Recensione di The Revenant – Redivivo
Birdman era tutto ciò, e molto altro: erano i dubbi, gli errori, il distacco dal mondo, l’immateriale orrore umano, l’animo distrutto e sensibile di un uomo, interpretato da un Michael Keaton da favola, finalmente tornato alla ribalta dopo anni passato a fare da spalla in lavori di certo non alla sua altezza; ogni cinefilo che si rispetti è rimasto travolto dinnanzi a questo prodotto tanto affine alla commedia quanto
Accantonato, dopo nemmeno un anno, l’uomo comune disperato, a causa di una carriera in totale discesa e per via di una notorietà sempre più indirizzata al passato, quando sul grande schermo prendeva il volto di uno dei molti supereroi che affollano i cinema, oggi il regista messicano torna a far parlare di se con una pellicola disarmante, crudele, cinica, spietata, spettacolare, umana e delicata nella sua più oscura bellezza.
Redivivo è un lavoro complesso ed ambizioso, che, come scritto poc’anzi, molto intelligentemente prende le distanze da Birdman per aprire scenari e situazioni inedite, che pur tuttavia conservano, ancora intatto, l’animo e la verve artistica di chi ha diretto entrambi i lungometraggi. La mano di Iñárritu è tangibile in ogni momento, si avverte e si riconosce in una qualunque sequenza a cui siamo messi davanti e siamo testimoni, concretizzandosi in toto quando a farla da padrone è il realismo a dir poco estremo e le situazioni spettacolari, e corali, che l’autore di Amores Perros, analizza e studia fin nel minimo dettaglio, graziato anche dalle scelte estetiche del direttore della fotografia, il due volte premio Oscar Emmanuel Lubezky, con il quale il film-maker ha deciso di utilizzare una particolare cinepresa che permettesse di sfruttare, come unica fonte di illuminazione, quella naturale. Una prova, sotto il profilo puramente visivo, veramente notevole, che
Se, infatti, sul piano tecnico siamo di fronte ad un lauto banchetto di virtuosismi e movimenti eleganti contrapposti ad una macchina da presa sempre presente ed invasiva quel che basta da rimarcare la personalità dell’autore, sotto il profilo degli attori ancora una volta González Iñárritu sottolinea la sua grande padronanza nel saper sfruttare al meglio i talenti di cui dispone. Leonardo DiCaprio, che spesso vediamo in ruoli che lo portano ad essere costantemente sopra le righe, vuoi per le situazioni assurde, per gli eccessi o per un modus operandi che fa della propria versatile presenza e graffiante voce un vero e proprio marchio di fabbrica, ci regala una performance a dir poco perfetta, moderata e delicata, che parte, per certi aspetti, pienamente nelle sue corde, rispettando in toto i parametri a cui l’inaffondabile Jack ci ha abituato, per poi adagiarsi in un sottofondo di malinconia e umanità che raramente era fuori uscito dal fuori classe di origini italiane. Se infatti, il talento di DiCaprio non è mai stato messo in dubbio, qualcuno poteva, però, contestare una certa ripetitività in alcune produzione nei riguardi di un approccio fin troppo simile tra una pellicola ad un altra, sempre, ad ogni modo, sorretto da un impegno costante e duraturo. Oggi, sembra proprio il caso di dirlo, Leonardo DiCaprio assurge ad essere un attore completo, poiché non affascina né colpisce più lo spettatore per la sua bellezza o per la sua bravura, ma semplicemente per l’umanità e la pietas che riesce a cogliere e restituire al suo alter ego di celluloide,
Ad affiancare DiCaprio troviamo un cast di tutto rispetto, se non addirittura all’altezza del pupillo preferito dall’ultimo Scorsese. Domnhall Gleeson si conferma una spalla efficace e matura, capace di saper dare spessore ai tanti ruoli che l’annata precedente l’hanno visto chiamato in causa, dimostrando quanto quest’attore sappia tener conto delle molte sfumature che i suoi personaggi godono da pellicola a pellicola. Tom Hardy in alcuni momenti ruba persino la scena ad ogni altra persona presente sullo schermo, il suo cacciatore è un uomo proveniente dal Texas, avido e egoista, che porta il volto sfigurato dopo uno scalpo riuscito solo a metà. L’accento e la trasformazione dovuta al trucco conferiscono all’attore inglese un’occasione perfetta per mettere in mostra, per l’ennesima volta, il grande talento di cui questi dispone. Hardy si cuce addosso un antagonista dilaniato nella sua crudeltà, tanto cinico quanto umano nel suo essere spietato, che si adagia perfettamente in un mondo lontano anni luce da quello che intendiamo noi adesso con il quale interagiamo, sebbene, di quei tempi, tavolta, anche il nostro ne conservi l’essenza in più di un’occasione. Jon Fitzgerald sarà il grande motore narrativo che porterà alla rinascita di Hugh Glass, alla sua
Redivivo è un lavoro che riesce a toccare molti aspetti di una storia dal grande impatto visivo, seducente dietro ai suoi piccoli piani sequenza che in ogni secondo sembrano spiccare il volo esattamente come Birdman faceva grazie ad una regia continuamente spronata ad andare ben oltre l’inverosimile. Eppure, al di là dei molti voli pindarici, The Revenant rimane continuamente ben saldo a terra, esso, infatti, è un affresco che con grinta vuole parlare degli uomini, dei loro vizi, così come delle loro virtù, del senso di colpa, del dolore, dell’incidere del tempo sull’animo umano e di come l’uomo, a sua volta, condizioni quel che lo circonda, che si parli di natura o di suoi confratelli. Inarritu crea un palco dove il dramma personale entra in pieno contrasto con una società in cambiamento, ove gli indiani ed i pellerossa devono vedersela con i francesi, gli inglesi e coloro che saranno identificati un giorno come i “comuni americani”; quanto detto, poi, fa da collante ad un percorso umano che non guida il pubblico ad un pentimento, bensì ad una pace interiore
The Revenant – Redivivo è una storia appassionante, nella sua brutale bellezza, che stona continuamente con un cinema ormai indirizzato ad una narrazione enfatica e spettacolare, pur riprendendo molto di essa in alcuni frangenti senza mai andare oltre il buon gusto. Iñárritu indugia con l’occhio della telecamera esattamente come un bambino esperto pone per terra i giocattoli con cui, a breve, inizierà a giocare, già deciso a dar vita a tutta una serie di avventure che solo lui è consapevole di saper narrare. Per questo motivo, al di là del solito marchio di fabbrica, sotto il lato tecnico, di un regista ormai pienamente consacrato, The Revenant si mostra un film importante, un western toccante ed umano, che grazie all’ausilio delle immagini riesce a trasmettere quanto di bello oggi è possibile vedere su un grande schermo, perché la magia del cinema non la si fa con le parole o con altri strampalati codici di comunicazione, né la si deve cercare in una superficiale sensibilità, ma unicamente con quel che si decide di riprendere, ed a parlare, dall’inizio fino all’ultima emblematica scena, non sono i personaggi con i loro dialoghi, ma gli scorci e le sequenze, le inquadrature ed i silenzi che Iñárritu colleziona ed inserisce in uno dei più bei film degli ultimi anni.