La nostra democrazia non funziona più. E’ un dato di fatto.
Da 10 anni non abbiamo un governo espressione della volontà popolare.
Da 25 anni abbiamo un parlamento fatto da nominati, perché sono state abolite le preferenze e introdotte le liste bloccate.
Un parlamento composto da persone che non abbiamo scelto, e dei governi totalmente scollati dal voto popolare.
La campagna elettorale del 2013, quella in cui Bersani doveva “smacchiare il giaguaro” fu l’ultima della seconda repubblica: Berlusconi vs centro-sinistra. Bersani prova a fare il governo con il M5S ma viene respinto e dileggiato in diretta streaming da quelli che al tempo, senza distinzione di persona, erano semplicemente tutti grillini.
Succede l’incredibile, un trauma, un colpo al cuore per chi per anni ha combattuto e odiato Berlusconi o “i comunisti”: la grande coalizione. Due schieramenti che si erano proposti come totalmente alternativi agli elettori, non solo come programmi ma proprio come concezione della realtà, della società, finiscono per fare un governo insieme. D’altra parte, ce lo chiede l’Europa. Decisamente più importante della democrazia.
Passano i mesi e sale alla ribalta Matteo Renzi, che riesce a diventare presidente del consiglio senza aver mai preso un voto in un’elezione nazionale.
Ottobre 2017. Dopo mesi di confronti e trattative nasce il Rosatellum, la nuova legge elettorale. In quel periodo, l’opposizione trovava il consenso popolare quando urlava “pensiamo ai problemi seri dei cittadini, non a queste faccende interne alla politica che non interessano nessuno”. Ed era vero, la legge elettorale non è mai interessata a nessuno. Troppo complicata, troppo inutile. Perché devo mettermi a studiare un qualcosa che riguarda uno strumento, la scelta democratica, su cui non ho più la minima fiducia?
La democrazia non funziona, la gente è sfiduciata dalla democrazia e fa sì che funzioni ancora peggio. Una triste reazione a catena che sembra ormai un piano inclinato inesorabilmente verso la fine della democrazia rappresentativa.
In questo senso, la vittoria del sì al referendum sarebbe il calcio finale, non tanto per gli effetti concreti, quanto per la certificazione popolare della sfiducia democratica: non prendiamoci in giro, la stragrande maggioranza di chi voterà sì non lo farà perché convinto di migliorare il parlamento o di risparmiare (un caffè, massimo 2), ma perché contro questo sistema, contro questa democrazia. E non importano le conseguenze, importa solo rivalersi su chi ha rubato e ci ha preso in giro. Ma non è così. E’ una pia illusione.
Con il sì, avranno solo, ancora, più potere i capipartito. Perché sono loro a decidere chi mettere nelle liste elettorali, e se ci sono meno posti, hanno ancora più potere. Per finire in lista bisogna essere ben voluti dal capo, meno posti ci sono, più la competizione a chi si svende meglio si fa aspra.
“Ma solo noi abbiamo tutti questi parlamentari”.
Quasi vero, il regno Unito ne ha più di noi. Ad ogni modo il confronto ha poco senso, dato che siamo gli unici ad avere il bicameralismo perfetto.
Ma dopo il taglio, che succede?
Voglio fare un esempio concreto: la provincia di Livorno ha potuto scegliere 3 deputati e un senatore,
alle scorse elezioni. I deputati sono uno del PD, uno del M5S e uno della Lega. La rappresentanza minima delle principali forze politiche. Quanti saranno alle prossime? Quanti parlamentari potrà permettersi il nostro territorio? Forse nessuno.
La legge elettorale è fondamentale, va rifatta, devono tornare le preferenze e deve essere una legge giusta, fatta bene, non una legge fatta ad hoc per il vantaggio di qualche partito, come è stato dal 1992 ad oggi.
Però, nel frattempo, tagliare i parlamentari non serve a nulla.
Solo ad avere un parlamento fatto di lecchini.
Un sì al referendum è un sì alla Casta.