Recensione di In the Name of the Father
“In the name of justice /In the name of fun /In the name of the Father /In the name of the Son”. Quelli che avete appena letto sono i versi cantati da Bono e Gavin Friday con i quali inizia il terzo film di Jim Sheridan, venuto alla luce dopo l’acclamato Il mio Piede Sinistro e Il Campo (entrambi diretti e sceneggiati da quest’ultimo). Nato a Dublino nel 1949 il regista ha realizzato ben cinque film ambientati nella sua terra natale: l’Irlanda. Con Il Nome del Padre, girato nel 1993, Sheridan collabora per la seconda volta con Daniel Day-Lewis, già vincitore dell’Oscar come Miglior Attore Protagonista in My Left Foot. A fare da spalla a Lewis, nelle vesti di Gerry Conlon, troviamo Pete Postlethwaite e Emma Thompson. Il film riuscì a strappare quell’anno ben 7 nominations all’Academy Awards, senza vincerne alcuna e 4 ai Golden Globes portando a casa il medesimo risultato. Premi a parte ci sentiamo in dovere di recensire questo lungometraggio, analizzarlo nel dettaglio ed elogiarlo o criticarlo, qualora sia necessario. Se anche voi siete curiosi di sapere cosa Uninfonews.it pensa di In the Name of the Father non vi resta che rimanere incollati allo schermo del vostro computer e continuare la lettura dell’articolo!
Nel Nome del Padre racconta la vera storia di Gerry Conlon (Daniel Day-Lewis), un ladruncolo che vive nella tormentata Belfast degli anni ’70. Benché innocente, Gerry è costretto a confessare un terribile attentato terroristico dell’I.R.A., finendo così condannato all’ergastolo come uno dei “Quattro di Guildford”. Il padre Giuseppe, attaccato al figlio primogenito, deciderà di seguirlo, finendo anch’egli in prigione. Con l’aiuto di una combattiva avvocatessa (Emma Thompson), Gerry lotterà strenuamente per dimostrare la propria innocenza, riabilitare il nome di suo padre e far emergere la verità nascosta dietro uno dei più vergognosi scandali giudiziari della storia inglese ed internazionale.
Sheridan è riuscito a portare alla luce, per la terza volta di fila, un film tanto ambizioso quanto efficace; il regista, basandosi su un romanzo autobiografico scritto dallo stesso Conlon (il cui titolo è Proved Innocent), riesce non solo a muovere una forte critica verso le istituzioni inglesi, ma a concentrare parte dell’attenzione dello spettatore sul rapporto tra padre e figlio. Se infatti, nella prima ora della pellicola, vengono sempre più a galla tutta una serie di aspetti che condannano la giustizia britannica ed i loro metodi barbari, è principalmente nella seconda metà del film che si accentuano sempre di più i contrasti, i punti di vista e le idee politiche di Gerry e Giuseppe entrambi vittime innocenti. In the name of father non è solo un mezzo attraverso il quale riprendere in mano una causa come quella irlandese e mostrare al pubblico ciò che accadeva nell’Irlanda del nord negli anni 70, ma è, principalmente, un modo onesto di raccontare la vita e la stretta convivenza tra due personalità diverse. Un grande lavoro è stato fatto nella sceneggiatura, capace di mandare un forte messaggio politico/morale ed allo stesso tempo intrattenere senza mai annoiare, tant’è vero che il film si guarda tutto di un fiato e non ci sono mai cali di tensione. La regia è solida ed il lungometraggio è tecnicamente valido.
La pellicola inoltre può vantare un campionario di musiche davvero invidiabile; vi è possibile sentire, nelle durata complessiva di due ore e dieci, brani realizzati appositamente per l’occasione come “In the Name of Father” cantata da Bono Vox (cantante degli U2) e Gavin Friday o “You Made Me the Thief of Your Heart” scritta da Sinéad O’Connor, accompagnati da canzoni leggendari come Like A Rolling Stone di Dylan o Voodo Child di Hendrix. Molti sono stati, ad ogni modo, i cantautori irlandesi che hanno preso parte alla produzione arricchendone la qualità. La colonna sonora, quella più tradizionale, rimane leggermente sottotono di fronte a quanto citato in precedenza, ma è comunque buona. La vera punta di diamante rimane tuttavia il cast, sempre in perfetta sintonia con i personaggi e la storia. Daniel Day-Lewis ci regala una delle sue più belle interpretazioni, ma è tutt’ora difficile trovare un film dove quest’attore non dia il massimo; Pete Postlethwaite è altrettanto eccezionale nelle vesti di Giuseppe Conlon e riesce sempre a mettere a nudo sul suo volto quell’angoscia, preoccupazione, rabbia e amore che un padre può provare nei confronti del proprio figlio senza apparire mai sopra le righe. Infine lodiamo anche la performance di Emma Thompson (per lei il 1993 è stata la miglior annata dal punto di vista recitativo visto che fu impegnata anche in altri lavori come Quel Che resta del Giorno) che riesce a catturare l’attenzione degli spettatori e la scena nei pochi minuti a lei dati nel finale. Non vi sono dubbi che gli attori e le attrici scelti per questo lungometraggio abbiano dato una grande prova di bravura e talento, in un film che poteva venir meno proprio sotto quest’aspetto e deludere non poco.
Non c’è un velo di incertezza nel dire che Nel Nome del Padre sia un bellissimo film, retto da una sceneggiatura ed una regia di spessore e solida, che non scade mai nel banale e priva di alcun calo tecnico. Un’opera realizzata non solo per mettere in luce gli errori e gli scandali di un governo che si faceva garante di giustizia e sicurezza, ma soprattuto per parlare del rapporto tra due uomini legati l’un l’altro, tanto vicini quanto distanti per idee e psicologia. Sullo sfondo un’Irlanda/Inghilterra sconquassata dagli attentati terroristici, dalle bombe e dalla repressa voglia di libertà, Sheridan realizza un qualcosa che può essere visto su più livelli, non risparmiandosi nel denunciare i metodi del governo inglese, ma puntando sempre l’attenzione sui personaggi, filmando un’opera onesta, coraggiosa e con una forte morale. La pellicola vanta, inoltre, una colonna sonora eccellente, con brani realizzati da artisti made in ireland ed un cast più che eccezionale, capace di dar vita a performances convincenti e da antologia. Jim Sheridan mette ancora una volta sullo schermo l’amore e la sofferenza che prova verso la sua terra natale, quella verde Irlanda condannata dagli inglesi e piena di lotte intestine.Il film, qualora non l’aveste capito, è consigliato e promosso a pieni voti.
Claudio Fedele
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