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Recensione di Snowpiercer

Recensione di Snowpiercer 

“Un film fantascientifico ancorato prepotentemente al nostro presente, profetico e drammatico, capace di scavare nell’odierna situazione socio-politica dell’uomo”

Trama

2031. Dopo il fallimento di un esperimento per contrastare il riscaldamento globale, una vera e propria Era Glaciale stermina tutti gli abitanti del pianeta. Gli unici sopravvissuti sono i viaggiatori che hanno lottato con tutte le loro forze per procurarsi un biglietto ed aggiudicarsi un posto a bordo dello Snowpiercer, un treno ad alta velocità che fa il giro del mondo e che trae energia da un motore in moto perpetuo. Questo treno è l’unico mezzo che garantisce la sopravvivenza, diventando un microcosmo di società umana diviso in classi sociali: i più poveri stipati nelle ultime carrozze; i più ricchi nei lussuosi vagoni anteriori. La difficile convivenza ed i delicati equilibri tra classi non potranno che sfociare inevitabilmente in accese lotte sociali e una violenta rivoluzione.

Recensione 

Si è sentito molto parla di Snowpiercer ancor prima che uscisse nelle sale di un po’ tutto il mondo, poiché, di fatto, è tutt’oggi il film coreano che “solo” per la sua produzione segna un record per essere stato il lungometraggio più costoso mai realizzato da una casa di produzione cinematografica coreana: quasi quaranta milioni di dollari. E’ poi il primo film del regista nato nella città di Deagu, Bong Joon-Ho, ad essere interpretato (quasi) esclusivamente da attori americani o quanto meno occidentali, esclusione fatta per Go Ah-sung e Song Kang-Ho, un uomo che di certo non ha bisogno di presentazioni dato che il pubblico europeo ed americano lo conosce grazie a delle vere e proprie chicche che il cinema orientale negli ultimi tempi ha saputo sfornare: Mr. Vendetta, Il Buono Il Matto e Il Cattivo, Memories of Murder

Eppure, l’alone di mistero che circondava Snowpiercer, la sua genesi e la sua distribuzione hanno fatto si di renderlo uno dei titoli, se non il titolo più accattivante e atteso della nuova stagione cinematografica. Dopo il debutto di Chan-Wook, che qui troviamo nelle vesti di produttore, con il bellissimo Stoker, che i finanziatori, al tempo della realizzazione, hanno ben visto di modificare o quanto meno renderlo il più “ordinario” possibile portandolo, di conseguenza, ad essere un ottimo film ma su cui forse, dato il talento di chi stava dietro la macchina da presa, era possibile di certo fare di più, arriva il turno di Joon-Ho che con questa mega produzione (che coinvolge anche USA e Francia) cerca di mettersi in mostra in quello che è il paradiso (ma alcuni lo vedono più come un vero e proprio Inferno, Cronenberg docet) della settima arte: Hollywood.

Al di là di quanto il cinema anglo-americano, grazie ai maestri quali Scott o i fratelli Wachowski, Duncan, Wells e Kubrick, influenzi l’opera del regista Sud Coreano, che qui rielabora un noto fumetto francese chiamato Le Transperceneige e lo riadatta per il grande schermo curandone la sceneggiatura, Snowpiercer è prima di tutto un prodotto a stampo fantascientifico che mescola tutta una serie di tematiche, sequenze e personaggi sempre in ballo tra l’universo orientale e quelle che sono tutt’ora le fondamenta del mondo occidentale per come lo conosciamo noi. L’ultima fatica di Bong è  principalmente una perfetta simbiosi di due culture che nell’unico universo presente nella pellicola, quello del treno (che rappresenta il tutto, dopo la glaciazione), metafora concreta della situazione politica di oggi, si scontrano e convivono assieme permettendo così allo spettatore di essere partecipe di una storia per certi versi già vista, ma dal forte impatto sia visivo che narrativo.

La grandezza di Snowpiercer inoltre sta sopratutto nel voler essere un blockbuster capace di mettere in scena una storia potente e carica di una metafora così contemporanea che non potrà non essere intesa come lo specchio di tante situazioni socio-politiche che attanagliano il mondo odierno. Il microcosmo del treno, così come lo intendono i numerosi protagonisti che prendono parte alla pellicola, rappresenta il tutto post-apocalittico, l’inizio e la fine di un mondo che vede nei vagoni proposta una scala sociale rigida e senza compromessi amministrata da regole che obbligatoriamente tutti devono seguire al fine di mantenere un certo equilibrio. Chi sta in fondo, in coda dunque, vive in un certo qual modo, mangia in un certo modo e muore persino in un determinato modo, mentre coloro che passano la propria esistenza nei primi vagoni appartengono a quella classe di privilegiati che gode di numerosi agi e rappresentano la netta minoranza dei passeggeri. (E qui potremmo prendere in causa gli echi di Battle Royal e del più commerciale Hunger Games, ma soprattutto potremmo ritrovare una divisione che tutt’oggi, persino nei mezzi che siamo soliti prendere tutti i giorni per andare a scuola o a lavoro, persiste in modo evidente).

