Recensione di Joyland
di Stephen King
Tutto inizia e finisce nel parco divertimenti di Joyland, da cui prende il titolo il romanzo, nella Carolina del Nord durante gli anni ’70 (epoca molto cara all’autore). Un giovane ragazzo di nome Devin Jones decide di passare un’estate come dipendente del parco giochi, iniziando così ad accumulare una nuova esperienza per lui in futuro fondamentale: quella del lavoro. Sarà preso da mille occupazioni e impegni, ma conoscerà anche amici ed il resto del personale (non sempre simpatico) del posto. Tutto sembra andar bene, considerando che Jones è stato lasciato dalla propria ragazza e non fa che pensare a lei, tanto da passare le notti insonni ascoltando musica rock e meditando spesso al suicidio; quando però si viene a scoprire che anni addietro una giovane ragazza è stata uccisa in una delle tante attrattive del parco nasce così una grande curiosità dentro la mente del protagonista, che vuole assolutamente scoprire chi era la vittima e se è vero, come confermano alcune voci, se il suo fantasma si aggiri ancora per Joyland, in attesa di trovare la pace.
Leggere Joyland può suscitare negli assidui lettori di King due particolari emozioni. La prima (che non ci sentiamo affatto di appoggiare): è quella di delusione in rapporto al fatto che quel che si legge potrebbe essere un qualcosa buttato giù da un qualunque scrittore e che si fa fatica ad immaginare che sulla copertina compaia il nome: King.
La seconda linea di pensiero porta ad un senso di stupore, visti i temi trattati, ma anche e sopratutto ad un forte senso di nostalgia, argomento nonché atmosfera principale dell’intera opera, poiché fin dalle prime pagine si capisce in modo evidente come l’autore voglia sottolineare il fascino, la bellezza, la fortuna di essere giovani. Aspetti che si apprezzano principalmente quando si è ormai adulti o anziani. Tante sono le pagine ed i dialoghi che vedono coinvolti “direttamente” il narratore, che racconta la vicenda come sotto forma di diario, ed il lettore ricche di malinconia e tristezza, viene fatta molta pressione sopratutto sul fatto che prima o poi bisogna capire che nella nostra esistenza 21 anni non tornano più e proprio come evidenzia il protagonista stesso, sono gli anni migliori della nostra vita. Così King descrive un mondo in cui la gioventù la fa da padrone e lancia un forte messaggio, probabilmente cosciente anch’egli di non essere più un giovane scrittore arzillo di un tempo ed invita un po’ tutti noi a vivere la nostra vita, non passare le proprie ore dinanzi all’ozio, ma sopratutto a non lasciarsi trasportare troppo dai pensieri e dai problemi. Si capisce quanto appena detto dalle parole, dai personaggi e le loro storie, come ad esempio quella del piccolo Mike, la cui vita è legata ad un filo a causa di una malattia terminale.
Stilisticamente il libro è realizzato con estrema cura e con uno stile ottimo, maturo e invidiabile (forse King ultimamente non scriverà storie particolarmente originali, magari proporrà le stesse tematiche, ma laddove in gioventù ogni tanto cedeva stilisticamente oggi va ammesso apertamente che la sua scrittura è diventata impeccabile, delicata e dalla quale traspare sempre di più l’esperienza di cui l’autore ha senza dubbio fatto tesoro con il tempo). Inoltre, un po’ come in ogni altro suo racconto, anche qui ci troviamo davanti a personaggi vari e più che verosimili, davvero indimenticabili. Le descrizioni sono ottime e saremmo tentati più di una volta di desiderare che un parco come quello di Joyland esista davvero e che si trovi dietro casa nostra. Al di là di questo, coloro che sono rimasti affascinati dai tanti lavori del Re che ha scritto in passato potrebbero, in maniera del tutto lecita, storcere il naso di fronte a queste 350 pagine, ricche talvolta di una vena un po’ troppo “sdolcinata”. La trama è sia il punto di forza, ma allo stesso tempo, per la sua linearità, anche se a noi essa è apparsa sempre molto scorrevole, mai forzata e costantemente verosimile.
Nell’ottica complessiva va dato atto all’autore di essere riuscito, ancora una volta, a creare una storia molto curata e preziosa, in quanto si allontana dai canoni a cui siamo abituati a conoscerlo (eccezion fatta per Colorado Kid, anch’esso un mistery*) e per certi aspetti potremmo azzardare a dire che questa nuova fatica si avvicini molto di più a quel Stephen King noto per le opere come Stagioni Diverse o Il Miglio Verde, pur tuttavia non arrivando alla bellezza dei tanti apprezzati capolavori o dei libri sopracitati. Criticare, ad ogni modo, Joyland potrebbe essere un errore, laddove il racconto offre molti spunti di riflessioni e si manifesta al mondo come un qualcosa che voglia invitare chiunque a godersi la propria vita, anche in quei piccoli momenti, che alla fin fine, nella loro semplicità appaiono come i più belli.
Visto come un giallo deduttivo, quasi totalmente privo dell’aspetto legato al mondo paranormale, Joyland è un romanzo che mostra (ancora) una nuova faccia di King, quella più umana, più nostalgica ed allo stesso tempo (forse) più interessante per certi aspetti. Non potrà essere un lavoro del calibro di IT o Misery, Il Miglio Verde ed altri, ma vale la pena fare un giro tra le pagine di questa storia, se non altro per cogliere dopo tanto tempo dal suo esordio una nuova e (semi) inedita visione dell’autore. Lo stile è ottimo e scorrevole, ricco di linguaggi particolari e neologismi usati dentro il parco giochi da coloro che ci lavorano (più comunemente riassunti ne “La Parlata”) e la vicenda si legge tutta di un fiato complice anche la brevità della storia. Il verdetto definitivo riguardo a Joyland è quello di consigliare il romanzo a tutti coloro che sono incuriositi dalla trama o che vi sentono una sorta di affinità, come accade di solito, tipica di ogni lettore, con un determinato libro. Questa è un’opera che deve essere tenuta in libreria di ogni appassionato del Re, al quale va dato atto di essere riuscito a scrivere sempre ottime storie in modo continuo ed avvincente; Inoltre, data l’imminente stagione estiva comprare Joyland potrebbe essere un ottimo pretesto per leggere un buon libro sotto l’ombrellone e dato che viviamo in una realtà in cui i bei libri di intrattenimento iniziano a scarseggiare aggrapparsi a questa storia e gustarsela in piena quiete non è certo un male.
Claudio Fedele