Recensione di Melancholia
La 68° Mostra del Festival di Cannes è stata, indubbiamente, una delle più belle manifestazioni cinematografiche/artistiche che occhio umano abbia potuto vedere in questi ultimi anni. In un’epoca ormai caratterizzata principalmente dall’estrema esaltazione dei popcorn-movie e dei blockbuster, è impossibile non rimanere colpiti dai titoli presenti in concorso, tra cui ricordiamo (con estremo piacere!) The Three of Life di Malick, Midnight in Paris di Allen, Habemus Papam di Moretti, Drive di Refn ed ovviamente Melancholia di Lars von Trier. In virtù di questo Uninfonews.it ha deciso di recensire per voi, assidui lettori, l’ultimo film del noto regista danese, che nel 2011 aveva diretto The Antichrist che a sua volta aveva in parte sorpreso e allo stesso tempo deluso la critica ed il pubblico di tutto il mondo. Melancholia segna la dodicesima fatica di Trier, il quale non solo si cala nelle vesti di regista ma anche in quelle di sceneggiatore; tra gli attori coinvolti nella produzione è possibile trovare i nomi di Kristen Dunst, John Hurt, Charlotte Gainsbourg e Kiefer Sutherland. Cosa sarà uscito fuori, stavolta, dalla mente di Trier? L’ultima sua fatica è degna del nome che porta oppure è una chiara espressione del suo decadimento da cineasta? Se volete sapere la nostra su questo lungometraggio, fan e non noto del film-maker, vi consigliamo caldamente la lettura di questo articolo! Buon Proseguimento!
Una ragazza (Kristen Dunst), appena sposata, sprofonda in una disperata crisi esistenziale e cerca conforto nella casa della sorella (Charlotte Gainsbourg). Nel frattempo, la Terra è minacciata dal gigantesco pianeta Melancholia: la collisione appare inevitabile, preceduta da una serie di anomalie che preannunciano l’impatto che potrebbe distruggere l’umanità. La pellicola, divisa in due capitolo chiamati Justine e Claire, ha ottenuto la Palma D’Oro a Cannes e si è aggiudicata anche tre European Awards, fra i quali quello per il miglior film.
E’ impossibile non catalogare Melancholia come un film a sé, un prodotto che sotto ogni aspetto vive di luce propria, riflesso intimo e profondo della visione che l’autore ha del mondo e della vita che vive in esso. Trier fa propria non solo la regia, ma anche la sceneggiatura, la fotografia, gli effetti speciali e la musica, firmando un qualcosa che difficilmente lo si può identificare solo come una pellicola cinematografica. L’aspetto più arduo da digerire, in questo caso, è proprio il modo in cui ci si approccia ad essa perché per saper apprezzare Melancholia è necessario, in primis, saper comprendere e condividere il punto di vista e la concezione universale del regista. Qui sta, in un certo modo, il maggior difetto dell’intera produzione ovvero quello di essere un bellissimo film d’autore. Ci sentiamo, quindi, in dovere di avvertire tutti i lettori che colori i quali non si sono mai legati a questo tipo di pellicole (dove spicca in modo chiaro la personalità di chi sta dietro alla cinepresa) o non hanno mai visto i lungometraggi del regista danese, che la visione di Melancholia potrebbe spiazzare o ancor peggio annoiare del tutto. Se, a maggior ragione, la pellicola fin da subito non dovesse piacervi il nostro consiglio è quello di passare ad altro perché l’ultima creazione di Lars richiederà buona parte del vostro tempo (la durata complessiva si attesta sulle due ore e dieci minuti abbondanti) e della vostra intelligenza. Fatta questa premessa, dove all’interno è stato sottolineato il vero tallone d’Achille di questo prodotto, iniziamo a parlare concretamente del film.
