Recensione di Magic Mike
Che Steven Soderbergh sia uno dei più noti e prolifici film-maker americani degli ultimi anni non è una novità. Dopo aver siglato la trilogia di Ocean’s, toccato il cinema biografico con la pellicola Che (L’argentino; Guerriglia) e quello d’azione con Knockout – La resa dei Conti, il regista di Contagion si dedica ad una pellicola che ripercorre (in parte) la vita dell’ormai famoso Channing Tatum, negli anni in cui anch’egli, spinto dalla necessità di fare soldi per vivere, faceva lo spogliarellista in uno strip club. All’interno della pellicola c’è anche Matthew McConaughey a far da spalla a Tatum nelle vesti del proprietario del locale sopraccitato. Cosa sarà uscito fuori ?
Florida. Mike, di giorno, è un giovane imprenditore che cerca di aprire una propria attività sfruttando il suo talento nel creare mobili da oggetti rotti; Di notte si trasforma nello stripper più idolatrato dalle ragazze di un trasgressivo club della città. E’ un mondo fatto solo ed esclusivamente di eccessi, sesso e soldi facili nel quale il talentuoso spogliarellista introduce anche il giovane Adam conosciuto un giorno sul lavoro, fratello di Brooke, una giovane che detesta quello stile di vita e della quale Mike si innamora.
Magic Mike è senza dubbio un film destinato, per una specifica fetta di pubblico a diventare un vero e proprio cult o forse una sorta di resa dei conti per quanto riguarda il nudo ed il sesso che il cinema offre agli spettatori. Soderbergh gira una pellicola in cui chiede a Tatum di non essere solo un bel corpo in movimento che balla e flirta con le ragazzine sotto il palco del locale per far soldi e l’attore, dall’altra parte, risponde con una buona interpretazione dove, strano ma vero, è proprio il suo personaggio ad andare oltre la superficie e a non mostrarsi unicamente come una scultura michelangiolesca. Perché al di là delle coreografie e dei petti super depilati degli attori coinvolti, Magic Mike ha comunque una sua morale ed un suo cuore pulsante e si fa icona del nuovo sogno americano. In un’America presa dalla crisi, dove per sbancare il lunario si è costretti a mettere in mostra non quello che siamo, ma come siamo esteriormente, il mondo creato da Soderbergh dipinge un affresco in cui l’unica cosa importante in questa vita non sia ormai l’istruzione, ma i dollari! E come dargli torto? Eppure anche per i bei ballerini, di questi tempi, le cose non vanno particolarmente bene e questo ci porta a sottolineare come il regista metta in evidenza ancora una volta il vero elemento essenziale nella vita di tutti i giorni, che risulta essere sia la fortuna, che la buona sorte. Il film tuttavia non riesce a stupire e affascinare appieno; tanto che, se la prima ora rimane comunque sufficientemente discreta grazie all’introduzione di un mondo nuovo e riesca a fare un forte contrasto tra la vita diurna e quella notturna, nella seconda parte il lungometraggio vira verso i più classici canoni della commedia/melodramma Hollywoodiano, dimenticandosi tutto quello che (di buono) era riuscito a costruire nel primo tempo. Il regista punta tutto sui sentimenti, lascia da parte la critica, la morale (anche se nel film a volte ce ne è in abbondanza) e non ha il coraggio di mostrare un universo di cui si è preso il disturbo, a questo punto, solo di accennare, quasi voglia comunque firmare una pellicola nella quale il pubblico si debba divertire e intrattenere. Noi spettatori siamo un po’ come le tante ragazze sotto al palco in attesa dello spettacolo che non vedono l’ora di toccare e ammirare quanto messo su dal regista, ma il tutto si riduce in tanto fumo e poco arrosto.
Magic Mike vorrebbe essere una pellicola che mette in mostra ciò che un uomo o per precisare un ragazzo, è disposto a fare di questi tempi per vivere, diventando così una sorta di biografia, ed allo stesso tempo vorrebbe dipingere (e forse denunciare, chissà?) un quadro drammatico di un’America che punta tutto sul denaro e la ricchezza ( unita alla fortuna) condita da una falsa moralità ed un’etica priva di valori. Il film però si perde un po’ troppo su se stesso e si dimentica che non tutto il pubblico (maschile, femminile, eterosessuale, omosessuale, bisessuale etc…) potrebbe (apprezzare o) perdersi nell’avvinghiarsi dei corpi dei protagonisti, i quali non mostrano alcun tipo di carisma e introspezione psicologica ed il tutto strizza l’occhio al più classico degli stereotipi adottati nel girare questo tipo di storie pseudo melodrammatiche. L’unica cosa veramente convincente è Matthew McConaughey che attira su di se, proprio come nel numero finale dello show, l’attenzione di tutti e mostra a noi spettatori di essere un attore che persino laddove il talento non viene richiesto a dosi massicce, lui vada oltre e convinca, donando al suo personaggio un’ambiguità concreta che rimane l’unica cosa interessante della pellicola. Il resto è tutto fin troppo già visto, Soderbergh si adagia sugli allori e gira un lungometraggio che punta tutto sulla forma e non sui contenuti a volte scadendo in una superficialità esasperante e gratuita. Peccato.
Claudio Fedele
Comments