Recensione di A Proposito di Davis (Inside Llewyn Davis)
New York 1961. Lewyn Davis è un cantante folk del Greenwich Village, ma non ha molto successo e per questo si vede costretto a passare il suo tempo tra uno studio e l’altro sperando di poter essere preso da case discografiche indipendenti pur di sbarcare il lunario. A complicare il tutto c’è anche Jean Berkey (Carey Mulligan) rimasta incinta dopo essere andata a letto con lui. Davis capisce di aver sempre più responsabilità sulle spalle e che non può passare il resto della sua vita a chiedere ospitalità per una notte o due ai suoi colleghi che per pietà lo assecondano, ma sopratutto comprende di dover trovare al più presto una soluzione ed un lavoro, poiché la musica sembra non ripagarlo come avrebbe mai immaginato.
Joel ed Ethan Coen regalano al pubblico uno dei loro personaggi meglio riusciti (ed usciti dalla loro mente) degli ultimi anni, un perdente scapestrato che cerca in continuazione di afferrare una delle tante opportunità che la vita gli offre ma che puntualmente viene rispedito al
Le disavventure di Oscar Isaac, bravo ed intenso nel suo primo importante ruolo, sono accompagnate sempre da un desiderio di fuga che ogni volta viene stroncato, da dei sogni che si infrangono su gli eventi della vita che scorrono davanti ai suoi occhi a cui non può opporsi. Se di fatto questi due cineasti col tempo ci hanno insegnato qualcosa dal loro cinema è che con le disgrazie talvolta non è più di tanto preferibile combatterle inutilmente quanto conviverci ed anche in tal caso, in un modo o nell’altro, la loro visione nei riguardi della vita e dell’uomo non si discosta dagli altri lungometraggi visti in precedenza.
Inside Llewin Davis rappresenta, dunque, un opera molto più intima del precedente Il Grinta, un lavoro che ricorda molto più il semi sconosciuto A Serious Man e le storie amare a cui ci hanno ormai abituato i Coen, ma al contrario di altre loro pellicole apparentemente più leggere qui il ritmo è contenuto ed i tempi scanditi con più parsimonia, come se i due fratelli avessero consapevolezza della storia che hanno creato e che possedevano tra le loro mani e avessero deciso di raccontarla come una lenta ballata folk, proprio come una di quelle che suona Davis all’inizio ed alla fine del film.
Dunque se vi state ancora chiedendo cosa pensiamo di questo lungometraggio, vi basti sapere che A Proposito di Davis per noi non è assolutamente il miglior film dei fratelli Coen, sebbene rimanga ad ogni modo un ottimo lavoro ben interpretato e diretto in modo magistrale; tuttavia ormai è bene mettere in chiaro una cosa, ovvero che il loro cinema si avvia ad essere una forma d’espressione tanto interessante quanto intima che è estremamente difficile catalogarlo o classificarlo a priori. I due filmaker hanno ormai fatto propria la settima arte e dopo tanti anni di eccellente lavoro non solo si sentono in dovere di raccontare storie che godono di una profonda intimità, ma anche di omaggiare altri classici del cinema come Colazione da Tiffany; ma Ethan e Joel hanno sempre dato un doppio significato, una doppia lettura a tutto ciò che hanno diretto e scritto e così avviene anche stavolta poiché il palese omaggio al gatto di Tiffany risulta avere anche un valore simbolico poiché il felino dal manto rosso qui alla fine raffigura l’opposto del protagonista e questo lo capiamo a cominciare dal nome affidatogli dai padroni:
Claudio Fedele