Recensione di Prisoners
Il 2013 è stato un anno di gran lunga migliore, sotto certi aspetti, del precedente dal punto di vista cinematografico. Al di là dei tanti prodotti di nicchia, il cui valore rasenta quasi sempre la perfezione ma che non riescono ad ottenere nemmeno lontanamente la meritata attenzione su larga scala, bisogna ammettere che i 365 giorni appena trascorsi hanno dato alla luce lavori interessanti che ben sono stati accolti dal pubblico. Di particolarmente interessante Prisoners ha molto a partire dal cast di cui è composto: Hugh Jackman, Jake Ghyllenaal, Viola Davis, Terrence Howard, Paul Dano e Melissa Leo; in soccorso ai tanti nomi citati vi è una storia che ha sempre colpito il pubblico ed un regista, Denis Villenueve, che non è nuovo né alla settima arte né ai film carichi di una certa emotività ed impegno (è il regista de La Donna che Canta). Eppure, in tutto questa sfarzosità di talenti e nomi di un certo calibro del settore, i dubbi sulla riuscita di Prisoners sono leciti e concreti. Se volete saperne di più, se siete curiosi di scoprire cosa ne pensiamo, siete caldamente invitati a proseguire con la lettura della presente recensione!
Rivelarvi la trama della pellicola, in questo caso, potrebbe essere uno dei torti maggiori che potremmo farvi; dato che abbiamo il massimo rispetto per i nostri lettori abbiamo deciso di accennarvi il meno possibile affinché possiate gustarvi il prodotto con la stessa “tranquillità” che ha accompagnato noi medesimi. Vi basterà sapere infatti che Prisoners è un film incentrato unicamente sulla ricerca da parte di Keller Dover (Jackman) di sua figlia, scomparsa con la sua amichetta il giorno del ringraziamento. A capo dell’indagine viene messo il detective Loki (Gyllenhaal) il quale avvierà una lunga indagine per ritrovare le bambine scomparse e cercherà di portare a galla una verità oscura che si muove tra le case della provincia Americana da tanto tempo, silenziosa e assassina, che già in passato aveva dato dimostrazione della sua crudeltà. Le due bambine, non sono, di fatto, le uniche scomparse nella zona.
Prisoners è un film da cui ci si poteva aspettare molto e al contempo si poteva rimanere concretamente delusi. Fortunatamente poche sono le critiche da muovere verso questo lungometraggio e tanti, invece, gli encomi a cominciare da una regia perfetta, costituita da inquadrature calme, dosate e attente, ma capace di saper dare al momento giusto e con i toni giusti i tanti cambiamenti di ritmo che danno all’azione una suspance inaspettata ma ben orchestrata e coerente con quanto viene messo in scena. Il film di fatto non si pone allo spettatore come un’opera priva di personalità o come un thriller che senza tante pretese vuole solo far passare due ore spensierate a chi lo guarda; se cercate questo tipo di lungometraggi siete sulla strada sbagliata, l’ultima fatica di Villenueve utilizza l’espediente delle bambine scomparse e di tutto quello che ne consegue per muovere una forte critica non solo alla America, troppo sonnacchiosa e sicura dietro alle case fatte di cartongesso, ma cerca di mettere in luce, sopratutto, i mutamenti dell’animo umano a causa di determinati fattori fino a portarli quasi all’eccesso.
Si apre così un binomio interessante, caratterizzato da due punti di vista ben precisi (soggettivo/oggettivo parabola anche del caos e dell’ordine morale/esistenziale) posti agli antipodi formato da una parte dal padre (Jackman, ancora una volta bravo, dopo Les Miserables, e capace di saper tenere un ruolo drammatico) che farà di tutto pur di riavere sua figlia fino ad arrivare a perdere quasi la salute mentale e fisica; mentre dall’altro, potremmo identificare questo aspetto come la parte razionale dell’intera vicenda, abbiamo il poliziotto interpretato da Gyllenhaal (cresciuto e sempre all’altezza dei ruoli che gli vengono affidati) che metterà tutto se stesso e le sue doti da detective pur di trovare le bambine. Si apre così un duello tra giustizia e vendetta dove alle lunghe appare sempre più chiaro che non esistono vincitori o vinti ma solo persone capaci e pazienti che confidano nelle loro capacità, al contrario di altre che prese dalla disperazione arrivano ad affidarsi persino a Dio ed in suo nome compiono atti deplorevoli.
Con una fotografia che sa il fatto suo e dietro ad una sceneggiatura curata ed indubbiamente interessante si dipana quindi un thriller che se non riesce ad essere il migliore dell’annata appena passata, può sicuramente assicurarsi un posto tra quelli più riusciti di questi ultimi anni, poiché, credete a noi sulla parola, seguire la storia qui, ben orchestrate, non sarà solo una pura forma di intrattenimento ma una base su cui fare delle interessanti riflessioni o, se così non fosse, quanto meno potrà essere manifesto o meglio ancora una forma di testimonianza, facendovi così avere coscienza di una faccia dell’America rurale talvolta nascosta o celata ai nostri occhi.
Prisoners è un ottimo film, una pellicola che grazie ad un cast stellare, sempre affiatato e mai sottotono (ci sentiamo in dovere anche di fare un plauso a Dano e Davis per le loro performances) riesce a tenere sempre alta l’attenzione dello spettatore; complice di tutto ciò è anche un’ottima regia, un’intrigante sceneggiatura che saprà regalarvi colpi di scena fino all’ultimo secondo ed una fotografia più che eccellente. Se questa nostra recensione non dovesse bastarvi, se le due ore e mezza di cui è composto il film dovessero spaventarvi e voleste declinare l’offerta sappiate che in tal caso vi perdereste una storia davvero meritevole di numerose lodi. Di fatto perdere al giorno d’oggi una pellicola come questa potrebbe essere uno dei torti maggiori che potreste farvi ed ora non possiamo, infine, che augurarvi una buona visione!
Claudio Fedele
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