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Recensione di Non E’ Un Paese Per Vecchi (No Country For Old Men)

Recensione di Non E’ Un Paese Per Vecchi

“A venticinque anni ero già lo sceriffo di questa contea. Difficile a credersi. Mio nonno faceva lo sceriffo e anche mio padre. Io e lui siamo stati sceriffi contemporaneamente, lui a Plano e io qui. Credo che ne andasse fiero, io ne andavo fiero eccome. Ai vecchi tempi c’erano sceriffi che non giravano neanche armati. […] Mi è sempre piaciuto sentir parlare di quelli dei vecchi tempi. Non ne ho mai perso l’occasione. Uno non può fare a meno di paragonarsi a loro, di chiedersi come avrebbero fatto loro al giorno d’oggi. C’è un ragazzo che ho mandato sulla sedia elettrica qui a Huntsville, qualche tempo fa. Su mio arresto e mia testimonianza. Aveva ucciso ammazzato una ragazzina di quattordici anni. Il giornale scrisse che era un crimine passionale, ma lui mi disse che la passione non c’entrava niente […] Con la criminalità di oggi è difficile capirci qualcosa, non è che mi faccia paura l’ho sempre saputo che uno deve essere disposto a morire se vuole fare questo lavoro ma non ho intenzione di mettere la mia posta sul tavolo… di uscire e andare incontro a qualcosa che non capisco. Significherebbe mettere a rischio la propria anima, dire OK, faccio parte di questo mondo.”

Se fate parte di quella ristretta schiera di lettori assidui del nostro giornale o se vi è già capitato di imbattervi in alcune delle nostre recensioni avrete subito capito che sono molto rare le volte in cui inseriamo un dialogo (bè, in questo caso è un monologo) del film che ci apprestiamo ad elogiare o criticare. In un certo senso, dunque, abbiamo già dato a voi, lettori, il nostro verdetto (positivo, si intende!) su Non è un Paese per Vecchi dato che, proprio come per Hunger tempo fa, abbiamo inserito un frammento della sceneggiatura dei fratelli Coen e l’abbiamo usato come incipit. Con la speranza, tuttavia, che la vostra curiosità voglia essere arricchita nello specifico e augurandoci che vogliate saperne di più sul lungometraggio che a detta di molti fu il film dell’anno (siamo nel 2008!) vi invitiamo, dunque, a continuare a leggere quanto ci apprestiamo, ora, a scrivere su No Country for Old Men, pellicola diretta da Joel ed Ethan Coen, trasposizione sul grande schermo del romanzo di Cormac McCarthy (Premio Pulitzer per La Strada). Bando alla ciance, lasciate ogni vostro momentaneo impegno alla deriva e continuate a scorrere con i vostri occhi le parole di questa recensione e scoprirete perché, per noi della redazione, questo film è davvero imperdibile per un qualunque amante del cinema!

Texas 1980. Siamo al confine tra Stati Uniti e Messico, in un paese che sembra aver abbandonato i vecchi valori per cadere in preda ad una violenza cieca e incontrollata; tale violenza si incarna perfettamente nello psicopatico Chigurh (Javier Bardem), sicario di professione munito di una micidiale filosofia di vita ed una morale perversa. Il suo avversario è lo sceriffo Bell (Tommy Lee Jones) un uomo del passato, vecchio, stampo che non sa farsi una ragione riguardo alla perdita dei valori e dei cambiamenti repentini del mondo e della società. Entrambi sono alla ricerca di Llewelyn Moss (Josh Brolin) che trovatosi accidentalmente in una sparatoria in mezzo al deserto adesso sta fuggendo con una borsa piena di soldi. Tutti agiscono spinti da una necessità ineluttabile, in un mondo dove solo gli spietati sopravvivono e dove si può scegliere soltanto in quale ordine abbandonare la propria vita.

