Il cinema usato come tramite per raccontare le battaglie, le guerre ed i vari conflitti non è noto al grande pubblico né tanto meno alle case di produzione, registi ed attori; di fatto, negli anni, molti cineasti si sono cimentati nel raccontare avvenimenti, tragedie dell’ultimo secolo ambientate durante la prima o la seconda guerra mondiale, per non parlare di quella parabola bellica che fu il Vietnam. Quando, nel 2009, Kathryn Bigelow portò sul grande schermo quello che sarebbe stato il miglior film per l’Academy Awards dell’annata, The Hurt Locker, ad ognuno di noi fu mostrato un nuovo modo di interpretare la cruda realtà dei fatti, una riflessione profonda ed allo stesso tempo non esplicitamente indirizzata allo scandalo: la guerra come sinonimo di pericolo a sua volta come sinonimo di vita, quasi come una droga di cui è impossibile farne a meno per coloro che vi partecipano. Giusto o sbagliato che fosse il concetto, il film riscosse un discreto successo tra i ranghi della critica e altrettanti omaggi furono fatti alla regista.
Nel 2013 la Bigelow riporta lo spettatore tra le dune di quella parte del mondo che da più di dieci anni fa parlare di se, in quelle zone di cui si leggono notizie drammatiche nei telegiornali e talvolta che nemmeno si vogliono (più) sentire. Tuttavia in Zero Dark Thirty non è tanto il conflitto a farla da padrone, quanto la vicenda di una caccia all’uomo durata quasi 10 anni e con protagonista una donna determinata a scovare uno degli uomini più pericolosi del pianeta: Osama Bin Laden.
La storia prende il via proprio con le registrazioni, ricreate per l’occasione, fatte da coloro che erano a lavoro nelle torri gemelle a New York. Con le prime immagini, ma sarebbe meglio dire “suoni”, siamo subito immersi nell’orrore e nel dramma di quell’episodio che vide gli Stati Uniti piegarsi ad un nemico quasi invisibile ed inaspettato. Saltato l’incipit siamo catapultati in una base militare segreta in medio oriente e messi di fronte ad una “inesperta” agente segreto della CIA di nome Maya (Jessica Chastain) che prende parte alla tortura di un prigioniero da parte dell’esercito americano. Da qui si apre una lunga caccia, quasi ossessiva a colui che rappresenta o per precisare, ha rappresentato, l’icona del terrorismo organizzato dell’ultimo decennio.
Partiamo dal presupposto che il cinema della Bigelow è un tipo di cinema che non accetta alcuna specie di buonismo e non si lascia intimidire da nessun fatto o azione violenta. La forza e la passione della regista si vede e si avverte fin da subito, dalla prima sequenza di tortura, dove non viene risparmiato niente e la violenza a cui ogni spettatore viene messo di fronte è tanto esplicita quanto documentaristica. Non è un caso che l’approccio che si è voluto dare all’opera è stato quello di realizzare un prodotto unito, coerente con sfumature che ricordano molto i documentari, questo proprio in virtù dell’arco narrativo preso in considerazione (quasi 10 anni) e che sarebbe stato incredibilmente difficile da controllare e gestire se realizzato in modo diverso. Così la struttura, complice anche un ottimo montaggio e sceneggiatura, riesce a c’entrare il bersaglio in pieno ed i tanti momenti lenti nel film sono intervallati da sequenze di azione/drammaticità che richiamano l’attenzione dello spettatore ed allo stesso tempo lo mettono di fronte all’orrore e alla paura che si è provata in quei momenti ed in quei luoghi. Si riprendono così le tappe post 11 Settembre, come ad esempio l’attentato fatto a Londra, ma non ci si dimentica mai di quella che è il vero cuore pulsante di tutta la pellicola: Jessica Chastain.
In primo piano viene sempre messa, infatti, la figura di Maya, una donna risoluta e determinata che è costretta a vivere in un mondo popolato da uomini in uniforme con fucili in mano e dal quale non può scappare o ritirarsi. In lei si accende infatti il desiderio ed in fine l’ossessione di trovare uno dei più ricercati terroristi degli ultimi anni e la Bigelow non fa sconti nel mostrare la sua tenacia ed allo stesso tempo la sua solitudine, perché Maya è prima di tutto una donna sola, una persona che vive la sua esistenza lottando contro chi le sta attorno (metaforicamente) e cercando sempre di mostrare il suo straordinario carattere. Proprio come la sequenza iniziale, anche in quella finale (bellissima e toccante) siamo messi di fronte ad una donna che pare essersi persa in un universo sconosciuto, ma sempre con un obbiettivo ben chiaro da raggiungere; la lacrime che infine scorrono sul suo volto sono così simbolo di quella liberazione attesa per più di un decennio, quasi che la missione non riguardasse più il paese e l’America, ma lei stessa. Calarsi in un personaggio, apparentemente semplice, ma in realtà incredibilmente complesso, non è di sicuro stato facile per la Chastain, tuttavia l’attrice riesce egregiamente a superare la prova e vale dunque sottolineare la sua performance, incredibilmente convincente e toccante.
In tutto questo, ci si dimentica per caso degli uomini e della loro presenza? Assolutamente no, tanto che molte sono le scene, i dialoghi ed i confronti tra la protagonista e i suoi colleghi, alcuni ben caratterizzati ed approfonditi quel tanto che basta e la Bigelow mostra la naturale determinazione maschile (ma sempre di un gradino inferiore a quella femminile) così come gli episodi in cui si sdrammatizza e si alleggerisce la vicenda, ritraendo un gruppo di soldati a giocare e scherzare prima di una missione di estrema importanza.
Tecnicamente il film è perfetto e realizzato con estrema cura, il sonoro e la fotografia sono di alto livello come, già accennato prima, il reparto registico e del montaggio. Alcuni spettatori potrebbero storcere il naso riguardo alla struttura della pellicola, che oltre ad essere il suo punto di forza è anche il suo tallone d’Achille.
Zero Dark Thirty è uno dei migliori film dell’anno, ricco di tanti aspetti che rendono unico questo prodotto e allo stesso tempo atipico. Non è tanto la sua lunghezza che potrebbe infastidire i meno interessati alle vicende narrate, quanto la sua struttura quasi documentaristica, con ricche pause e momenti lenti. Tutto questo però non deve assolutamente svalutare una pellicola realizzata con passione, cura e interesse da una regista che vive, probabilmente, la sua esperienza nel mondo di Hollywood come la protagonista di questa storia, un mondo in cui non è semplice farsi valere, in cui bisogna avere carattere e determinazione, nonché una buona dose di coraggio per portare alla luce prodotti come questi. Così la più famosa caccia all’uomo degli ultimi anni vede messa al centro di tutto una giovane agente della CIA ed attorno ad essa un mondo estremamente pericoloso e instabile. Al di là di quanto possa essere vero o sbagliato il lungometraggio vale il tempo speso, sebbene non sia per i meno pazienti ed i più portati ai film particolarmente ricchi di azione, questo perché si è cercato in ben 160 minuti di focalizzare l’attenzione sull’uomo, in questo caso su una donna e quel che è uscito fuori dopo l’undici settembre, non risparmiando nulla né in bene né in male.
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