Recensione di San Andreas
Da anni non si registrano più terremoti lungo la costa occidentale, e sebbene gli esperti riportino un imminente evento sismico che potrebbe coinvolgere varie città tra cui Los Angeles e San Francisco, nessuno sembra dare loro ascolto. Le cose cambiano radicalmente quando piccole scosse cominciano a manifestarsi, ed il tutto, in breve tempo, collasserà sotto gli spostamenti tettonici che piegheranno i cittadini di San
I disaster-movies sono una sfumatura indelebile, quasi impossibile da eliminare, del cinema degli ultimi anni, sebbene il tutto sia iniziato nel distante 1974 con l’uscita nelle sale di Inferno di Cristallo con Steve McQueen e Paul Newman, i quali hanno così dato il via ad un filone destinato a non estinguersi nel tempo e perdurare costantemente di anno in anno. Un particolare che sembra, tuttavia, contraddistinguere le ultime produzioni riguarda l’espediente narrativo e la continua ricerca di un punto di vista intimo, se non addirittura dal timbro familiare, allegato solo in un secondo momento a tutta una serie di eventi che coinvolgono masse e popoli. Esattamente come negli anni 2000 The Day After Tomorrow – L’Alba del Giorno Dopo, coglieva il dramma, in senso lato, del surriscaldamento globale, dando il via ad una epocale glaciazione, per poi concentrarsi solo in una successiva fase in un tentativo disperato di salvataggio e sopravvivenza, anche stavolta San Andreas amalgama
Il punto è che far cadere grattacieli, dighe, come quella nota di Hoover, far inabissare baite o ricreare tsunami dieci volte tanto più potenti di quelli reali, ha perso, oggigiorno, quel fascino e quell’originalità causata da un abuso, da parte di molti registi, di scene d’azioni, che selvaggiamente vedono i tanti protagonisti coinvolti, magari, annientare intere zone abitate senza porsi alcun limite morale ed etico. San Andreas, per questo, resta un film debole, nel suo essere sopra le righe, dove a salvare l’intera pellicola resta una padronanza tecnica virtuosa e piacevole a vedersi, una
Visivamente il film resta solido e intrigante, realizzato in maniera eccellente per quel che concerne gli effetti visivi, così come l’aspetto sonoro, ma a mancare sono le basi narrative ed una sceneggiatura che sa di vecchio e datato, troppo poco originale per catturare l’attenzione e di certo meno accattivante di altre produzioni recenti di simile stampo. Un altro aspetto poco convincente riguarda proprio i momenti che vedono protagonisti i terremoti, sfruttati non al meglio, capaci, sì di dare ritmo alla vicenda, ma gestiti con una climax davvero poco efficace, restano soprattutto poco coinvolgenti una volta che si è presa coscienza del fatto che questi, al di là di qualche inquadratura ben riuscita, siano solo elementi di contorno di un’intera vicenda dalle tinte del dramma familiare.
San Andreas è infatti, in tutto e per tutto, un lavoro che proietta lo spettatore ad assistere alla ricerca di un padre ed una madre della propria figlia, al di là delle avversità e della situazione a dir poco apocalittica che si riversa sulle metropoli coinvolte dallo sciame sismico. Poco influenti ed interessanti rimangono, non a caso,
Dwayne Johnson con San Andreas sembra continuare un percorso di lungometraggi che toccano il b-movie classico, con l’ausilio, però, di un budget generoso, facendosi così carico sulle spalle di essere il nuovo volto legato ad uno specifico tipo di produzioni. San Andreas non è un film pessimo, nel suo universo e genere di appartenenza, ma è un lavoro che giunge alla conclusione con il fiato corto, che racconta una storia che sa di già sentito e che non ammalia, nemmeno nei suoi momenti migliori o spettacolari, questo perché, principalmente, è difficile ripetersi e migliorarsi, specialmente quando ormai gli effetti speciali hanno già regalato al mondo intero catastrofi e scenari apocalittici che la mente umana difficilmente potrebbe credere reali, anche quando ad essi viene attribuita un’impronta verosimile. Al tutto, poi, viene aggiunta una retorica americana che, seppur non invadente se non nel finale, contrassegna il film come un classico esempio di capacità di sopravvivenza ed adattamento, dove, da tradizione il popolo Americano, nei suoi momenti di maggiore difficoltà, riscopre quei valori di fratellanza e altruismo che lo porteranno a risorgere dalle proprie ceneri, abbracciando tutti gli stereotipi necessari. Un fraseggio di buoni sentimenti e retorica patriottica che poteva essere evitata, assieme a mancanze più consistenti, dando in definitiva al titolo, magari, più di una regalata sufficienza.