La regia di Trier è di sicuro uno degli aspetti qui meglio riusciti, capace di incarnare alla perfezione il proprio stato d’animo e riversarlo sullo schermo. Si passa da una camera sempre in movimento nelle sequenze all’interno di un veicolo o di una casa, che serve a dare il senso dell’inquietudine che attanaglia i personaggi e del moto inteso come scorrere continuo del tempo, a scene dove la telecamera è completamente immobile. Queste, principalmente, è possibile trovarle quando il regista vuole mettere in mostra l’universo e l’armonia che vi trova all’interno di esso. Trier, ha scoperto anche il rallenty, ma al contrario dei suoi contemporanei (citiamo Snyder e Bay poiché sono i più noti rappresentati nell’utilizzo di questa tecnica) il regista europeo usa quest’ultimo mezzo non per enfatizzare una serie di fotogrammi fini a se stessi, bensì per catturare l’attimo ed esaltare,dal punto di vista artistico, tutto quello che è stato ripreso. Non è un caso, dunque, che le scene a rallentatore siano anche quelle esteticamente più belle ed impressionanti, che riescono a suscitare meraviglia e stupore, ricche di tutta quella bellezza necessaria che portano ad identificarle quasi come dei veri dipinti in movimento: forse è esattamente questo ciò che voleva fare il regista: affiancare il cinema all’arte (in special modo alla pittura), immobilizzando, magari, una determinata sequenza, così che in tal modo non sia un caso che all’interno di essa appaia persino un dipinto (I Cacciatori nella Neve di Bruegel) esempio lampante, così, delle reali intenzioni di von Trier. E’ proprio attraverso la rappresentazione estetica, che quest’ultimo omaggia la cultura e l’arte, riallacciandosi per l’occasione anche al mito danese di Ophelia, immortalando la sua protagonista in un fiume e circondandola di fiori (altro forte riferimento non solo al mito scritto, ma anche al dipinto Preraffeallita di Millais). Al di là delle forti immagini, belle quanto grottesche e piene di irrequietezza, il film-maker lavora sopratutto sulla sceneggiatura ed i personaggi. Per prima cosa sottolineiamo la cura maniacale e la grande maestria nell’aver saputo approfondire, nonché particolareggiare in modo più che sufficiente, tutti i componenti della famiglia della sposa al matrimonio di quest’ultima in poche (ma determinanti) scene. La povera Justine è così vittima non solo delle sue scelte, ma anche delle persone che le stanno attorno e non riesce, in alcun modo, a trovare una sorta di sollievo o pace dall’unione con il neo marito e la compagnia dei suoi familiari. Trier sottolinea ancora una volta la natura della sua persona, portando il personaggio interpretato magnificamente dalla Dunst ad una innaturale pace nel sapere che la fine del mondo, a causa di Melancholia, è vicina. Vi è dunque un forte gioco/contrasto tra le psicologie dei protagonisti, dove ognuno di essi rappresenta un tipo di uomo o donna. Justine incarna la concezione che dell’esistenza e la psiche di Trier secondo cui la maggior parte delle persone depresse dinanzi ad una estrema situazione di stress mantengono la calma; e allora non è affatto un caso che gli unici momenti in cui la donna mostra una qualche sorta di serenità vengono rappresentati quand’ella è immersa nella natura mentre guarda il minaccioso pianeta, pienamente consapevole del suo destino; sua sorella, Claire (a cui è dedicato il secondo capitolo del film) rappresenta il normale essere umano, che non riesce a capire ciò che gli accade attorno e cerca in tutti modi di non rassegnarsi all’idea della fine della propria esistenza; John, marito di Claire è colui che invece confida nella scienza, ma che rimane deluso da quest’ultima. Abbiamo, in questo modo, la precisa visione nichilista che l’autore ha della vita, dell’uomo, dell’esistenza e del mondo.
Altro aspetto di vitale importanza è legato anche al montaggio e alla costruzione del film che si apre attraverso le note del Tristano e Isotta di Richard Wagner mettendo subito in luce il tema, la trama e la propria conclusione. Tutto ciò viene fatto affinché lo spettatore non presti unicamente attenzione ai risvolti della vicenda, non si focalizzi sul domandarsi se davvero ci sarà una collisione tra due pianeti, ma che piuttosto, si concentri su ciò che il regista davvero vuole mettere in luce. La fotografia in Melancholia svolge un ruolo di primaria importanza, poiché serve da una parte a mettere in evidenza l’animo del personaggio principale e dall’altra a mostrare la grandezza dell’universo con cui quest’ultimo si relaziona in più occasioni. Si passa, così, da un primo capitolo pieno di oscurità e bassa illuminazione dentro una maestosa magione, con dei colori quasi completamente morti ed una prevalenza di toni giallognoli molto scuri, che ben si adattano alla pressione e allo stress che si legge sul volto della Dunst, fino ad arrivare a scene particolarmente chiare e con colori saturi usate, principalmente, per esaltare ciò che viene rappresentato. Ottime, inoltre, le scenografie amalgamate ad un buon uso degli effetti speciali capaci di rendere unici alcuni fotogrammi e sequenze. Per quanto riguarda il cast, il film vanta nomi di tutto rispetto, ma la grande interpretazione la fa indubbiamente Kristen Dunst, la quale si immedesima perfettamente nel personaggio di Justine e riesce a tenere sulle spalle tutta la pellicola senza mai cadere in fallo. Una prova giustamente premiata con la Palma D’oro a Cannes.
Parlare di Melancholia come di una pellicola qualunque sarebbe un grave errore, il film di von Trier incanta, stupisce, intriga e impegna lo spettatore come pochi in questi anni hanno saputo fare. Un lungometraggio che omaggia l’Arte, capace di inserire all’interno di esso numerosi riferimenti alla pittura e alla cultura (molti dei quali persino chi ha scritto questo articolo, per ignoranza e pigrizia, non è riuscito a cogliere!); E’ difficile non consigliare un prodotto di questo tipo, che rimane oggettivamente un ottimo film ed eccezionale per coloro a cui piace il genere, lo stile dell’autore danese o che sono semplicemente attratti dalla sua filmografia. Lars con Melancholia offre a tutti noi un biglietto con coi vedere la concezione che egli ha della vita e del mondo e proprio come i protagonisti che attraverso un telescopio vedono il pianeta Melancholia avvicinarsi alla Terra, Trier usa la camera per mostrare qualunque spettatore il suo pessimismo e allo stesso tempo l’esaltazione dell’esistenza umana in tutta la sua naturale bellezza. Grazie ad un ottimo reparto tecnico, una fotografia ed una scenografia curata e mai sottotono, unite a interpretazioni più che discrete, il regista dona all’umanità, ancora una volta, un lungometraggio degno del suo nome e a questo punto, signore e signori, l’attesa verso Nimph()maniac sale alle stelle!
Claudio Fedele
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