Recensione di
Sherlock e l’Abominevole Sposa
Difficile comprendere quanto Sherlock Holmes sia frutto della fantasia del suo assistente John Watson e quanto, al contrario, sia reale, il detective nato dalla mente del medico scozzese, Arthur Conan Doyle, ha goduto, con il trascorrere degli anni, di innumerevoli trasposizioni ed incarnazioni, prodotto di pregevole fattura, caposaldo della letteratura anglosassone e pioniere del giallo con complice l’uso del “metodo della deduzione”, egli rimane un icona pop capace di andare oltre la parentesi temporale in cui è racchiuso e affascinare masse di lettori e spettatori che, a distanza ormai di un secolo dalla prima indagine scritta e pubblicata, reclamano ancora qualche storia dal residente di Baker Street. Leggenda, ispirazione, fantasia o semplice fanatico degli orrori umani, Holmes rientra nella mitologia di un’intera nazione, e con i suoi quasi duecento anni non sembra minimamente pronto passare il testimone ad altri investigatori, unico ed inimitabile grande one-man-show della scena del crimine.
La soluzione adottata, nel 2010, da Mark Gatiss e Steven Moffatt, nome, quest’ultimo, non del tutto nuovo per coloro che seguono le avventure legate alla serie Doctor Who, di voler fare una interpretazione dei romanzi di Doyle nel mondo di oggi, è apparsa geniale e innovativa, sia dal punto di vista della sua
Sherlock, con il passare degli anni, è diventata un’icona, un simbolo e un appuntamento che purtroppo non è riuscito mai a mantenere una stabilità pari a tante altre produzione, dettaglio che ha portato ad una spasmodica attesa, tra le fila dei propri seguaci, ogni volta che si inizia a parlare di nuovi episodi o speciali occasionali. Giunti finalmente alla stagione tre, conclusasi ben due anni fa, il pubblico chiedeva a gran voce una nuova storia con protagonisti Cumberbatch e Freeman, affinché si potesse, momentaneamente, placare quel bisogno e quella folle dipendenza che aveva animato fino all’inverosimile chi si era lasciato catturare dagli episodi precedenti.
L’Abominevole Sposa, di fatto, è un thriller che, nella sua veste più estetica, potrebbe realmente essere stato scritto da Conan Doyle, poiché ne ricalca, sotto molti aspetti, le dinamiche ed i processi, sia quando si tratta di prendere in considerazione determinate soluzioni narrative, sia quando siamo messi di fronte a tutta una serie di passaggi logici importanti per la soluzione del caso al quale Sherlock e Watson sono messi di fronte.
Come ogni racconto vittoriano che si rispetti, Gatiss e Moffatt sono stati incredibilmente furbi nel dare una sfumatura di mistero e sovrannaturale rispetto alle altre puntate, giocando sapientemente con le scenografie e lo sfondo storico a loro disposizione. Il fantasma della Sposa, morta suicida dopo un raptus di follia, appare e miete vittime tra le fila dell’alta società inglese, Scotland Yard sprofonda nel caos e Lestrade è costretto a chiedere aiuto allo scaltro detective privato ed al suo instancabile aiutante.
Dimenticati i taxi neri con la targa luminosa, e messi da parte il London Eye sullo sfondo con le sue luci pirotecniche o il gran chiasso del cuore di Londra, così come le luci di Piccadilly Circus o i grattaceli nel cuore della City, The Abominable Bride è un tuffo nel passato dal sapore puramente retrò e nostalgico che riesce, tuttavia, a rimanere impresso e colpire sotto ogni suo punto di vista. Il 221 B di Baker Street, che non vede, dinnanzi a se, passare macchine o autobus, ma carrozze trainate da cavalli, trova, nel suo ritorno alle origini, una sfumatura inedita ed al contempo originale a cui si fa l’abitudine istantaneamente. Coloro, infatti, che hanno amato Sherlock e che restano suoi fedeli appassionati, non avranno a disposizione che un lauto banchetto con cui festeggiare il ritorno di un anti-eroe reso celebre dalle annotazioni di Watson ed idolatrato fino all’inverosimile.
Questo episodio in costume rivela fin da subito un forte senso dell’ironia, avvertibile attraverso brillanti battute e dialoghi meta-letterari, con cui sa inscenare siparietti di vita londinese che dimostrano la dimestichezza, con il materiale di partenza, dei suoi creatori e sceneggiatori. Sherlock è un eroe, il popolo ha bisogno di lui, ma è proprio lui, in primis, a dover fare i conti con la figura che il suo assistente Watson a creato e che, sulle pagine dello Strand Magazine, raccoglie centinaia di consensi e plausi; i casi, ormai scritti in nero su bianco su i diari del dottore, affascinano la gente, la convincono a credere in una persona risoluta, ma pur comunque generosa verso i problemi che attanagliano il prossimo. In tutto questo c’è solo
Come era presumibile aspettarsi, la prima parte della storia, oltre che a mettere in scena il caso vero e proprio, è un ottimo trampolino di lancio per cogliere alla leggera tutti i riferimenti all’opera di Conan Doyle, scherzare con i propri idoli, prendersi gioco di se stessi e servire alle masse tutto un campionario di fan-service che, di certo, i più gradiranno. Sapientemente L’Abominevole Sposa ripercorre le fasi iniziali già viste nel primo episodio della serie, dove Watson, arrivato a Londra dalla guerra anglo-afgana cerca un appartamento dove sistemarsi, e che, grazie all’aiuto di un suo vecchio amico di college, troverà con
Se analizzato con maggior attenzione, ad ogni modo, questo episodio non dimostra d’essere una mera operazione commerciale (necessaria) attuata per accontentare un determinato tipo di pubblico, ma, pur non aggiungendo niente di nuovo nella vicenda madre che rimane stroncata bruscamente dal ritorno apparente di Moriarty, offre comunque un campionario di riflessioni prepotentemente attuali. Vengono, infatti, presi in considerazione molti degli aspetti dell’epoca, a partire dall’insorgere di movimenti femministi come quello delle suffragette, determinate ad affermarsi e decise a reclamare alcuni diritti fondamentali come quello di voto. Il nemico invisibile, di cui Mycroft Holmes (il fratello più intelligente tra i due, a dire della signora Watson) conosce l’esistenza e verso il quale ammonisce Sherlock, si aggira fin dalla notte dei tempi nella vita di ogni essere umano, e adesso, risvegliatosi del tutto, ha deciso di immolarsi in una causa che gli uomini sono destinati a perdere, costretti, giustamente, a farsi da parte per permettere alle donne di prendere attivamente parte alla società.
Così viene messa in luce la misoginia del tempo, riscontrabile da un lato in Holmes e dall’altro, ancor più evidente, in Watson, personaggi che, ancor più che negli altri appuntamenti, dimostrano di essere figli di una scrittura la quale permette loro di avere un’introspezione psicologica completa e sofisticata. Per quanto, infatti, ci si ostini a considerarlo quasi come un super-eroe del suo tempo, Holmes è un semplice
E’ esattamente l’utilizzo di svariate droghe, delle allucinazioni e del ritorno di nemici iconici ormai deceduti, che Moffat e Gatiss ricorrono intelligentemente ad un salto temporale che fa tornare la storia sui binari intrapresi fin dalla sua genesi. Con l’ausilio dell’immaginazione, della realtà onirica e del palazzo mentale di Sherlock, The Abominable Bride si sposta su più piani di lettura e su più frammenti temporali, amalgamando sapientemente passato, letteratura, citazioni in un messa in scena ispirata e che non riesce mai a stonare con la storia narrata, sovrapponendo l’immaginario ad il reale.