Con questa situazione una rivoluzione è necessaria nonché inevitabile, ma Joon-Ho, che per quanto riguarda la regia è un maestro, vede bene di dare alla storia una piega inaspettata, una sfumatura tanto piccola quanto fondamentale, un dettaglio che fa capire a tutti noi quanto a volte, persino i moti rivoluzionari più animati non siano altro che tutta una messa in scena da parte di chi davvero sta a capo della società (in questo caso della locomotiva), che pur di mantenere un certo equilibrio vede bene di creare rivolte e genocidi in nome non tanto di un sadico gioco, quanto piuttosto di un estremo bisogno di far tornare numericamente uno stato perfetto ove non si corra il rischio di un’eccessivo sovrappopolamento in determinati ambienti (o vagoni) alimentando il tutto con il terrore. Ed ecco dunque che la perfetta rivoluzione, non si dimostra altro che un qualcosa organizzato, dove l’uomo, infine, prende conoscenza che nell’universo egli non è altro che un servo, un perdente, un qualcosa immerso in una realtà della quale non può avere alcun controllo, che i tanti sacrifici sono comunque vani poiché se qualcosa accade, essa accade per un determinato motivo, per una serie di circostanze che appositamente portano a tutta una serie di conseguenze, azioni figlie della mente non tanto di chi le compie ma di chi, a priori, le ha organizzate.

Prendendo in considerazione quelli che sono gli aspetti prettamente tecnici dell’opera, Snowpiercer gode inoltre di un colpo d’occhio davvero straordinario ed ottime scenografie, di una cura nel dettaglio da manuale e perfetta sotto tanti punti di vista condita da una fotografia che grazie ai tanti effetti speciali renderà unica l’esperienza di questo viaggio. Eccezionale il cast, ove a farla da padrone vi è un intenso Chris Evans accompagnato da una eccezionale Tilda Swinton, qui truccata e invecchiata, a cui è stato dato uno di quei personaggio che senza la sua bravura sarebbero di certo stati destinati ad essere quasi una parodia, una caricatura del mondo messo in luce dal regista, ma che lei, grazie anche alla giusta ironia e sarcasmo, riesce a rendere credibile e sempre al contempo simbolico. Un plauso va fatto anche a Hurt, Bell, Kang-Ho, Octavia Spencer e Harris, attori ed attrici capaci di saper dare il massimo anche in ruoli minori e che fanno da cornice ad un film che fa della politica e della allegoria sociale la sua punta di diamante.

Commento Finale 

Tante erano le aspettative verso l’ultima opera di Bong Joon-Ho, la prima realizzata in lingua inglese e destinata ad essere proiettata in tutti i cinema del mondo occidentale. Sebbene la paura, la delusione ed una certa retorica fossero in agguato una volta venuti a conoscenza di Snowpiercer e dei temi trattati, giunti ai titoli di coda si ha davvero l’impressione che la pellicola vista sia una delle più belle, interessanti, profonde ma sopratutto profetiche che occhio umano abbia visto negli ultimi anni. Disturbando i capi saldi della fantascienza, possiamo dire benissimo che la pellicola grazie alla sua imponenza narrativa e visiva può vantare un confronto con le colonne portanti del genere, complice soprattutto una perfezione portata avanti sempre in ogni inquadratura ed una storia che non annoia mai, intrattiene nel modo giusto, dimostrando quanto potenziale si nasconda in oriente, quanto il cinema “neo-orientale” domini (e possa dominare) su quello occidentale. Snowpiercer si impone così al pubblico di tutto il mondo, così come è giusto che sia, poiché sarebbe un delitto abbandonare quest’opera  a se stessa capace in due ore di condensare tutte le tematiche dei film del genere viste nell’ultimi decenni e rielaborarle in una chiave di lettura che va oltre al modello a cui appartengono ancorandosi prepotentemente al presente. Non vedere Snowpiercer sarebbe un vero torto, un’offesa grave ed una mancanza notevole. Di fronte a pellicole simili non bisognerebbe mai e poi mai voltare le spalle.

Claudio Fedele

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