ed un finalino sbrigativo un po’ di amaro in bocca lo lascia. Eccome. Però non inficia il giudizio finale sul libro, che resta un prodotto di altissima qualità ed è indubbiamente uno dei libri migliori che abbia letto negli ultimi anni, capace di toccare corde talmente profonde e recondite che quando vibrano ci lasciano a dir poco senza fiato.
La cosa che colpisce di più di Revival è proprio la sua insolita poeticità, il suo lirismo che costituisce un unicum nella produzione di King (assieme a Joyland) e riesce con semplicità a scavare nel nostro animo. Se questo è il “nuovo stile” del Re, non possiamo che aspettarci grandi cose dalle sue prossime opere, sperando che riesca sempre ad sorprenderci con la sua inventiva, la sua bravura di scrittore e che rimanga sempre fedele al suo principio basilare: lo scrittore deve avere sempre il massimo rispetto per il Fedele Lettore.
Se consigliamo questo libro? Dipende. Forse non è adatto ad un neofita alle prime armi con la vasta produzione di quest’autore, ma di sicuro è perfetto per chi conosce già King e di sicuro ne rimarrà soddisfatto, facendogli prendere coscienza che ancor oggi le belle storie, oltre ad essere le più crudeli e malinconiche, sono ancora possibili da raccontare e Stephen King, questo, lo sa bene.

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Luca Fialdini

Luca Fialdini, classe '93: studente di Giurisprudenza all'Università di Pisa e di pianoforte e composizione alla SCM di Massa e sì, se ve lo state chiedendo, sono una di quelle noiose persone che prende il the alle cinque del pomeriggio. Per "Uni Info News" mi occupo principalmente di critica musicale.

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