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Recensione di Un Poliziotto da Happy Hour

Recensione di Un Poliziotto da Happy Hour

Di storie poliziesche ne abbiamo viste tante, dalle indagini realizzate con i più sofisticati ed avanzati mezzi scientifici (guardate C.S.I. Scena del Crimine) a quelle più tradizionali (Sherlock Holmes o tutti gli altri classici film o serie tv di ora e del passato). Possiamo senza dubbio ammettere che il genere poliziesco o giallo, se lo volete chiamare in questo modo, è uno dei più proficui della storia del cinema, complice di tutto questo anche il costo minimo necessario per realizzare un film del genere. Che ci vuole? Due attori, magari anche poco famosi o a basso prezzo, una trama (non) particolarmente avvincente, un assassino con annesso uno o più omicidi ed il gioco è fatto; niente di più semplice. Allora, forse vi domanderete, perché tanta attenzione verso Un poliziotto da Happy Hour (il cui titolo originale è The Guard e della cui traduzione in italiano parleremo alla fine dell’articolo) ? Se volete sapere che cosa ci ha spinto a scrivere la recensione di questa pellicola non vi rimane che proseguire nella lettura!

Connemara, Irlanda. Gerry Boyle è un poliziotto assai particolare, che passa il proprio tempo libero con delle escort, a farsi di droga oppure facendo visita alla propria madre malata. Non nasconde mai a nessuno il suo humour di cattivo gusto ed i suoi modi talvolta tutt’altro che garbati. Rimane, tuttavia, un bravo poliziotto e quando dall’America viene inviato a Galway un agente della FBI, Wendell Everet, per far luce su un traffico di droga, sarà proprio il singolare sergente irlandese ad aiutare quest’ultimo e cercare di far chiarezza sul caso, per smascherare i colpevoli e compiere il suo dovere.

Risulta fin da subito ben chiaro che la trama di questo lungometraggio non brilli per una vasta gamma di situazioni o dinamiche piene di originalità; il film infatti si preannuncia come una normalissima indagine investigativa, dove il protagonista, messo di fronte ad un efferato omicidio, deve scoprire chi sia il colpevole ed incastralo. Ad aggiungere qualcosa di innovativo è il rapporto che nasce tra il poliziotto irlandese e la sua controparte americana, talvolta dando luce a dei siparietti comici (fino ad un certo punto e con un certo spirito) davvero ispirati. Dove sta, dunque, la genialità o la furbizia in The Guard? La risposta è semplice: nel personaggio principale! Il regista, John Michael McDonagh (qui anche sceneggiatore), mette sempre in luce il carattere del sergente Boyle, evidenziando i suoi lati migliori ed i peggiori, non risparmiando niente e non eccedendo mai in un eccessivo (quanto morboso) patriottico buonismo né tanto meno nella retorica. Così il personaggio interpretato da Gleeson rappresenta alla perfezione l’Irlanda, con le sue tradizioni, i suoi limiti, le sue ombre e le sue luci ed il film fa altrettanto, mostrando più volte scorci fantastici e panorami di rara bellezza senza dimenticare (ma solo attraverso vaghi riferimenti presi con una leggera, quanto acuta, ironia) la politica del paese e le lotte passate. In questo modo, quasi tutti noi spettatori, saremo portati a simpatizzare per il politicamente scorretto protagonista piuttosto che per l’agente americano interpretato da Cheadle (che in questo film figura persino come produttore) troppo ancorato alla modernità, alle regole, fin troppo noioso e snob.

A fare da spalla a Brendan Gleeson, ottimo nelle vesti del personaggio principale della storia e detto tra noi sembrerebbe proprio che si sia divertito un mondo a fare questa interpretazioni, ci sono il già nominato Don Cheadle (Iron man 2; Hotel Rwanda), Liam Cunnigham (che continua dopo The Hunger e Il vento che accarezza l’erba la sua collaborazioni con produzioni irlandesi, terra natale dell’attore) e Mark Strong (Sherlock Holmes; Kick-Ass) nelle vesti di un comune narcotrafficante inglese, particolare di una certa importanza dato che la storia gioca tutta sulla diversità etnica dei personaggi. La colonna sonora viene imbastita in alcune sequenze con alcune melodie e ballate irlandesi godibili ed apprezzabili in sottofondo, più tracce audio che fanno l’occhiolino ai film western di Leone.

Un Poliziotto da Happy Hour è un Noir/Thriller, con delle sfumature da commedia politicamente scorretta, ben riuscito, un esperimento che ci sentiamo di promuovere realizzato in salsa puramente irlandese, che offre un ora e mezzo di svago e apre la porta a tutti noi a quell’Irlanda che forse, si spera di no, oggi potrebbe non esistere più. Il Gerry Boyle di Gleeson è come un vecchio pistolero, un cavaliere di altri tempi protettore di un’antica terra, nonché uomo dai gusti e dalle scelte alquanto discutibili, ma spinto da un innegabile senso del dovere e della giustizia.  Pieno di quell’ironia un po’ anglosassone a cui siamo già da tempo abituati e grazie ad una sceneggiatura che non cerca di sottolineare la monotonia di una storia vista e rivista, ma che evidenzia le stranezze dei personaggi messi sulla scena, la pellicola riesce nel compito di non prendersi tanto sul serio e intrattenere genuinamente lo spettatore tra un sorriso ed un buon bicchiere di birra al pub.

Nota a Margine: Come per altri titoli, anche questo lungometraggio è vittima di pessima traduzione in italiano; con il titolo “Un poliziotto da Happy Hour” si è voluto far credere agli spettatori che il film fosse una sorta di commedia spensierata, forse simile ad un cine-panettone in salsa celtica. Niente di più sbagliato e condanniamo sia la scelta del titolo, che quella della locandina. Per chi ne ha l’occasione si consiglia di vedere il film in lingua originale e con l’ausilio dei sottotitoli dato che molto degli accenti e delle battute si sono perse nel doppiaggio.

Claudio Fedele

 

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Brendan Gleeson,
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3
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