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Recensione di The Hateful Eight

Recensione di The Hateful Eight 

Sono pellicole sempre dotate di un fascino grottesco ad al contempo realistico, quelle del maestro Tarantino, un uomo che, a suo dire, si è fatto strada nella settima arte per conto proprio, non studiandola in accademia, ma vivendola sul campo ed amandola fino all’inverosimile, osservando attentamente le pellicole altrui, partendo da quel negozio di video-noleggio che possedevano anni or sono, fino ad arrivare a mettere la firma su veri e propri capolavori che si sono fatti apprezzare dalla maggior parte dei critici e degli spettatori.

Dopotutto, se è vero che nessun grande artista inventa, ma che tutti rubano un po’ di qua ed un po’ di là, è possibile, con poco, convincersi che Quentin sia il più abile e letale dei ladri ed il cineasta che più deve a chi l’ha plasmato fino al midollo, grazie al quale è riuscito a creare storie che, a distanza di tempo, facciamo fatica a dimenticare, vuoi per le particolari sceneggiature cariche di forza o per i dialoghi brillanti, capaci di far breccia nell’immaginario collettivo con l’ausilio di particolari espressione, o per la regia da una parte piena di brio e dall’altra ferma su quelli che sono i capisaldi della tecnica cinematografica per eccellenza.

Tarantino è questo e molto altro, un cocktail ben amalgamato di genio e follia, innovazione e citazione, elegante e caotico, serio e divertente, insomma, un fenomeno pop ed allo stesso tempo un archeologo di un Cinema che molti oggi hanno dimenticato o non hanno mai avuto la fortuna di vedere per innumerevoli motivi. Eppure, dietro ad una giostra complessa di personaggi incredibilmente variegati, come quelli da lui creati per The Hateful Height, che se le dicono e se le fanno di tutti i colori nelle tre ore necessarie ad arrivare ai titoli di coda, mai si ha il sentore che quello a cui siamo messi davanti sia una pellicola pacchiana, stucchevole, fredda o pretenziosa.

In effetti, come sarebbe possibile credere di quanto scritto quando si parla di un uomo, e del suo operato, che ha sognato tutta la vita di vivere accanto a quelle icone che, forse, noi stessi facciamo fatica a celebrare e riconoscere come astri lucenti di cultura e creatività. Mr. Tarantino è, prima di essere un regista osannato e di talento intramontabile, un fan sfegatato di quei maestri (Italiani, Orientali, Europei, Giapponesi e Americani) che gli hanno permessi di diventare, semplicemente, ciò che ora è:  un giovane che ancora fatica a credere che quel che la pellicola è capace di mostrare sia puro intrattenimento o sequenze di fotogrammi, poiché è immerso, fino all’inverosimile, in ogni secondo di quanto gli viene mostrato in una sala di un qualunque cinema, convinto fino alla pazzia che sul grande schermo le favole diventino davvero realtà.

Per questo motivo The Hateful Eight è una pellicola capace di trascendere il genere di appartenenza, essa si traveste da Western, ma di quel preciso cinema non porta che l’estetica ed i suoni, l’atmosfera e la musica del maestro Ennio Morricone oltre a qualche riferimento storico piazzato accuratamente nei momenti opportuni. La storia degli 8 protagonisti è un thriller in tutto e per tutto, che prende forma sequenza dopo sequenza fino a palesarsi come tale una volta che la vicenda giunge ad una precisa maturazione e tocca le vette più alte di pathos.

Siamo, di certo non a caso, dinnanzi ad un giallo affine, magari per alcuni fin troppo, a quelli che scriveva Agatha Christie, a quelle storie dal sapore di “Dieci Piccoli Indiani” “Assassino sull’Oriente Expresse” dove le persone e il luogo sono ridotti al minimo ed hanno un’importanza spropositata, mostrando sfaccettature che, con l’avanzare dei minuti, si fanno sempre più interessanti e profonde. Le peculiarità si avvertono, inoltre, prepotentemente anche per precisi passaggi ed escamotage narrativi, posti elegantemente per dare alla storia quel tocco di inaspettato nel suo svolgimento.

A dare un po’ di vita e far vibrare le corde della tensione ci sono i dialoghi e le battute classiche ormai del repertorio del celebre film-maker, quel “negro” tanto odiato da Spike Lee, e quell’ironia, a volte tanto nera e spinta, da squarciare in piccoli frammenti, come una pallottola, le fila di un intero discorso portato avanti da più comprimari, pronta a far rimanere a bocca aperta per la sua glaciale sottigliezza.

In fondo di cosa parla questa storia incentrata su 8 sfortunati sconosciuti costretti a passare qualche giorno insieme in una catapecchia di montagna? E’, nella sua forma più primordiale, un affresco crudele dell’America, messo in luce anche attraverso l’uso di metafore sessuali e di giochi di potere esercitati con l’opportunismo giusto, un plastico vecchio di due secoli in miniatura spietato, ove ogni componente agisce e si immedesima in una precisa realtà che, da intenti nobili e ideali degni di memoria, finisce nel trasformarsi in una civiltà che lascia sempre più se stessa alle spalle, diventando l’ombra di quello che era stata un tempo, dimenticandosi di coloro che l’hanno costruita per renderla migliore, quegli idoli che gli U.S.A. hanno celebrato per poi distruggere immediatamente dopo la loro caduta.

Distante centinaia di anni luce da quella sfumatura on-the-road che stava al centro di DjangoThe Hateful Eight regala allo spettatore una visione originale e straordinariamente appagante, sorretta da un ritmo sostenuto che offre continui momenti di riflessione da affiancare a (poche) sequenze ricche di azione o tensione, tutte unite da una storia che, se seguita grazie alla brillante sceneggiatura, riuscirà a tenere saldo l’interesse sotto ogni punto di vista per tutto il suo percorso. Siamo davvero lontani da quelli che erano i toni del primo Kill Bill Vol. 1 o da quella sfrenata animosità tipica di Django Unchained, mentre è facile accostare l’ultima fatica di Tarantino ad i suoi lavori un po’ più intimi e elaborati, quali Kill Bill Vol. 2 o Le Iene, ove, in tal caso, molti saranno i parallelismi tra le due produzioni.

The Hateful Eight, che i più fortunati potranno visionare anche nei cinema con una proiezione a 70mm, è un lento processo di consapevolezza e un testamento a dir poco personale che Tarantino realizza in nome di tutto ciò che crede. E’ una critica al suo paese, è un elogio alla propria terra natale, è un omaggio al cinema (riscontrabile anche grazie ad un preciso uso di telecamere e fotografia), è un atto d’amore al Western e a quelle leggende viventi che lui ha amato (non sono casuali il coinvolgimento di Morricone o i costumi che in alcuni frangenti ricordano quelli di “Il Buono, il Brutto, Il Cattivo”), il tutto rimane un vero e grande momento di Cinema che non capita, purtroppo, spesso di vedere. The Hateful Eight non sarà, probabilmente, idolatrato quanto gli altri lavori del regista, ma resterà un film importante, di cui se ne sentirà il peso negli anni avvenire, destinato a non far divertire lo spettatore a suon di sparatorie o volgarità, ma a farlo ragionare con l’ausilio dell’intreccio del racconto di cui si fa portavoce. Un giallo intellettuale godibile, in salsa western, attuale, che parla di persone buone e dannate, uomini e donne, che vanno avanti sul patibolo della morte, laddove ogni speranza è perduta e ogni segno di civiltà dimenticato.

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Quentin Tarantino, Movie, Film, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Tim Roth,
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