Irlanda, 1952. Philomena Lee (Judi Dench), ancora adolescente, resta incinta. Cacciata dalla famiglia, viene mandata al convento di Roscrea. Per ripagare le religiose delle cure che le prestano prima e durante il parto, Philomena lavora nella lavanderia del convento e può vedere suo figlio Anthony un’ora sola al giorno. A tre anni Anthony le viene strappato e viene dato in adozione ad una coppia di americani. Per anni Philomena cercherà di ritrovarlo. Cinquant’anni dopo incontra Martin Sixmith, un disincantato giornalista, e gli racconta la sua storia. Martin (Steve Coogan) la convince allora ad accompagnarlo negli Stati Uniti per andare alla ricerca di Anthony.
Un film delicato ed incisivo vuol essere la nuova fatica di Stephen Frears, il quale grazie alla sceneggiatura realizzata da Steve Coogan (qui anche co-protagonista) tratta dall’omonimo romanzo di Martin SixSmith, riesce a portare sul grande schermo una storia vera capace di arrivare dritta al cuore ma al contempo farci pensare e riflettere. Viene chiamata in causa ancora una volta l’Irlanda cattolica, quella del dopo guerra, alla quale si condanna come ormai letteratura e cinema ci hanno abituato, un isterismo religioso fuori dal tempo ed eccessivo, capace di cambiare radicalmente e stravolgere le vite di coloro che ne hanno preso parte. La pellicola, dunque, si impegna di raccontare la storia della anziana Philomena senza lasciarsi trasportare in eccessi ma al contempo rimanendo salda sui proprio principi e le denunce, una pellicola che se non ha il coraggio, o ancor più la grinta, di scatenarsi contro i responsabili ha per lo meno l’audacia di mettere a nudo un fenomeno (quello del commercio, illegale, dei bambini fatto nei conventi) di cui non se ne sente ancora troppo poco parlare.
Un lavoro che fonde il genere giallo ed il dramma, ma che alla fine si rivela semplicemente più come un attestato, un documento che oggigiorno è impossibile far passare davanti a noi senza rivolgergli la minima attenzione; eppure, in tutto questo, rimane di gran lunga interessante il modo in cui la pellicola si pone ai nostri occhi, proponendo ben due punti di vista riconducibili a due posizioni ben distinte: da una parte abbiamo chi ha vissuto tale esperienze ed è stata educata secondo il credo religioso, mentre dall’altra parte abbiamo un uomo, giornalista, il quale a sempre più dubbi su Dio e la Fede. Si staglia un confronto tra il credente e l’ateo, il primo pronto a perdonare il prossimo anche quando si parla del proprio figlio, rassicurato e lieto di aver fatto chiarezza su di esso, mentre il secondo sempre più frustrato e colmo d’ira per come le istituzioni religiose gestivano particolari situazioni.
Alla fine, quello che ne emerge, è una rappresentazione piena di ambiguità, che non ci fornisce alcuna spiegazione riguardo a quale sia il il punto di vista migliore, bensì lascia al pubblico decidere se assecondare Philomena, ormai consapevole o il reporter, di certo una figura molto meno pacifica e più concreta. Tutto ciò, inoltre, è possibile grazie alla profonda performances di Judi Dench, la quale fa della sua controparte una donna anziana tanto simpatica quanto esigente, una persona che ha una grande forza d’animo ma in continuo bisogno dell’aiuto altrui, una figura a tutto tondo, forte e fragile che riesce a farsi genuino manifesto dei tanti sentimenti che prova una madre verso il proprio figlio.
Philomena è dunque un lungometraggio che merita assolutamente di essere visto, capace di divertire, commuovere, riflettere e testimoniare una realtà ancora tanto vicina da confondersi a volte con tante altre situazioni analoghe nel resto del mondo ma di cui è bene sempre prendere coscienza. Non si muove una critica sulla verde Irlanda, piuttosto, in questo film, si cerca di mettere in chiaro ed in modo obbiettivo, tutta una serie di eventi realmente accaduti che chiamano in causa la religione e le istituzioni; si parla ancora una volta di abusi e soprusi, ma al contrario di altri lavori Frears cerca e trova un tono molto più pacato e rilassato attraverso il quale raccontare la triste storia di Philomena. Grazie ad una strepitosa Dench il film trova in ogni momento il giusto equilibrio, il giusto tono drammatico e la giusta vitalità che è possibile leggere negli occhi della anziana donna senza mai eccedere o strafare, senza cadere nello stereotipo o nel luogo comune, senza offrire un racconto che sa di già visto, proponendo una storia delicata e sconvolgente allo stesso tempo.
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