Recensione di The Witch
Le vicende di una famiglia come tante nel New England del XVIII secolo, la quale, allontanata da una piccola comunità religiosa, si trova coinvolta a dover fare i conti con un’oscura presenza che alberga nella foresta limitrofa alla fattoria di quest’ultima non è che il trampolino di lancio di una storia che condensa in novanta minuti scarsi una tensione capace di sprigionarsi in tutta la sua brutale bellezza nei momenti finali.
The Witch, infatti, complice un cast ben affiatato su cui primeggia la giovane Anya Taylor-Joy, fa parte di quella corrente di pensiero ove la paura non è intesa come sinonimo di effetto scenico fine a se stesso creato per far saltare il pubblico dalla poltrona o farlo urlare di terrore, egli appartiene a quel mondo affascinante e complesso della settima arte che porta nel cuore dello spettatore uno stato d’animo capace di creare in questi angoscia e inquietudine.
Poche parole, molti silenzi e inquadrature studiate a puntino, efficaci e adeguatamente disturbanti, un finale simbolico potente e devastante, incentrato sulla nascita delle streghe ed il fascino del male, privo di retorica morale o crudo cinismo, che ritrae il miglior sabba mai realizzato al cinema negli ultimi anni e che ha ricordato, con gioia, quel famoso dipinto di Falero.