Recensione di Suburra
Sotto un’incessante pioggia battente si anima il cuore nero e pulsante della Suburra di Sollima, un affresco che trasuda realismo e violenza a tratti Scorsesiana, che cerca di arrivare laddove solo il Cinema può riuscire, attraverso passaggi con i quali lo spettatore può interagire ed entrare in un tunnel di critica politica/sociale capace di far tremare le fondamenta della nostra società.
Un biglietto da visita non da poco, quello che si appresta a presentare l’ultimo lavoro del padre di due tra le serie tv made in Italy più apprezzate degli ultimi anni, Romanzo Criminale e Gomorra, e tante sono le premesse annunciate da essere mantenute.
In un freddo Novembre del 2011, il conto alla rovescia inizia inesorabile, mancano solo pochi giorni al 12 del mese, prima che Silvio Berlusconi rassegni le dimissioni, causando la caduta del governo e l’elezioni anticipate, seguite da quelle del Papa, altra grande mancanza che coinvolgerà il suolo Vaticano; Roma, la città eterna, sembra ormai sull’orlo del baratro e quelle poche ore che separano i protagonisti dall’Apocalisse si riveleranno cruciali, non solo per quest’ultimi, ma anche per il Paese.
La malavita si fonde con il potere politico, o meglio, con alcuni esponenti di esso, come l’onorevole Filippo Malgradi, sposato, ma con il vizio delle escort minorenni, mentre un nuovo clan di zingari il cui capo è Manfredi Anacleti, dopo l’assassinio del fratello minore, vuole rivendicare un ruolo privilegiato tra le bande della capitale. In tutto questo Il Samurai, un navigato mafioso romano, garante dei soldi investiti dalle famiglie del Sud, cerca di stringere un accordo con le più alte cariche dello stato Pontificio, mentre Numero 8 ha in testa, assieme alla sua fidanzata tossicodipendente, di trasformare tutti i locali del litorale di Ostia in una seconda Las Vegas. Chiude il cerchio Sebastiano, un cicerone vero e proprio nell’organizzare le feste, ma che non riuscirà a venir fuori da una situazione difficile in cui si ritrova quasi casualmente per via dei debiti di suo padre, ormai tragicamente deceduto.
La Suburra, il noto quartiere situato alle pendici dei colli Quirinale e Viminale della antica Urbe in cui gli uomini di potere si incontravano con altrettanti importanti rappresentanti locali della criminalità, ancora oggi è viva e vegeta, ma i suoi partecipanti o passanti non si riversano più in strade malfamate o in vicoli ciechi, ai nostri giorni affollano locali di lusso, discoteche e istituzioni, sebbene il crimine non sia mai realmente scemato così come la più profonda decadenza morale.
Per chi è già affine alla visione del mondo di Sollima, il quale ha diretto il cinico A.C.A.B. e dato alla luce Gomorra e quel gioiello di Romanzo Criminale, il suo nuovo lavoro non apparirà, sia sotto il profilo tecnico, che contenutistico, distante dalle fatiche realizzate negli anni passati, anzi, si mostrerà come il continuo di un preciso percorso incentrato su determinati fatti ed avvenimenti che ci riguardano da vicino e che hanno cambiato la nostra storia.
Suburra, nel complesso, si presenta nella sua oggettività ricca di spunti e momenti eclatanti, girati sempre in modo impeccabile, sorretti da una fotografia solida e curata, pompando al massimo l’azione e il pathos nella prima mezz’ora, arrivando fino all’inverosimile, promettendo, forse, anche troppo, rispetto a quello che poi riesce concretamente a dare allo spettatore, affondando relativamente nella seconda ora, dove mostra alcune lacune e difficoltà in determinati passaggi nella sceneggiatura, che si attesta, ad ogni modo, su un discreto livello. Resta, tuttavia, il fatto che questo prodotto, che nasce come produzione direttamente ed interamente in Italia, si farà, di certo, apprezzare dagli abitanti del Bel Paese, perché la vena realistica e violenta, ma mai auto-celebrativa o retorica, conferirà all’insieme quel tanto di vero che alle nostre orecchie risulterà già sentito, se non addirittura vissuto.
Roma è un teatro di vita non molto lontano da quelle rappresentazioni sanguinarie e tragiche di un tempo, dove non sembra battere mai il sole ed ogni cosa si muove nell’ombra; ed è proprio dalla pioggia, che abbraccia ogni notte, dai tuoni e dai fulmini che Sollima inizia a costruire un quadro decadente e immorale di una capitale al limite dell’umano, dove se da un lato mette in mostra tanti dei cliché del genere, dall’altro si sofferma su particolari che conferiscono al prodotto quel qualcosa di originale ed inedito, che in definitiva ci porta a promuoverlo, pur con qualche piccola riserva.