Una regia sempre raffinata ed impeccabile ed una plot narrativo che sa il fatto suo, ecco le fondamenta su cui si basa il cinema dei Coen ed anche in questo caso, come per gran parte (se non tutti) dei loro lavori i due fratelli non mancano il bersaglio riuscendo, alla fine, a portare a casa un prodotto al passo con i tempi, dal passato recente chiama in causa il nostro presente, intriso di quella spettacolarità e quella morale dilaniante e spaventosamente reale. Ecco, dunque, il mondo in cui agiscono i personaggi usciti dalla penna di McCarthy, un universo privo di idee, di morale e buoni sentimenti. Si potrebbe pensare ad una visione un po’ troppo azzardata ed una rappresentazione eccessiva della società, eppure, se ci guardiamo attorno possiamo comprendere con i nostri occhi che quanto orchestrato da questi due cineasti non è ormai tanto diverso dalla vita che affrontiamo tutti i giorni, un’esistenza che si trascina sempre più verso il caos e l’odio.

Ecco dunque un duello a tre nelle vaste praterie del Texas, un inseguimento ove ogni componente ha la sua fede e la sua prospettiva di vita, aspetti che però hanno poca rilevanza di fronte al fatto che prima o poi, in un mondo brutale come questo, tutto ciò a cui teniamo verrà trascinato o portato via da qualcuno. Un film cinico che, dunque, parla di uomini crudeli e di uomini sconfitti, che fa della violenza non tanto un fattore estetico (e qui potremmo chiamare in causa Tarantino) ma un elemento costante, un aspetto comune nonché sempre presente in noi ma sopratutto attorno a noi dal quale è bene difendersi.

Dietro ad una regia sempre attenta, a cui non è oggettivamente possibile obbiettare la minima svista, al di là delle belle panoramiche e delle tante riprese ricche di pathos, in No Country for Old Men vi è sopratutto una sceneggiatura che sa il fatto suo, la quale si dimostra essere costantemente ricca di dialoghi, a volte riempiti di quel sarcasmo tanto geniale quanto grottesco che contraddistinguono le opere de “Il Regista a due Teste”, che meritano assolutamente di entrare nell’immaginario collettivo e di sequenze spettacolari, condite da un perenne mancanza di tracce audio il cui scopo è quello di enfatizzare in ogni momento l’azione e concentrare l’attenzione dello spettatore.

A concludere il tutto, vi è un cast d’eccezione dove a farla da padrone è senza ombra di dubbio lo spagnolo Bardem nelle vesti di Anton Chigurh, un sicario dal passato oscuro nonché volto ed essenza del male, una figura che è difficile dimenticare sia per il perverso carisma che per il modo in cui immediatamente, fin dalla prima sequenza, riuscirà ad attirare l’attenzione dello spettatore con i suoi modi ambigui e le sue frasi talvolta apparentemente prive di senso. Ottime, inoltre, le scenografie e la fotografia capaci di ricreare ad hoc le atmosfere degli anni ’80 e della frontiera americana dell’epoca.

Non è un Paese per Vecchi è il capolavoro dei Coen? Difficile dirlo, in tutta sincerità, ma se così non fosse rimane comunque un prodotto imperdibile ed uno dei migliori film degli ultimi anni. E’, forse solo ad un primo impatto, la loro opera più ordinaria e (apparentemente) “quadrata” sotto certi punti di vista, ma rimane comunque una pellicola potente che mescola spettacolarità e morale (ma lascia da parte la retorica) dove è impossibile annoiarsi e rimanere delusi. Dinanzi ad una carriera che comprende produzioni che hanno dato vita a film cult come Il Grande Lebowski, Fargo e Il Grinta è davvero difficile capire dove No Country for Old Men si inserisca e se ciò di cui si è appena scritto sia davvero il miglior lungometraggio mai realizzato dai due fratelli. Al di là di frivoli dubbi e vane incertezze, questo eccellente lavoro resta da vedere e rivedere da appassionati, fan e spettatori casuali ma che hanno molta voglia di conoscere e sperimentare la vera settima arte perché nella sua semplicità e nella sua grottesca morale si respira a pieni polmoni l’animo e l’essenza del cinema di Joel ed Ethan Coen.

Claudio Fedele

 

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