Recensione di Hunger Games
Hunger Games appartiene a quella schiera di film che fanno parte della categoria “ le sorprese dell’anno”; In America questa pellicola è diventata campione di incassi sbaragliando la concorrenza e riuscendo a spargere terreno fertile per la realizzazione del secondo capitolo della serie ideata da Suzanne Collin. Costato all’incirca 80 milioni di dollari, con un cast di tutto rispetto costituito in gran parte da giovani emergenti, la pellicola di Gary Ross ha tutto il diritto di sedere sul trono dei film più riusciti dell’annata appena passato.
In un futuro post-apocalittico ben 12 Distretti devono dare ogni anno come tributi 2 ragazzi, un maschio e una femmina, i quali parteciperanno agli Hunger Games, che altro non sono che delle sfide di sopravvivenza dove solo uno, tra 24 concorrenti, può vincere e essere coperto di fama e gloria eterna. I tributi designati sono “gettati” in una vasta arena e devono uccidere gli altri partecipanti, dunque in poche parole si lotta per la propria sopravvivenza. L’aspetto, tuttavia, più crudele sta nel fatto che il tutto viene svolto sotto forma di reality show, dove i telespettatori possono osservare, attraverso micro telecamere nascoste, qualunque cosa accada ai partecipanti. Se di fatto quest’ultimi, con o senza la loro volontà, sono costretti a combattere tra di loro, chi li osserva può benissimo scommettere o inviare soccorsi ai tributi che in ogni momento rischiano la vita; tra di loro, ci sono Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) e Peeta Mellark (Josh Hutcherson) due ragazzi del distretto 12, il più povero di tutta Panem.
In tempi in cui siamo abituati a vedere vampiri sdolcinati, ragazze con occhi a cuoricini e super eroi pompati oltre ogni limite, Hunger Games riesce ad essere per pubblico un prodotto quasi del tutto “indipendente”, particolare, ben fatto e curato. Al di là della trama, su cui molto si è dibattuto e che prende idea da fumetti come Battle Royale, il film riesce a dare un messaggio niente affatto scontato e banale, inoltre la politica di Panem di stampo totalitarista dona al film una ambientazione distopica interessante ed al contempo molto profonda, riuscendo ad innalzarsi ben oltre ai mediocri prodotti young adult; è ovvio che siamo messi sempre di fronte ad un racconto per adolescenti, ma le tematiche sono del tutto diverse e degne di essere prese in considerazione. Il regista, Gary Ross, non si preoccupa di mostrare numerose scene di violenza, ma sempre con la giusta dose e “tatto” rivela l’orrore e la crudeltà a cui i giovani tributi, costretti dal sistema e senza altra via di uscita, prendono parte senza eccedere o risparmiarsi per quanto riguarda i combattimenti; perché è proprio nell’arena che ogni persona perde la propria essenza e la propria coscienza di uomo, diventando una sorta di bestia, costretta a sopravvivere per non essere uccisa dagli altri ed è dunque essa alla fine a godere della maggior attenzione da parte di chi si è preso sulle proprie spalle questo lavoro. Ne gli Hunger Games di fatto non esistono storie di amore o amicizie, si perde tutto, si perde l’umanità e ciò che affligge di più la protagonista Katniss e il giovane Peeta è che in questi giochi si possa perdere anche se stessi.
Se dunque Katniss Everdeen, inizialmente, si offre come volontaria, per salvare sua sorella alla terribile sorte ed il suo scopo è solo quello di vincere e tornare a casa, ben presto capisce che uccidere le persone non è come andare a caccia di cervi e non sempre chi abbiamo davanti ha le sembianze di un essere malvagio, ma può anche essere un bambino innocente, una persona che in un altro contesto poteva rivelarsi tutt’altro che uno spietato assassino. Tutta questa crudeltà viene ancor più accentuata dal fatto che i giochi, simili a quelli dei gladiatori romani (tanto che la stessa Panem si rifà al detto latino “Panem et Circenses”), siano solo degli spettacoli, fatti per divertire la gente ricca e facoltosa della capitale ed il tutto porta sempre più a credere che ad esserci in ballo non siano delle vite, ma dei semplici “tributi”, delle cose, degli oggetti per cui fare il tifo o su cui speculare ricchezze e fare scommesse. Quanto è alto il prezzo della libertà ? E fin dove può giungere la speranza? Sono quesiti che vengono posti dalla protagonista stessa e a cui difficilmente, in un mondo come quello, posso trovare una vera risposta. Altrettanto difficile è capire il confine tra realtà e spettacolo, rompendo quella divisione fondamentale e essenziale che fa parte della vita di ognuno, grazie alla quale chiunque può dimostrare chi è davvero e non sembrare.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici possiamo ben elogiare la parte legata al sonoro, ma non altrettanto gli effetti speciale; il budget di 80 milioni di dollari si fa sentire e le scene realizzate con il green screen, per quanto ben fatte a volte non riescono ad eguagliare le grandi pellicole a cui siamo abituati. Jennifer Lawrence è azzeccata nel ruolo di Katniss, giovane promessa del cinema di questi ultimi anni, riesce a dare carisma ed entrare appieno nel personaggio. Stanley Tucci è con i suoi abiti stravaganti una delle più belle figure di tutto il film, ma che non arriva ai livelli dell’ipnotico e spietato Donald Sutherland, perfetto ad incarnare il ruolo del presidente Snow.
Hunger Games è dunque un buono film ed un discreto inizio su cui basare un nuovo franchising, che propone tematiche molto più profonde dei tradizionali film per teenager e offre ben 2 ore di spettacolo ed avventura, ma anche qualcosa di più nel complesso, qualcosa su cui riflettere. Aspettiamo fiduciosi il seguito.
Claudio Fedele
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