Recensione di Shame
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La coppia Fassbender/Steve McQueen aveva dimostrato già in Hunger di essere capace di saper tirar su cinema di alta qualità, dove in quattro mura si poteva creare l’alchimia del grande schermo che molti film ad alto costo non riescono a fare minimamente ed anche questa volta, per la delizia dei fan o dei cineasti, l’alchimia riappare.
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La storia parla di un uomo d’affari che vive nella New York di oggi, un uomo qualunque di nome Brandon. Vita tranquilla, ottimo posto di lavoro, casa fantastica e amici con cui si diverte ad andare al pub quasi ogni sera. Per intenderci l’uomo che tutti aspirano ad essere e le donne a sposare ( o almeno è questo l’idea che ci siamo ormai fatti sull’America: Lavoro, Casa e Famiglia tutto assicurato e zero problemi). I problemi però ci sono, magari non in apparenza, ma esistono e sono anche profondamente radicati nella vita e nella psiche di Brandon. La sua dipendenza di far sesso ne è una prova, una dipendenza da cui non può sfuggire, che non prova nemmeno a nascondere a se stesso, ma con cui ormai si trova a proprio agio. Tutto viene stravolto dall’arrivo di sua sorella, chiaro elemento di disturbo, nonché simbolo del mondo reale, di ciò che esiste al di fuori della sua abitazione, della sua vita e del suo lavoro. Quando Brandon dovrà fare i conti con la vera vita, lasciando da parte la sua dipendenza, la sua debolezza, sarà spiazzato e i modi in cui reagirà non potrebbero essere più quelli giusti.
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Shame è un grandissimo e profondo film che andrebbe visto almeno una volta nella vita, lasciare da parte l’imbarazzo e la paura per intraprendere un viaggio importante e profondo nell’animo e nella mente del protagonista. Non cadiamo nella banalità di rimanere scandalizzati nel vedere un uomo nudo, che per altro è un nudo fortemente allegorico per come ci viene mostrato; la sequenza iniziale, dove viene messo in modo molto evidente e senza pudore tutto il corpo di Fassbender è la metafora della vita ormai morta, totalmente distrutta dalla dipendenza sessuale. Vivere di solo piacere alla fine non diviene nemmeno un modo di provare e far provare godimento, ma una sorta di sopravvivenza, un qualcosa che non si fa più volutamente, ma da cui non si riesce ad emergere. Così ci troviamo davanti ai primi 5 minuti in cui vengon spiegate tutte le abitudini del protagonista e la sua grande ombra, il suo più evidente tallone di Achille. Brandon guarda filmati porno, passa da incontri casuali a incontri con prostitute ed escort senza nemmeno pensare se ciò che fa è eticamente giusto, senza curarsi dei rischi che corre la sua salute, ma vivendo, si fa per dire, in una prigione che si è costruito, ormai privo di sentimento. Proprio l’arrivo di Sissy, la sorella che ha bisogno del fratello maggiore, lo porterà a osservare la vita, quella vera, ma la sua reazione, immaginabile per altro, non sarà di certo positiva. Dunque, dove si ha un cambiamento? Nel momento in cui si perde qualcosa e ci si sente responsabili, proprio come accade nelle ultime scene del film, dove Brandon ha per la prima volta paura, terrore di aver perso qualcuno che ama e capisce che in parte è colpa sua. Fassbender qui riesce a entrare appieno nel personaggio, dimostrandosi un attore di qualità e bravura eccezionale, non solo per aver dato il massimo e se stesso (anche fisicamente) in una performance drammatica quanto malinconica, ma per aver comunque contribuito a rendere credibile e carismatico un personaggio complesso, difficile da apprendere e da interpretare. Snobbato agli Oscar 2012, forse per il film o il tema trattato, ha meritato la sua Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile, che rimane una delle più belle degli ultimi anni e di certo la più bella nella sua annata.
Per quanto riguarda la denuncia che sta alla base della pellicola, è evidente che un film come questo farà parlare nel futuro, un prodotto insipido da digerire, ambientato tra le mille luci di New York, nella notte, dove ogni cosa pare priva di vita, priva di emozione.
La sceneggiatura a tratti prevedibile, ma ovviamente sempre ben scritta, risulta essere da una parte il punto debole dell’opera e dall’altra il suo punto di forza (sopratutto in relazione al tema trattato). Tuttavia la forza vera e propria rimane la figura del protagonista. Molto bella la colonna sonora, che varia di momento in momento riprendendo anche temi legati alla musica classica e la regia di McQueen è da manuale, sebbene tuttavia non sia eccelsa come in Hunger.
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Claudio Fedele
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Claudio Fedele
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