Tutto gira attorno a nuove costruzioni, appalti e potere, in quella Ostia ove Pasolini ha tirato l’ultimo respiro, tra quelle spiagge di giorno prese d’assalto dalle persone comuni, mentre al calar delle tenebre vedono salire le ombre di efferati omicidi, incontri clandestini e sparatorie tra gang rivali. Dietro a tutto ciò, come di consueto, il bisogno, la necessità, in questo caso del nuovo Re di Roma, chiamato Il Samurai, interpretato da un efficiente Claudio Amendola, di stringere alleanze con persone potenti del mondo politico e religioso, ancora una volta amalgamati, linee parallele dello stesso binario, poteri, però, che alla fine si vedranno orfani di due grandi figure paterne di spicco: da una parte il presidente del consiglio, dall’altra il Papa.
Quello che forse colpisce maggiormente in Suburra rimane la sua messa in scena ed il forte contrasto con Romanzo Criminale, sia nei riguardi del film e che della serie tv. Laddove un tempo Dandy, Libano e Freddo si palesavano come ragazzi che, dopo una rapina dietro l’altra, si facevano vincere dalla mania di grandezza e dall’avidità, oggi tutti vogliono essere “capi” e nessuno alla fine riesce a sedersi comodo sul trono della capitale; Sollima si allontana da una visione “romantica” ed umana dei propri antagonisti, delineando comprimari e comparse sempre molto sopra le righe, negative e, per certi aspetti, anche poco carismatiche, più metafore di un determinato tipo di persone, che personalità capaci di brillare di luce propria, dando al tutto una sfumatura meno particolareggiata, arrabbiata e frustrata, ma al contempo funzionale ai fini della pellicola.
In questo modo, virando la narrazione solo sulla parte “brutta” di Roma, non si patteggia mai, né se ne subisce il fascino, di quegli uomini e quelle donne che popolano l’Urbe nelle sue serate più irrequiete e laddove Sorrentino, con la sua Grande Bellezza, donava al tutto un senso di lirico astrattismo, nella ricerca dell’Io di Jep Gambardella, concentrandosi più sui dubbi dell’animo umano, che sui peccati da questo commessi, con annessi crimini, Sollima firma un noir in piena regola, con i piedi per terra, che attinge proprio ai canoni del genere e, per questo, nel suo farsi carico di una certa visione poco originale nello svolgersi dei fatti, non riesce in fondo a regalare tutto quello che sembrava promettere o presagire dai primi minuti.
Una nota di riguardo va anche nei confronti di un cast particolarmente affiatato, a cominciare dal già citato Amendola, finalmente in un ruolo che lo eleva ad attore vero e proprio, fino a Pierfrancesco Favino, ormai uno dei migliori della sua generazione assieme ad Elio Germano, a cui il regista cuce magistralmente il “ruolo” più umano, meschino e fragile dell’intera storia e, per questo, nettamente più riuscito rispetto agli altri. Soddisfacente anche Greta Scarano e Alessandro Borghi, lo spietato Numero 8.
Suburra, di Stefano Sollima, dedicato da quest’ultimo al padre scomparso recentemente, è uno dei più audaci film dell’anno, e, probabilmente, un gangster-movie che rimarrà impresso nella testa di molti per parecchio tempo, sorretto da interpretazioni all’altezza da parte dell’intero cast, una regia attenta, coerente con le altre produzioni del regista, carica di allegorie e citazioni, ed unita ad una precisa impostazione scenica interessante ed elegante, mai eccessiva o invadente. Rimanendo per la maggior parte del tempo su alti livelli narrativi, regalando finalmente a noi tutti una Roma particolarmente oscura, pericolosa, inafferrabile e incontrollabile, priva di sequenze diurne, sempre affogata da una pioggia perenne, che invece di lavare i peccati dalla faccia degli uomini sembra infangarli fino a sommergerli, l’ultimo lungometraggio di Sollima viene a mancare unicamente nella decisione di non voler correre troppi rischi nel finale, purtroppo non all’altezza rispetto al resto del film, che sgonfia l’entusiasmo e garantisce a Suburra l’etichetta di pellicola di assoluta buona qualità, allontanandola dall’eccellenza, opinione che avranno, in particolar modo, coloro che sono già conoscitori della visione personale del regista.
Molte sono le sequenze ben realizzate, così come gli straordinari momenti straripanti di pathos e tensione e qualche coraggioso amplesso che non siamo poi abituati più di tanto a vedere in Tv o al Cinema per quanto riguarda le produzioni italiane, ma resta un senso di incompletezza una volta arrivati ai titoli di coda, magari non sul profilo della critica, qui mossa ad un determinato periodo storico recente, o su alcuni particolari della società, perché a venir meno, dispiace ammetterlo, è proprio la natura del lungometraggio, strozzata, forse, dalla necessità di un’eccessivo bisogno di essere didascalico e prevedibile. Facendo un buon uso della violenza, tutt’altro che fine a se stessa, e di alcuni personaggi principali, Suburra soddisferà pienamente le aspettative di molti, mentre deluderà chi sperava in un capolavoro definitivo di Sollima, la cui tecnica è ormai indiscutibile, così come il proprio stampo d’autore; peccato, davvero, per un’audacia che nella conclusione, per molti versi repentina e prevedibile, stenta a venir fuori, costringendo quasi a prendere le distanze dalla parola “Eccellente” nei riguardi di questo film.
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